Teatro Petruzzelli – Stagione d’Opera 2015
“MADAMA BUTTERFLY”
Tragedia giapponese in tre atti a scena unica, libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
Musica di Giacomo Puccini
Cio-Cio-San YASKO SATO
Suzuki ANNUNZIATA VESTRI
F.B. Pinkerton ANGELO VILLARI
Kate Pinkerton SIMONA DI CAPUA
Sharpless MARIO CASSI
Goro FRANCESCO CASTORO
Il principe Yamadori MARCO BUSSI
Lo zio bonzo MIKHAIL KOROBEINIKOV
Yakusidè GRAZIANO DE PACE
Il commissario imperiale GIANFRANCO CAPPELLUTI
L’ufficiale del registro ANTONIO MUSERRA
La madre IVANA PADOVANO
La zia FRANCESCA BICHIERRI
La cugina ROBERTA SCALAVINO
Dolore SUSANNA CAVALLO
Orchestra e Coro del Teatro Petruzzelli
Direttore Giuseppe Finzi
Maestro del Coro Franco Sebastiani
Regia Fabio Ceresa
Scene Tiziano Santi
Costumi Tommaso Lagattolla
Disegno luci Fiammetta Baldisseri
Bari, 17 marzo 2015
Allestita in coproduzione con il Maggio Musicale Fiorentino, la Madama Butterfly della Fondazione Petruzzelli si è distinta per due tratti salienti riferibili alla componente visiva, musicale e attoriale: essenzialità ed eleganza. La scenografia di Tiziano Santi – monocromatica, ieratica e allusiva a un’idea di destino ineluttabile che schiaccia il singolo individuo – ha stilizzato la «casa a soffietto», irrisa da Pinkerton, realizzando fuori scala le pareti illustrate da Goro che «vanno e vengono a prova, a norma che vi giova nello stesso locale alternar nuovi aspetti ai consueti». Si è trattato di un’operazione di sottrazione dell’elemento esotico a tutto vantaggio d’un simbolismo efficace e di forte impatto visivo che rintraccia negli sfondi del pittore Ogata Korin (attivo nel secondo Seicento) il modello di riferimento stilistico. Il calligrafismo di quel maestro giapponese ha trovato una nuova declinazione nei costumi di Tommaso Lagattolla, raffinatissimi per confezione e scelte cromatiche, virtuosistici nella meticolosa riproduzione di tagli e fogge tradizionali ma vibranti di teatralità intrinseca (primo fra tutti quello del principe Yamadori). I costumi vivificavano la scenografia ed essa i costumi in un gioco di perfetta complementarietà. In rapporto dialettico con le porte della casa dove si consuma la più claustrofobica delle tragedie, lo scenografo ha voluto porre un pontile affacciato sull’infinito, reso suggestivo nella sua carica simbolista dal disegno luci di Fiammetta Baldiserri, anch’esso calibrato con equilibrio rispetto alle scene e ai costumi (memorabile, per delizia visiva, l’ingresso di Butterfly attorniata dalle amiche e circondata da zattere e lanterne). In questa cornice visiva spoglia ma espressiva, all’insegna di un’esattezza mai algida, i cantanti sono stati ben guidati dalla regia di Fabio Ceresa che ha prescritto un contenimento gestuale piuttosto marcato, anch’esso in linea con le abitudini mimiche e prossemiche del Giappone, con quella gestualità «sfiorante e pur profonda» di cui parla Cio-Cio-San. Tra il primo e il secondo atto di Butterfly trascorrono tre anni; tra il secondo e il terzo qualche ora, per Ceresa il tempo impiegato dalla neve a posarsi a terra e formare cumuli. La nevicata che si abbatte sul pontile e che copre l’attesa di Butterfly – una neve non atmosferica, bensì dell’anima – ha accompagnato uno dei momenti più suggestivi di questo allestimento, segnando il culmine di una lettura simbolista, alla Maeterlinck del dramma di Belasco. Come i quattro responsabili dell’aspetto visivo di questa messinscena hanno rispettato e al tempo stesso sublimato i riferimenti all’esotismo nipponico d’ascendenza liberty, così il direttore Giuseppe Finzi ha rispettato e insieme reso attuale la partitura di Puccini, una delle più precise nella definizione dei leitmotiv e nella gestione delle architetture formali. Precisione di gesto, correttezza agogica e assenza di manierismi hanno infatti assicurato una fluidità complessiva alle tre scene uniche che nel passare dei decenni paiono non solo non perdere fascino ma acquisirne di nuovo. Ottima l’interpretazione del Coro preparato da Franco Sebastiani così come quella dell’Orchestra del teatro Petruzzelli.
Non è sempre scontato che un soprano di nascita giapponese possa ben interpretare Cio-Cio-San, poiché non basta condividere l’identità etnica per incarnare l’ambiguità di un personaggio sospeso tra delicatezza e forza; vi è riuscita Yasko Sato, in virtù di una voce esile e al contempo potente. Un ingresso anticipato e qualche incertezza nelle zone di passaggio di registro non hanno affatto inficiato una performance che conferma una raggiunta maturità. Notevole per nitore interpretativo il Pinkerton di Angelo Villari, che mai cede agli insidiosi eccessi di esuberanza tipici di quella parte e che palesa la padronanza dei propri mezzi vocali anche nei brani d’assieme. La scelta di contenere le espansioni liriche del duetto di Butterfly e Pinkerton è rientrata in un’asciuttezza che Finzi ha voluto imprimere ai due protagonisti. Intenso sul piano attoriale lo Sharpless di Mario Cassi, baritono di voce pastosa ed elegante, perfettamente adeguata al personaggio del console ma non ancora perfettamente a suo agio nella zona grave. Stesso appunto si può muovere alla Suzuki di Annunziata Vestri che tuttavia ha ben realizzato l’innovativa lettura della sua parte pensata dal regista: Suzuki surroga la madre di Cio-Cio-San nel difenderla dagli attacchi dello zio bonzo e al tempo stesso con lui ha uno sguardo d’intesa; con i suoi lunghi capelli bianchi da demone nipponico, dedita a pitture calligrafiche che contrappuntavano in ‘controtempo’ la concitazione dell’inizio dell’opera, Suzuki ha infatti assunto qui un ruolo quasi sacrale di officiante d’un rito di morte inevitabile, proponendosi come profetessa consapevole del destino sacrificale di Cio-Cio-San, consolatrice dell’afflitta Butterfly e collaboratrice dei suoi carnefici. Buono il Goro di Francesco Castoro che conferma un periodo di grande crescita professionale. Tra le parti di fianco, tutte ben preparate, vanno segnalati lo zio bonzo di Mikahil Korobeinikov e il principe Yamadori di Marco Bussi. Foto Carlo Cofano