Madrid, Auditorio Nacional de Música – Fundación Ibermúsica – XLV Temporada
City of Birmingham Symphony Orchestra
Direttore Andris Nelsons
Violino Baiba Skride
Ludwig van Beethoven : Le creature di Prometeo, Ouverture op. 43
Sergej Prokof’ev : Concerto per violino e orchestra n. 2 in sol minore op. 63
Antonin Dvořák : Sinfonia n. 7 in re minore op. 70
Madrid, 27 maggio 2015
L’ultima volta li avevamo incontrati sul lago di Lucerna, per due concerti all’interno del Festival estivo del 2014. Ora sono a Madrid con il loro direttore titolare, per due programmi dedicati soprattutto alla tradizione sinfonica di area viennese. I musicisti della City of Birmingham Symphony Orchestra lasciano il segno di una compagine che si afferma tra le più interessanti e convincenti formazioni attualmente in attività, grazie alla sintonia con Andris Nelson, il direttore che visibilmente adorano e con cui si sanno esprimere ottimamente. Per tutto questo dispiace un po’ apprendere che si tratta della loro ultima tournée insieme; il mese prossimo termina infatti il settennale contratto di Nelsons con la CBSO, e tredici città europee potranno assistere alla prova conclusiva (per il momento) di una collaborazione che è stata davvero fruttuosa (il 15 maggio scorso Nelsons ha diretto il Parsifal a Birmingham; e poi tutti in partenza per Stuttgart, Münich, Dortmund, Zagreb, Ljubljana, Lugano, Madrid, Oviedo, Paris, Düsseldorf, Frankfurt, Hamburg, per finire a Vienna verso la metà di giugno). Da alcuni grandi direttori ci si aspetta l’emozione imprevedibile di una lettura nuova (per esempio da Temirkanov o Chailly), da altri l’indagine del suono e del suo vigore (Gérgiev, Tate), da altri ancora il richiamo alla tradizione e la bellezza del suono (Haitink). Non è prematuro associare la professionalità e la personalità direttoriale di Nelsons a un’aspettativa ben precisa, come quella del colore orchestrale e strumentale; un obbiettivo che finora ha sortito esiti di altissima qualità, e che è risultato decisivo nell’innalzare la CBSO su un piano internazionale che fino a pochi anni fa non aveva ancora raggiunto.
La strada che conduce al colore orchestrale è ardua e difficile: soltanto con una pluralità di piani sonori in continuo cambiamento Nelsons rende ragione della complessità architettonica dell’ouverture beethoveniana che apre il primo concerto madrileno; ed è appunto attraverso le variazioni di piano sonoro che l’ascoltatore percepisce anche il delinearsi delle differenze cromatiche. In altre parole, il volume si fa colore, in un fenomeno di pochi minuti, eppure sgargiante sin dai massicci accordi iniziali; nessuna solennità celebrativa, ma solo brio vitale nelle Creature di Prometeo.
Baiba Skride discende da una famiglia di musicisti di Riga, è giovane e determinatissima, e debutta nelle prestigiose stagioni della Fundación Ibermúsica; la sua carriera di violinista (di cui si può ricordare una tappa importante, come la vittoria del concorso Queen Elisabeth del 2001) si è certamente impennata da quando Gidon Kremer le ha ceduto il violino “Ex Baron Feilitzsch”, costruito da Antonio Stradivari nel 1734. Forse anche perché imbraccia uno strumento legato alla più nobile tradizione virtuosistica decide di risolvere in modalità lirica – nei limiti del possibile – l’intricata tessitura del I movimento (Allegro moderato) del Concerto n. 2 di Prokof’ev; la sonorità calda e omogenea si effonde sul periodare a tratti convulso, mentre il direttore agevola la lettura della solista con un’orchestra mantenuta a livello poco più che cameristico (ma dalle sonorità comunque nettissime). Il legato morbidissimo con cui il suono si presenta è il carattere più vistoso dell’interpretazione di Baiba Skride. Il II movimento (Andante assai) è tutto letto all’insegna dell’espressività: violino e solisti dell’orchestra fanno a gara nell’intonare un dialogo sornione, che ricorda molto una scena di ballo in maschera. L’intreccio di suoni del violino incede ora scaltro e sicuro ora avviluppato dagli appigli orchestrali, in un’atmosfera sempre più onirica, in cui si afferma evidentissima l’ispirazione stravinskjana. L’esecuzione raggiunge però il culmine della tensione nel finale (Allegro, ben marcato), allorché la solista riprende quell’alternanza tra marciare impenitente e discesa verso l’abisso, di cui aveva già dato prova in precedenza. Quando giunge l’accordo finale, al termine di una breve sequenza parossistica, senza alcuna enfasi, ma anzi in completa naturalezza, l’equilibrio tra ansia e gaglioffaggine è raggiunto alla perfezione. Vani gli insistenti applausi del pubblico di Madrid, perché la violinista si ritira dopo numerose chiamate senza eseguire alcun brano fuori programma.
Sin dagli imponenti accordi introduttivi dell’Allegro maestoso si comprende come Nelsons intenda abbinare nella VII Sinfonia di Dvořák a ogni famiglia orchestrale un timbro specifico, caldo, vibrante e risonante. Tutto il lavoro del direttore sembra animato da una ricerca di elementi diversi, che concorrano ad affermare la perfezione strutturale della sinfonia: se la magniloquenza beethoveniana campeggia nell’enunciazione di alcuni temi, i languori brahmsiani rivendicano ben presto il loro spazio, accentuato dai colori dei legni o degli ottoni. Sullo sfondo si muovono procedimenti che da Wagner discendono fino a Bruckner, in un mosaico di tradizioni germaniche che si coagula nella magistrale impalcatura di una sinfonia commissionata sì dalla Società Filarmonica di Londra, ma tutta spirante invenzioni viennesi. Nel Poco adagio del II movimento il direttore ritorna all’indagine che più gli è consona, quella dei colori, ravvivati dal tema “olimpico” dei corni e dalla trasparenza del flauto. Ed ecco la perfetta dimostrazione di come la musica romantica possa essere meravigliosa anche quando sprovvista di eccezionali invenzioni melodiche. Bellissimo e celeberrimo è invece il tema iniziale dello Scherzo (Vivace – Poco meno mosso), che Nelsons valorizza con un piglio bifronte: da un lato esalta la leggerezza delle frasi degli archi, rendendoli aerei e sognanti, dall’altro accentua quelle striature degli ottoni che investono di inquietudine ogni passaggio. Se la saldatura tra il trio e la ripresa dello scherzo avviene con un effetto trascinante, le eterogenee sezioni che aprono il finale (Allegro) sono di nuovo ricomposte con straordinario senso dell’equilibrio; intanto le sonorità sono tutte cresciute nel corso dell’esecuzione, irrobustendosi progressivamente, ma proprio quando la musica sembra farsi più potente si manifesta un ritorno al contrappunto e ai procedimenti armonici più tradizionali, che il direttore evidenzia benissimo. Alla fine di tortuosità fugate e di macchinose modulazioni (davvero gigantesca è l’ombra di Wagner), la struttura si rinsalda in una sorta di baldanzosa danza slava: i tromboni guizzano finalmente corruschi, a sormontare un finale semplicemente grandioso. Tutto l’Auditorio Nacional di Madrid applaude con entusiasmo alla bravura degli artisti, ma anche alla bellezza di un programma confezionato con impeccabile eleganza.