Prima rappresentazione: Opéra-Comique di Parigi, 24 maggio 1899
Dopo la Navarraise, vicina al naturalismo, Cendrillon segna il ritorno di Massenet al mondo fiabesco tanto amato, ma soprattutto al Settecento rievocato in opere come Manon e Werther, un secolo rievocato con nostalgia perché considerato un periodo felice e spensierato. Cendrillon, conte de fées in quatto atti e sei quadri che Henri Cain derivò dall’opera di Perrault, fu composta fra il 1894 e il 1896 come si deduce da una postilla autografa apposta nella partitura manoscritta conservata nella Bibliothéque dell’Opéra, ma fu rappresentata, dopo Sapho, il 24 maggio 1899 all’Opéra-Comique con Julia Guiraudon (Lucette/Cendrillon), Georgette Bréjean-Gravière (fée), Jeanne Tiphaine (Noémie), Jeanne Marié de L’Isle (Dorothée), Marie-Louise van Émelen (prince charmant), Marie-Blanche Deschamps-Jehin (M.me de la Haltière), Lucien Fugère (Pandolphe), Dubosc (roi), diretti da Alexandre Luigini e con le splendide coreografie di Mariquita. Unanimi ed entusiastici furono i commenti sui giornali: Alfred Bruneau aprì con queste parole la sua recensione per «Le Figaro»:
“Che straordinario e stupefacente virtuoso il signor Massenet! Virtuoso egli si mostra, certo, tanto in Le roi de Lahore, Manon, e Werther che sono, io penso, le migliori tra le sue quindici o venti opere di teatro, quando in Marie-Magdeleine, che resterà, io credo, la più carina dei suoi innumerevoli lavori da concerto e forse la più tipica di tutte le sue partiture, ma mai lo fu tanto interamente, tanto coraggiosamente, quanto defintivamente quanto in Cendrillon, lo annuncio, ha riportato ieri un vivissimo successo all’Opéra-Charles PerraultComique”.
Lo strepitoso successo dell’opera è confermato anche da Arthur Pougin che, su «Le Ménestrel», scrisse:
“L’opera con la quale sto per intrattenervi ha ottenuto sulla scena dell’Opéra-Comique un successo tanto eclatante quanto incontestato. La sua apparizione è un nuovo trionfo per questa musica francese e veramente francese tanto più che alcuni dei nostri eccellenti compatrioti si sforzano oggi di ridimensionare per un più grande profitto un’arte straniera che non è, non saprebbe esserlo, e non sarà mai la nostra. Di questo trionfo, me ne rallegro da parte mia, poiché, se, come dicono alcuni, l’arte non ha più patria, almeno gli uomini ne hanno una, e che, per quanto mi riguarda, un evento felice per il mio paese mi tocca e mi riscalda il cuore. Ora, un successo artistico è un avvenimento, ed è perché, prima ancora di entrare nell’analisi dell’opera nuova, io ho tenuto a constatare l’accoglienza calorosissima, estremamente entusiastica, che essa ha ricevuto dal pubblico”.Una voce fuori dal coro fu quella di Fourcaud su «Le Gaulois» che iniziò la sua recensione ironizzando sul successo tributato dal pubblio all’opera di Massenet:
“All’uscita dalla rappresentazione di Cendrillon, un parigino raffinato tra tutti mi ha tenuto questo discorso: «Questo spettacolo delizioso. Non mi occupo della musica. Non cerco se libretto potrebbe essere migliore e se esso è anche nello spirito che sarebbe richiesto. Tutto ciò non ha molta importanza in questo caso. Ci sono state mostrate visioni brillanti e richiamati alla memoria ricordi d’infanzia di un grazia infinita. Per me, gli applausi del pubblico sono così giustificati». Con rispetto parlando, un tale giudizio mi ha fatto richiamare alla memoria la maliziosa risposta del pittore Courbet che aveva appena visitato la Bavaria di Monaco, quella statua colossale sulla quale si sale come in una torre. Ammiratori dell’opera gli chiedevano la sua impressione: «Oh! fece Courbet, la mia impressione è molto grande. Quando ci si avvicina alla gigantesca massa, non si suppone, a dire il vero, niente di tanto bello e non si pensa alla scultura, ma appena salito, che meraviglia! Fino all’orizzonte tutto è fiabesco, straordinario, veramente radioso». Quanto il maestro di Ornans aveva ammirato nel bronzo smisurato, era il paesaggio percepito dalla sua cima. Credo bene che, similmente, quanto ravvisato così bene, in Cendrillon, il fine Parigino del quale ho trascritto il piccolo discorso, è il poetico e popolare orizzonte del racconto di Perrault”.
La storia è quella di Cenerentola nota a tutti con una novità: l’introduzione del personagio di Pandolphe de la Haltière, padre di Cendrillon e marito della terribile M.me de la Haltière. Inoltre era previsto un prologo intitolato préface durante il quale sarebbero stati presentati, davanti a un sipario speciale, i protagonisti del lavoro, i costumi e le scene principali dei racconti di Perrault con le date della sua nascita e della sua morte (1628-1703), ma esso fu eliminato per volontà del direttore del teatro, Albert Carré, convinto che in tal modo sarebbero venuti meno la sorpresa e l’interesse del pubblico.
L’opera, che originariamente si apriva con un tableau che, secondo quanto narrato da Schneider, fu poi eliminato[1], mostra immediatamente il duplice carattere francese e italiano, già notato da Pougin nella sua recensione , con un’introduzione solenne e, in alcuni momenti, pomposa, che sembra perfettamente in stile con alcuni esiti della Tragédie-Lyrique di Lulli, mentre echi italiani si avvertono nella prima scena dell’atto primo, all’interno del quale si segnala, insieme alla malinconica cantilena, Reste au foyer, petit grillon, certamente la scena delle tre donne con Madame de la Haltière che esorta le sue figlie a farsi belle (Faites vous très belles, ce soir), che, come notato acutamente da Pougin:
“È affascinante e solidamente costruita, questa scena, nel vero tono dell’Opéra-Comique, con come una punta d’arcaismo che sembra riportarci al tempo stesso del conte di Perrault, e accompagnato da un’orchestra in cui l’impiego dei violivi ci ricorda la maniera di Cimarosa e, più vicino a noi, quella di Donizetti”
Aperto da un’introduzione, di cui sono protagonisti i flauti e le arpe e che disegna perfettamente il clima allegro della salle des fêtes, il secondo atto è incentrato sul divertissement, costituito da quattro brani e sul duetto tra Cendrillon e il Prince Charmant. Protagonista del primo brano del divertissement (Le fille de noblesse), che dietro il 6/8 nasconde le movenze di un valzer è il violoncello (Es.), mentre il secondo (Les fiancés) è una piccola pantomima finemente orchestra all’interno della quale spicca una frase dei due oboi. Non meno raffinata è l’orchestrazione del terzo pezzo, Les Mandores, del quale protagonisti sono i clarinetti e i corni accompagnati dai pizzicati degli archi; l’ultimo pezzo, La fiorentine, disegna un tema dalle movenze di siciliana. Affascinante è anche il duetto tra Cendrillon e il Prince Charmant, grazie anche all’accompagnamento dell’orchestra che si fonde perfettamente con le voci dei due personaggi.
Più vicino allo stile dell’Opéra-Comique è l’inizio dell’atto terzo con l’aria buffa di M.me de la Haltière Lorsqu’on a plus de vingt quartiers, il terzetto successivo delle figlie, Une intrigante, une inconnue, e il duetto di Pandolfe e di sua figlia, Viens, nous quitterons cette ville con le graziose imitazioni tra i due personaggi. Estremamente poetico è, infine, nel quarto atto il risveglio di Cendrillon.
[1] L. Schneider, Massenet. L’homme – Le musicien, Eugéne Fasquelle Editeur, Paris, 1926 pp. 158-159: «Cendrillon era preceduta, qualche giorno prima della sua prova generale, da un quadro che il librettista e il musicista avevano battezzato con il nome di Préface. Era, come nel Roméo di Gounod, un modo di far fare al pubblico conoscenza con i personaggi della pièce. Apparivano tutti in gruppo sul proscenio davanti a un secondo sipario su cui erano dipinte le principali scene dei racconti di Perrault, con queste due date: 1628-1703. Nel corso delle ultime prove di Cendrillon, Albert Carré, direttore dell’Opéra-Comique, credette che presentare in anticipo i personaggi di una fiaba, era come distruggere ogni sorpresa, ogni illusione, tanto più che ogni costume doveva essere visto con l’illuminazione che era necessaria all’azione. Di comune accordo tra gli autori e il direttore, la Préface fu soppressa. Scomparve dalla partitura. Dobbiamo dispiacerci di esser stati privati di questa amabile Préface? Errore da una parte della scena, verità al di là… o reciprocamente. La questione sembra abbastanza difficile da risolvere: solo il pubblico avrebbe potuto risolverla».
La presente guida all’ascolto è tratta dal libro di Riccardo Viagrande, Jules Massenet. Les tribulations d’un auteur, Casa Musicale Eco, Monza, 2012, pp. 125-128. Si ringrazia l’editore per aver concesso la pubblicazione di questo estratto.