Teatro La Fenice, Stagione sinfonica 2014-2015
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Jeffrey Tate
Gustav Mahler: Sinfonia n. 9 in Re maggiore
Venezia, 10 aprile 2015
La Nona, tra le sinfonie di Mahler, è forse quella che preannuncia con maggiore evidenza il futuro e nello stesso tempo è un lavoro in cui sono presenti, in forte rilievo, i caratteri peculiari dell’arte dell’autore boemo: la libera fantasia, la compresenza dei più disparati caratteri musicali, la predilezione per i contrasti marcati, l’unione di trasparenza e di densità di scrittura, di arcaismi e di inquietudini cromatiche, che guardano al futuro. Inconsueta (ma non è l’unico caso) anche la disposizione dei movimenti: due di andamento mosso al centro, due lenti agli estremi. Un esempio di disposizione analoga si trova nella Sinfonia “Patetica” di Čajkovkij, cui la Nona di Mahler deve, da un certo punto di vista, qualcosa: anche nella Sesta di Čajkovkij il primo movimento comincia con un Adagio che rievoca delle vicende autobiografiche, che assurgono alla dignità di epos individuale, e il finale rappresenta un congedo dalla vita.
Anche la Nona è una sinfonia legata a vicende personali, peraltro molto tristi o comunque traumatiche, che si abbatterono sull’autore nel 1907, un anno a dir poco cruciale: la morte della figlia maggiore Maria Anna (il 5 luglio) e a distanza di pochi giorni la scoperta di essere affetto da una disfunzione cardiaca, che non lasciava speranza, cui si aggiunsero le dimissioni dalla direzione della Hofoper di Vienna e la partenza per New York. La Nona, dunque, insieme alla Prima, alla Seconda, alla Sesta e alla Decima non può essere letta prescindendo dal suo contenuto autobiografico, che può anche assumere una valenza più ampia, se pensiamo a quello che sarebbe accaduto di lì a pochi anni: la Finis Austriae, il crollo di tutto un mondo …
Mahler – come si sa – non amava la musica a programma, non a caso ogni riferimento a vicende personali è assente dalle sue partiture, nondimeno negli abbozzi del primo movimento della Nona troviamo esplicite annotazioni, che testimoniano di uno stato di grande prostrazione e della sua consapevolezza della fine imminente. Del resto l’interpretazione contenutistica fu condivisa anche da Alban Berg, che diresse più volte la sinfonia: “Ho di nuovo eseguito la Nona sinfonia di Mahler. Il primo movimento è la cosa più splendida che Mahler abbia scritto”, affermerà in una lettera indirizzata alla moglie nell’autunno 1912.
Una sinfonia, dunque, oltremodo ricca di pathos, di brucianti riferimenti esistenziali, in cui domina il tema della morte, del saluto alla terra, ma nello stesso tempo anche la più costruita e la più meditata, per non dire la più profetica musicalmente parlando, caratterizzata da uno stile particolarmente raffinato, che ricerca sovente sonorità di tipo cameristico, mettendo in valore singoli timbri o ricercati impasti sonori. E sappiamo quanto la ricerca timbrica sia preponderante anche ai nostri giorni.
La lettura che ne ha offerto Jeffrey Tate, ospite, si può dire, fortunatamente abituale del Teatro La Fenice, sembra aver tenuto conto di questo duplice aspetto della sinfonia, coniugando una fortissima intensità espressiva ad una cura meticolosa del suono, riuscendo ad evidenziare, pur senza mai perdere di vista l’unità e la coerenza, i singoli strumenti, le più sottili sfumature di questa partitura, che contempla interventi della piena orchestra in misura più limitata, rispetto ad altri lavori sinfonici del compositore.
Nel primo movimento (Andante comodo) con il suo richiamo tematico al Lied von der Erde (una vera e propria “Sinfonia di Lieder”, che costituisce insieme alla Nona e all’adagio della Decima la cosiddetta “Trilogia della Morte”), si è imposta la solenne eleganza del fraseggio fin dalle prime battute, che sembravano venire gradatamente dall’oscurità alla luce, sfociando poi in un tema ampio ed espressivo, nel cui svolgimento venivano evidenziate le arditezze armoniche attraverso cui procede, oltre alla rigorosa scrittura contrappuntistica. Dopo qualche episodio luminoso, in cui primeggiavano i corni e le trombe, il movimento è terminato in un’atmosfera sospesa percorsa dal malinconico – e ineccepibile – assolo del violino. Notevole in precedenza, all’interno del movimento, anche l’assolo del flauto.
Lento e marcato il Ländler del secondo tempo, assecondando la concezione di Mahler, che stempera il suo carattere popolaresco e grossolano nei toni di una marcia funebre o macabra. Di grande fascino sonoro il Rondò-Burlesque, che inizia da un tema dissonante affidato ai fiati, trattato in forma di doppia fuga, dando l’avvio ad un movimento dai ritmi e dai temi inconsueti con alternanza di episodi di esasperata concitazione a momenti distesi e trasognati. Intonatissima la prima tromba cui è affidato un motivo dalla sinuosa linea dal carattere cromatico, poi variato in modo più “tonale” e affidato anche agli archi, preannunciando l’Adagio conclusivo.
Sublime l’interpretazione, da parte di Tate di questa pagina ricca di pathos, giustamente famosa, anche se meno inflazionata dell’Adagietto della Quinta. Qui Tate, che ha estenuato progressivamente i tempi, ha saputo rendere appieno il carattere cupamente meditativo di questo movimento, che risente dell’influenza di Bach (in particolare delle Passioni) come di Bruckner (pensiamo alla Nona), fondandosi su due complessi tematici: il primo è il citato motivo del terzo movimento, l’altro è invece rappresentato da una sezione in modo minore dal carattere spettrale. All’interno del movimento si sono ben evidenziate le linee dinamiche ascendenti, che portano al culmine di qualche climax, ma negli ultimi minuti ogni enfasi si è spenta, e il discorso diventato sempre più frammentato, sfociando poi in una coda, dove la musica ha sfiorato il silenzio … crudelmente lacerato dalla suoneria di un cellulare … “O tempora, o mores ! …”.In ogni caso, grande, meritatissimo successo per il Maestro inglese e l’orchestra.