Verona, Teatro Filarmonico, Fondazione Arena. Stagione Sinfonica 2014-2015
Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
Coro di voci bianche A.LI.VE
Direttore Claudio Scimone
Maestro del Coro Vito Lombardo
Voci bianche dirette da Paolo Facincani
Tenore Cataldo Caputo
Basso Davit Babayants
Georg Friedrich Händel: “Zadok the Priest” per coro e orchestra
Ludwig van Beethoven: “Meeresstille und glückliche Fahrt” per coro e orchestra
Pietro Mascagni: “Messa di Gloria” per solisti, coro e orchestra
Verona, 2 maggio 2015
Pubblico caloroso – sebbene lontano dal tutto esaurito – per il nono concerto della Stagione Sinfonica della Fondazione Arena. La scelta del programma non segue un filo logico ben definito: si parte con un inno d’incoronazione, il celeberrimo Zadok the Priest, di Georg Friedrich Händel; dall’Inghilterra del XVIII secolo si passa ad una pagina sognante del Beethoven maturo, Meeresstille und glückliche Fahrt, per poi chiudere con la Messa di Gloria in fa maggiore di Mascagni, che ci conduce ormai alle porte del ‘900. A legare un programma tanto magmatico troviamo l’affidabile direzione di Claudio Scimone, tra i beniamini del pubblico veronese. I primi due brani sembrano più che altro una prova della poliedricità del direttore: tanto lo Zadok è solenne e impetuoso, tanto più il Meeresstille risulta intimo e nostalgico. Composto in onore di Giorgio II, incoronato nel 1727, Zadok offre un condensato degli stili più in voga nell’Europa händeliana: la solenne struttura ritmica del coro, numerose strizzate d’occhio alle frivolezze barocche francesi e la cadenza finale che rimanda al fugato di squisita tradizione mitteleuropea. Scimone dirige tutto a memoria, valorizzando adeguatamente il ruolo del Coro: tutta la prima parte si regge sugli arpeggi degli archi, su cui si libra la melodia affidata ai legni. All’attacco del Coro corrisponde una variazione agogica che apporta ulteriore solennità. Il Coro risulta generalmente omogeneo: qualcosa in più poteva essere fatto in ambito dinamico e la nitidezza delle diverse parti non risulta propriamente cristallina. Molto più d’effetto il Meeresstille, pagina preziosa del Beethoven più moderno: composto sulle parole di Goethe, la cantata si divide in due parti nettissime. Nella prima, quella del Meeresstille, la calma piatta del mare è fonte di angoscia e pericolo: l’esecuzione di Coro e Orchestra è particolarmente coinvolgente.
La seconda parte, il glückliche Fahrt, il viaggio felice, è proprio il momento in cui il vento finalmente inizia a soffiare e porta la nave a vedere das Land, la terra – il tutto giocato su un ritmo vorticoso e sulle infinite code e codette beethoveniane. Scimone riesce a dare il giusto risalto ai legni, mentre il Coro realizza una bella performance, dosando adeguatamente i colori e le sfumature, specialmente nella prima parte. Ma il punto focale della serata era la Messa di Gloria in fa minore di Pietro Mascagni: sicuramente una tra le pagine più affascinanti della musica sacra di fine ‘800, la Messa alterna momenti di sfavillante giubilo ad altri di intenso raccoglimento. Alle voci femminili del Coro subentrano i giovanissimi coristi di A.Li.Ve., una scelta coraggiosa quanto vincente: ben preparati dal M° Paolo Facincani, i piccoli coristi hanno conquistato il pubblico del Filarmonico. Scimone, col suo gesto tutt’altro che scenografico, tiene le redini lasciando cantare l’Orchestra e respirando con i – bravi – solisti. Qualche tempo troppo ritenuto, soprattutto verso la fine della Messa, non pregiudica quella che risulta una bella esecuzione. La scelta, filologica, di inserire l’ Intermezzo di Cavalleria Rusticana durante l’Elevazione è accolta positivamente dal pubblico, e anche il bis del Gloria è seguito da fragorosi applausi. Non c’è che dire, ormai Cataldo Caputo e Davit Babayants sono la “gloriosa coppia” del Filarmonico: esattamente un anno fa li avevamo potuti apprezzare in un’altra Messa di Gloria, quella – superba – di Puccini, oggi si riconfermano voci molto interessanti e destinate a successi sempre più ampi. Cataldo Caputo si è mostrato pienamente all’altezza della parte, lo studio feroce del ruolo è evidente. In ogni tessitura il giovane tenore si mostra sicuro e intonato, non teme i volumi orchestrali e sa difendersi con eleganza anche nei momenti più impegnativi. Gli acuti non sono rotondi ma adeguatamente squillanti, il fraseggio ben calibrato e coinvolgente. A livello dinamico qualcosa in più poteva essere fatto nel piano per valorizzare i momenti più intimi, ma il risultato complessivo è degno di nota. Particolarmente d’effetto il Sanctus, in cui Caputo può spiegare il suo timbro nella dolcissima melodia del “pleni sunt coeli et terra…”. Davvero notevole la prestazione di Davit Babayants, volto ormai noto al Filarmonico: del basso armeno abbiamo già decantato la ricchezza timbrica e la pasta vocale vellutata. Ma Babayants mostra anche una precisione ritmica e di pronuncia mirabile, che Scimone sa ben assecondare. La linea melodica emerge in tutta la sua bellezza, le atmosfere siciliane che poche settimane or sono popolavano il palco sembrano riaccendersi. L’Orchestra è al suo meglio, i solisti – la spalla Gunther Sanin con particolare merito – vengono valorizzati da uno Scimone entusiasta, salutato dal grande affetto del pubblico.