Teatro Comunale – Stagione d’opera 2015
“JENUFA”
Opera in tre atti dal dramma “La sua figliastra” di Gabriela Preissova
Musica e libretto di Leóš Janáček
Jenůfa ANDREA DANKOVA
Laca Klemeň BRENDEN GUNNELL
Števa Buryja ALES BRISCEIN
Kostelnička Buryjovka ANGELES BLANCAS GULÌN
Starenka Buryjovka (La nonna) GABRIELLA SBORGI
Stárek (Il mugnaio) MAURIZIO LEONI
Rychtář (Il sindaco) LUCA GALLO
Rychtářka (La moglie del sindaco) MONICA MINARELLI
Karolka LEIGH-ANN ALLEN
Pastuchyna ARIANNA RINALDI
Barena ROBERTA POZZER
Jano SANDRA PASTRANA
Tetka GRAZIA PAOLELLA
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Juraj Valčuha
Maestro del Coro Andrea Faidutti
Regia e scene Alvis Hermanis
Costumi Anna Watkins
Luci Gleb Filshtinsky
Video Ineta Sipunova
Bologna, 19 aprile 2015
Che il teatro musicale del Novecento goda di buona salute ce n’eravamo già accorti, sempre qui a Bologna, a dicembre 2014, per una “Lady Macbeth” di Šostakovič originale, serrata, divertente. Sarà perché di fronte a questo repertorio abbiamo la mente sgombra da pregiudizi e ci godiamo la voglia di ricerca e la capacità di mescolare spunti diversi. Qualità che Alvis Hermanis ha dimostrato nel mettere in scena “Jenůfa” qui a Bologna.
Il regista/scenografo lettone cava dal capolavoro di Janáček un quadro visivamente appagante e logicamente serrato. Il secondo atto è calato nel più crudo Realismo socialista. Letti sfatti, lampadine squallide, televisione accesa sul canale unico di regime, forno con piastre e frigorifero. Qui la recitazione è netta, asciutta, ficcante. Questo è il cuore della storia, la cruda realtà che vivono Jenůfa e la Kostelnička. Perfetta traduzione delle sonorità cupe e delle modulazioni brusche evocate in partitura. Tutt’altra atmosfera per primo e terzo atto: al bando il naturalismo, benvenuta l’evocazione del popolare così come lo vedevano Alfons Mucha e seguaci nell’esplosione boema dell’Art Nouveau. I personaggi stanno in proscenio, si irrigidiscono in gesti stilizzati o si accendono in guizzi che sanno di riti pagani veri o presunti. Se c’è ritmo, è grazie al sontuoso brulicare di ballerine dietro di loro (figure da frontone Liberty) e all’eterno roteare delle proiezioni di Ineta Sipunova. Rabbiosi nella loro primitività, quasi usciti da un museo etnografico, i costumi del coro, nella curatissima realizzazione di Anna Watkins. Ovvio che una visione così ricca non reggerebbe se la compagnia di canto non fosse di buon livello. La cosa non solo si realizza puntualmente, ma almeno un’interpretazione è davvero memorabile. Angeles Blancas Gulìn con questa Kostelnička segna una delle vette della sua carriera. Ovunque sfoggia un’espressività al calor bianco: ieratica nel primo atto eppure già dolente, sfoggia acuti solidissimi, proiezione infallibile, appoggio da manuale e un istinto teatrale rarissimo da trovare altrove. Ecco allora che il finale del secondo atto le vale applausi a non finire. Bel contrasto con la Jenůfa di Andrea Dankova, veterana del ruolo e protagonista in questo allestimento già al Théâtre de la Monnaie di Bruxelles. Voce di bel timbro, più giovanile e più morbida rispetto all’asprigna Gulìn, non le manca mai il peso giusto. Scelti con intelligenza per i due impervi ruoli tenorili Brenden Gunnell e Ales Briscein, rispettivamente Laca e Števa: tanto la vocalità del primo è più chiaroscurata e raccolta (a rischio talvolta di non passare la buca), tanto il secondo è di accento più spavaldo e sfogato in acuto.
Autorevoli, ben cantati la nonna di Gabriella Sborgi e il mugnaio di Maurizio Leoni, vivace e puntuale lo Jano di Sandra Pastrana, di bel timbro la Karolka di Leigh-Ann Allen, meno gradevole la moglie del sindaco di Monica Minarelli. Corretto il sindaco di Luca Gallo e Coro del Comunale impeccabile e vivace come sempre più spesso accade. Per ultimo lasciamo Juraj Valčuha, non certo per demerito: ci voleva un direttore da grande repertorio sinfonico come lui per dosare timbri, dare ritmo, costruire un impianto musicale lussureggiante ma lucido. Sotto la sua bacchetta, l’Orchestra del Comunale suona ancora una volta bene, benissimo e con quella dose di sangue freddo che serve quando si deve masticare una partitura come questa: impervia ma sempre (a 111 anni dalla prima esecuzione) affascinante. Foto Rocco Casaluci