Prima rappresentazione: Opéra di Parigi, 27 aprile 1877
Ritornato da Roma a Parigi, Massenet si dedicò a un libretto di Jules Adenis, Les Templiers, ma, dopo aver scritto più di due atti, non riuscì a continuare pur essendo il soggetto molto interessante e, con l’approvazione di Hartmann, distrusse le 200 pagine che aveva appena scritto, come egli stesso ricordò in Mes souvenirs, anche se probabilmente una parte di quella musica fu da lui riutilizzata per altri lavori. Come si legge ancora nell’autobiografia:
“In preda a un turbamento inesprimibile, non sapendo più dove andare, mi decisi ad andare a trovare il mio collaboratore di Marie-Magdeleine, Louis Gallet, allora economo all’ospedale Beaujon.
Uscii da quel colloquio con il piano di Roi du Lahore. Dal rogo dell’ultimo gran maestro dei Templari, Jacques de Molay, che io avevo abbandonato, mi ritrovavo nel paradiso di Indra. Era il settimo cielo per me!”
Massenet vi lavorò con impegno attratto dal soggetto esotico creando un’opera monumentale in cinque atti e sette quadri che fu rappresentata per la prima volta il 27 aprile 1877 all’Opéra a Parigi con Marius Salomon nelle vesti di Alim, con il baritono Jean Lassalle nei panni di Scindia, con Josephine de Reszké nel ruolo di Sita e il mezzosoprano Jeanne Fouquet in quello di Kaled. L’opera è ambientata a Lahore in India invasa dai mussulmani. Mentre il popolo implora l’aiuto della divinità nel tempio d’Indra, giunge Scindia, ministro del re Alim, il quale, innamorato della nipote Sita, sacerdotessa del tempio, chiede al gran sacerdote Timour di liberarla dai voti. Al rifiuto del vecchio, Scindia accusa la nipote di sacrilegio dal momento che ogni sera all’ora delle preghiera s’incontra con un misterioso straniero. Effettivamente l’ignoto straniero è il re Alim al quale si impone di partire per la guerra contro i mussulmani in espiazione della colpa. Scindia allora trama un complotto contro il re che muore nella battaglia del deserto di Thöl. Scindia allora si proclama re e trascina con sé Sita accorsa presso Alim. L’anima di Alim giunge nel Paradiso d’Indra e ottiene di potersi reincarnare diventando un uomo umile. Torna così a Lahore e durante le feste per l’incoronazione di Scindia, reclama Sita, ma, pur essendo stato riconosciuto in viso dal popolo, è considerato un pazzo e condannato a morte per ordine di Scindia. Timour e i sacerdoti prendono Alim sotto la loro protezione e lo conducono nel tempio, dove viene raggiunto da Sita che disperata per l’arrivo dei soldati di Scindia, si uccide col pugnale. La sua morte causa quella di Alim il quale nel momento della reincarnazione, aveva accettato che sarebbe morto subito dopo la morte di Sita. I due amanti finalmente sono felicemente uniti nel paradiso di Indra.
L’opera ebbe un successo notevole non solo all’Opéra dove era rimasta in cartellone per ben 30 serate, ma anche all’estero e soprattutto in Italia dove giunse grazie all’interessamento di Tito Ricordi. La critica registrò immediatamente questo successo con Paul Bernard, che sempre sulla «Revue et Gazette musicale» non mancò di notare che
“la sera della prima rappresentazione, una sala composta dall’elite intellettuale di Parigi proclamava con i suoi applausi la riuscita di uno dei più simpatici campioni della giovane scuola francese. Subito si è capito che l’opera nuova del signor Massenet era di quelle che si impongono, non solamente perché vi si scopre in più di un passo il sigillo sacro dell’ispirazione, ma perché vi si incontrano in ogni pagina gli studi coscienziosi di un ricercatore”.
Come nei brani sinfonici delle altre opere, l’ouverture di Le roi de Lahore mostra la straordinaria perizia nella scelta dei timbri e delle sonorità di Massenet. Una fanfara, che apre l’ouverture e ritorna al suo interno, contrasta con passi dolci e poetici di cui sono protagonisti gli archi e in particolare modo i violini che, con grandi aperture melodiche voluttuose e di un misticismo orientaleggiante, evocano una visione paradisiaca (Es. 1).
Protagonista del primo atto è il coro che appare subito nella scena ed è trattato da Massenet come in un oratorio. Raffinato è il coro Bientôt les musulmans, nel quale vengono finemente evocate immagini di terrore e di tormento, mentre il duetto tra Scindia e il gran sacerdote, come giustamente notato da Bernard:
“porta allora la sua nota tenera sulla frase adorabile: Je veux croire à ton innocence. Questo pezzo, ben sviluppato, è perfetto in tutti i punti”.
Non meno bello è il secondo quadro del primo atto, aperto da un soave coro di sacerdotesse nel quale è introdotto un tema che sarà ripreso nella marcia religiosa. Molto bello ancora una volta per le scelte timbriche è il successivo duetto tra Scindia e Sita che, sul tema già sentito nell’ouverture, racconta la sua visione, mentre il gong sacro dà inizio al Finale del primo atto.
All’inizio del secondo atto Massenet sovrappone con straordinaria finezza situazioni psicologiche diverse alle quali corrispondono piani musicali diversi con i soldati che giocano a scacchi, le danzatrici e Sita e Kaled, in ansia per la battaglia, che presentano delle caratterizzazioni musicali varie. Un altro momento di autentica poesia è rappresentato dal duetto tra Sita e Kaled e soprattutto dalla romanza di quest’ultimo Repose o belle amoureuse venata di malinconia. Per il resto l’atto secondo non mantiene lo stesso livello artistico del primo con il ritorno delle fanfare dell’ouverture che finiscono per appesantirlo.
Diversa è, invece, la scrittura dell’atto terzo, dove è rappresentato Le paradis d’Indra nelle cui vette il pubblico sembra proiettato da arpeggi di arpe celestiali che accompagnano cori altrettanto celestiali in una scrittura colma di grazia e raffinata nelle scelte timbriche originali anche nell’uso del sassofono che precede un valzer lento molto bello, mentre l’Oriente trova la sua espressione in un tema induista esposto dal flauto e variato dall’orchestra. Il punto culminante di questo atto è raggiunto nell’incantesimo di Indra alle parole: Qu’il soit lui, qu’il ne soit plus lui.
L’analisi del quarto atto non può prescindere dallo studio delle modifiche che il compositore apportò all’opera per le diverse rappresentazioni. Nella prima versione l’atto si apre con una Scena, Recitativo ed aria di Alim, Voix qui me remplissez, che, nella versione italiana è preceduta da un preludio, da un recitativo di Sita, chiamato Nair, Da me voglio bandir e da una duetto con Timour, O Nair, ti diss’io. Nella versione dell’opera approntata per la rappresentazione al Teatro Apollo di Roma, per la quale il compositore poteva contare della splendida voce di Maddalena Mariani-Masi, questo duetto fu sostituito dall’aria Ma non tremar d’orrore composta espressamente per il soprano fiorentino. Naturalmente le modifiche, che non riguardarono soltanto interi pezzi, ma anche, qualche volta, l’orchestrazione, furono dettate dall’organico e dal cast diverso. L’aria Ma non tremar d’orrore, ampia e nello stile italiano, esalta le caratteristiche vocali della Mariani-Masi, soprano drammatico con un’ottima ottava centrale, mentre il duetto con Timour, pubblicato nella versione italiana da Ricordi, è molto più funzionale all’azione e musicalmente non meno valido dell’aria. Nella successiva marcia del corteggio di Scindia vengono ripresi elementi tematici della marcia religiosa dell’atto primo rielaborati in modo del tutto nuovo e originale. Tra i pezzi più applauditi alla prima rappresentazione, come ricordato sempre da Bernard nella sua recensione, è l’aria di Scindia Promesse de mon avenir, un brano di grande fascino grazie all’ampia linea melodica (Es. 2):
“Il finale dell’atto, forse un po’ troppo lungo, si illumina alle parole c’est un dieu qui l’inspire, che come notato sempre da Bernard è una frase ritmica di un grande potere e che si accresce di un calore comunicativo quando è ripresa in un insieme di tratti migliori”.
Un brevissimo ma intenso entr’ecte (Adagio sostenuto) con una melodia di intenso lirismo introduce l’altrettanto breve quinto atto all’interno del quale si segnalano l’aria di Sita, De ma doleur que la mort me delivre e il duetto tra Alim e Sita.
Le roi de Lahore, nonostante qualche passo meno interessante, è certamente la più matura delle prime opere di Massenet che qui trattò le voci con la stessa finezza con la quale ha sempre trattato la parte orchestrale mostrando nel contempo elementi del suo personalissimo linguaggio musicale e teatrale.
La presente guida all’ascolto è tratta dal libro di Riccardo Viagrande, Jules Massenet. Les tribulations d’un auteur, Casa Musicale Eco, Monza, 2012, pp. 51-55. Si ringrazia l’editore per aver concesso la pubblicazione di questo estratto.