Giuseppe Verdi: “L’esule”, “La seduzione”, “Il poveretto”, “Stornello”*, “Non t’accostare all’urna”, “More, Elisa, lo stanco poeta”, “In solitaria stanza”, “Nell’orror di notte oscura”, “Perduta ho la pace”,* “Deh, pietoso, oh addolorata”, “Il tramonto”, “La zingara”*, “Ad una stella”, “Lo spazzacamino”*, “Il mistero”, “Brindisi”, “Tantum Ergo”, “Ave Maria”. Ramon Vargas (tenore), *Joanna Parisi (soprano), Charles Spencer. (pianoforte). Registrazione: Vienna 2014. 1 CD Capriccio C5170
Il panorama discografico relativo ai recital solistici è spesso di limitato interesse e propone all’infinito programmi scontati e privi di componenti stimolanti: considerando questo contesto, ancora maggior rilievo acquisisce questa recente proposta della casa discografica austriaca “Capriccio”, dedicato al repertorio verdiano da camera e affidato a un cantante di grande sensibilità musicale come Ramon Vargas. Il repertorio cameristico italiano ha sempre goduto di una posizione marginale rispetto a quello teatrale e se è innegabile che i suoi risultati non raggiungano, salvo rarissime eccezioni, l’assoluta statura artistica di molta liederistica tedesca – ma anche russa e francese, seppur in modo minore – essi rappresentano comunque una parte non insignificante del mondo musicale del XIX secolo e dei gusti di quel pubblico a cui si rivolgevano i grandi lavori teatrali, oltre ad essere spesso un interessante banco di prova e sperimentazione per gli stessi compositori. Il primo gruppo è composto da sei romanze presentate con una dedica a Ponchielli e composte in vari periodi della carriera verdiana. Si fa notare per il taglio prettamente operistico – e decisamente ancora legato a moduli primo ottocenteschi – il brano di apertura, “L’esule” (1839), su testo di Temistocle Solera: si tratta di una grande scena composta da un recitativo introduttivo, un andante con funzioni di aria e un’autentica cabaletta che avrebbe potuto trovare posto in qualunque opera di Donizetti o del giovane Verdi, accompagnata solo dal pianoforte anziché dall’orchestra. Anche le richieste vocali sono di tipo prettamente operistico e Vargas si fa apprezzare subito per la musicalità e l’eleganza del fraseggio, così come l’ottima pronuncia e la chiarezza della dizione, così importanti in brani cameristici, mentre l’acuto finale – decisamente impegnativo – mostra un certo sforzo e come una frattura della linea di canto al momento dell’attacco; si tratta, però, dell’unica autentica difficoltà presente nell’incisione.
Le successive arie, “La seduzione” (1839) e “Il poveretto” (1847), hanno un andamento più disteso, soprattutto la prima che richiama ancora chiaramente moduli operistici, ma qui a prevalere sono toni più distesi e cantabili e il brano ricorda certi andanti ampi e melodicamente coinvolgenti delle opere verdiane, mentre il secondo ha carattere più brillante e vagamente popolare di sicuro coinvolgimento. Chiude la serie dei brani “Stornello” (1869), caratterizzato da un irregolare andamento armonico che riesce ad evocare con efficacia certe dinamiche della musica folklorica, affidato alla corretta interpretazione del soprano Joanna Parisi, che si affianca a Vargas nell’esecuzione di alcuni brani. Segue poi la prima serie coerente di brani: si tratta di sei romanze su testi di autori diversi, composte da un giovane Verdi nel 1838, brani che quindi precedono le opere liriche e che vengono composti nello stesso momento in cui comincia a nascere l’”Oberto, conte di San Bonifacio”. Essi rappresentano, quindi, un’importante testimonianza della maturità artistica raggiunta da Verdi già in quel momento. Si tratti di brani in cui predomina un’estetica ormai pienamente romantica ed un taglio già teatrale, tanto che molti di questi brani non avrebbero problemi a comparire in una delle opere composte negli anni successivi. “Non t’accostare all’urna” è forse la più nota fra le romanze verdiane e merita la sua popolarità per quel clima di nobile e austera commozione già permeato di sentimenti che saranno tipici del futuro universo verdiano e di cui Vargas offre un’intensa lettura; simile sul piano espressivo è il seguente “More, Elisa, lo stanco poeta”. Questi brani, pur richiamandosi all’espressività operistica, mantengono una propria autonomia come brani cameristici; di contro, il successivo “In solitaria stanza” appare quasi una prova generale di tante arie per tenore delle opere degli anni di galera e non ci si stupirebbe di ascoltarlo per bocca di Ernani o del giovane Foscari, mentre “Nell’orror di notte oscura” sembrerebbe già pronta per il Carlo Moor de “I masnadieri”. I due brani conclusivi della serie, “Perduta ho la pace” e “Deh, pietoso, oh addolorata”, utilizzano testi di Goethe, ma sarebbe più difficile immaginare un trattamento più diverso rispetto a quello che i liederisti tedeschi fanno dei versi del poeta di Francoforte: mentre, infatti, gli autori tedeschi partono dalla poesia e dalle loro ragioni espressive autonome, Verdi – aiutato in questo anche dalle traduzioni che virano decisamente il tono espressivo verso le arie da melodramma – ne da una lettura molto teatrale e più rivolta alle ragioni del canto che a quelle di un’autentica riflessione sul testo. Sul piano esecutivo risulta più compiuta l’esecuzione di “Deh, pietoso, oh addolorata”, cantata da un Vargas perfettamente in linea con le ragioni espressive del brano, invece di “Perduta ho la pace” in cui la Parisi non va oltre ad una generica correttezza, oltre ad avere una pronuncia non sempre pulita e precisa come si gradirebbe.
La seconda serie consta di altre sei romanze composte da Verdi nel 1845, anch’esse su testi di autori diversi (F. Romani, A. Maffei, S. Manfredo Maggioni). Rispetto al ciclo precedente, si nota una più acquisita maturità sia sul piano espressivo sia su quello compositivo. La scrittura pianistica si è fatta più curata e ricca di effetti: è una scrittura autenticamente pianistica, mentre prima Verdi sembrava usare il piano come fase di passaggio verso la scrittura orchestrale; inoltre il taglio espressivo si è reso autonomo dai riferimenti teatrali per acquisire un’apposita dignità nell’ambito cameristico e salottiero. Fra i brani si distingue “Il mistero”, che presenta un andamento più drammatico e quasi operistico, con una tessitura abbastanza acuta che però Vargas affronta senza le difficoltà riscontrate nel brano di apertura, mentre “Ad una stella”, con il suo facile melodismo, è un perfetto esempio del gusto dell’epoca nel suo unire eleganze da salotto a qualche accensione di stampo più teatrale. Affidate alla Parisi sono due ariette brillanti alquanto interessanti: “La zingara”, dai toni gioiosi e un’eleganza quasi francese, e “Lo spazzacamino”, dall’andamento saltellante e quasi ballabile, di pretta ascendenza popolare.
In conclusione sono posti due pezzi sacri. Il “Tantum ergo” del 1836-38, originariamente orchestrale e qui riproposto nella versione per canto e pianoforte recentemente ritrovato e dal carattere ancora quasi belcantista, presenta un andamento molto brillante, abbastanza insolito per un brano sacro che può ricordare ancora certe soluzioni rossiniane. La linea vocale segue l’andamento brillante di quella pianistica e presenta una tessitura abbastanza acuta che termina con una puntatura di sicuro effetto e molto ben eseguita da Vargas. Ultimo brano è “Ave Maria”, su testo volgarizzato da Dante, originariamente pensata per soprano e qui trasposta per voce di tenore. Si tratta di un brano dell’estrema maturità verdiana (1880) caratterizzato da tonalità cupe e drammatiche, che l’avvicinano all’analogo brano cantato da Desdemona nell’ultimo atto di “Otello”. Per quanto il brano sembri più congeniale ad una voce femminile, non si può negare che Vargas lo canti con proprietà e convincente concentrazione interpretativa. Il tutto è accompagnato con tocco pulito e molto musicale dal pianista Charles Spencer. Un CD che merita decisamente attenzione.