Reggio Emilia, Teatro Municipale Valli, Stagione d’opera 2015
“FALSTAFF”
Commedia lirica in tre atti. Libretto di Arrigo Boito
Musica di Giuseppe Verdi
Sir John Falstaff KIRIL MANOLOV
Ford FEDERICO LONGHI
Fenton MATTHIAS STIER
Dottor Cajus GIORGIO TRUCCO
Bardolfo MATTEO FALCIER
Pistola GRAZIANO DALLAVALLE
Mrs. Alice Ford ELEONORA BURATTO
Nannetta DAMIANA MIZZI
Mrs. Quickly ISABEL DE PAOLI
Mrs. Meg Page ANNA MALAVASI
Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Direttore Nicola Paszkowski
Maestro del Coro Corrado Casati
Regia e ideazione scenica Cristina Mazzavillani Muti
Costumi Alessandro Lai
Luci Vincent Longuemare
Reggio Emilia, 8 marzo 2015
Chi ancora si chiede a cosa serva un direttore d’orchestra avrebbe dovuto ascoltare questo “Falstaff” reggiano, che nacque a Ravenna nel 2013 e che lì tornerà il prossimo luglio. Nella buca del Teatro Valli c’è l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, quella voluta da Riccardo Muti. Quando la dirige lui (accadrà anche nella ripresa ravennate), dinamiche, colori, equilibri mirabili. Quando altri ci mettono le mani, la musica cambia. Come succede con Nicola Paszkowski: troppo impegnato a districare la densissima scrittura verdiana, si scorda di tenere a bada gli ottoni, perde gli attacchi importanti, se prova ad alleggerire annoia, se cerca il fortissimo appesantisce. Peccato perché il materiale strumentale non manca, ma fra i leggii serpeggiano grigiore e stonature. Gli scollamenti con il palcoscenico poi non si contano: faticosi non solo i concertati ma anche i duetti, tortuosissimo l’incedere del quadro della cesta e neppure il fugato finale fila via liscio, sebbene tutti i membri del cast stiano immobili in proscenio. Cast a dire il vero piuttosto altalenante e non prodigo di quelle finezze che invece “Falstaff” reclama. A partire dal protagonista: Kiril Manolov è sir John nella stazza e nel portamento, ha timbro piacevole ma fin troppo coperto, è affaticato nelle mezze voci e in zona acuta. Se in fin dei conti se la cava, è per una certa qual simpatia d’accento. Accanto a lui l’Alice elegantissima di Eleonora Buratto, non troppo espressiva ma ben cantata dall’inizio alla fine. Non le è da meno Federico Longhi. Passi se qualche suono è troppo aperto: il suo è un Ford autorevole, di voce robusta e registri omogenei. Damiana Mizzi e Matthias Stier sono Nannetta e Fenton, amorosi di voce chiara, la prima più solida del secondo, che ha ancora da lavorare sugli acuti. Isabel De Paoli cede alla tentazione di ingrossare le note gravi. Risultato: la sua Quickly è piuttosto disomogenea. Peccato. Corretti Matteo Falcier e Graziano Dallavalle nei panni di Bardolfo e Pistola, meno gradevole il Dottor Cajus di Giorgio Trucco e scura (anche troppo) la Meg di Anna Malavasi.
Non si è detto finora della regia, debolissima, di Cristina Mazzavillani Muti: trovate facili, mancanza di idee, gusto discutibile sono i cardini della messinscena. La pensata di ambientare l’opera nei luoghi della vita di Verdi si esaurisce in qualche maldestra videoproiezione di foto di Villa Sant’Agata, del Teatro di Busseto, della casa natale delle Roncole. L’effetto da spot turistico sulla Bassa padana è raggelante, privo di poesia, tanto più che la qualità delle immagini è assai dubbia. Per giunta, i costumi (di Alessandro Lai) sono in perfetto stile elisabettiano, alla faccia della coerenza estetica. La direzione degli attori è tutta all’insegna dell’ammiccamento, del ditino puntato, delle sculettate, del ballare a tempo di musica perché non si sa come muovere i personaggi, della caviglia mostrata con brivido pecoreccio. E nell’Osteria della Giarrettiera, Falstaff e Quickly ricordano pericolosamente Fantozzi e la signorina Silvani. Vero, trovare la misura per l’umorismo amaro di Verdi è difficile, ma non impossibile. Il rischio di cadere nella seriosità è pari a quello di trasformare l’opera in un qualunque vaudeville di corna alla Feydeau. Ma qui siamo finiti proprio fuori strada. Foto Anceschi