Bruxelles, Théâtre La Monnaie: “Jakob Lenz”

Bruxelles, Théâtre La Monnaie – Stagione 2014/2015     
JAKOB LENZ” 
Kammeroper (1977/78) su testo di Michael Fröhling liberamente tratto dal racconto “Lenz” di Georg Büchner
Musica di Wolfgang Rihm
Jakob Lenz GEORG NIGL
Oberlin HENRY WADDINGTON
Kaufmann JOHN GRAHAM-HALL
Sopran 1 IRMA MIHELIC
Sopran 2 OLGA HEIKKILA
Alt 1 MARINA FISELIER
Alt 2 STINE MARIE FISCHER
Bass 1 DOMINIC GROBE
Bass 2 ERIC ANDER
Akrobat MARTIN BUKOVSEK
Orchestra sinfonica del Théâtre La Monnaie
Direttore Franck Ollu
Regia Andrea Breth
Scene Martin Zehetgruber
Costumi Eva Dessecker
Luci Alexander Koppelmann
Drammaturgia Sergio Morabito
Nuova produzione in collaborazione con la Oper Stuttgart e la Staatsoper Unter den Linden (Berlino)   Bruxelles, 7 marzo 2015        
Un’altra opera contemporanea nel programma 2014/2015 del Théâtre La Monnaie, che continua in questa stagione a far scoprire al suo pubblico opere poco conosciute o raramente rappresentate. Scritta da un giovane Wolfgang Rhim nel 1978, “Jakob Lenz” è un’opera da camera che ha conosciuto un successo costante, soprattutto nei paesi di lingua tedesca, fin dalla sua prima rappresentazione nel 1979. L’allestimento in scena alla Monnaie è frutto di una coproduzione con il teatro dell’opera di Stoccarda e con la Staatsoper Unter den Linden di Berlino, e ha già riscosso un buon successo a Stoccarda nel 2014 con un cast sostanzialmente identico a quello ora impegnato a Bruxelles. L’opera è ispirata alla storia di Jakob Lenz, poeta e scrittore tedesco, annoverato fra gli autori e iniziatori dello Sturm und Drang, amico di Goethe, e afflitto fin dalla giovane età da una malattia mentale progressiva che oggi verrebbe associata alla schizofrenia. La vicenda è stata ripresa da Georg Büchner nella sua novella Lenz, che è servita d’ispirazione a Michael Fröhling per il libretto. Lenz, tormentato dai suoi demoni interiori, mortificato dal suo amore non corrisposto per Friederike, viene accolto dal pastore Oberlin che semplicisticamente lo spinge a trovare pace nella natura, ma è anche sottoposto all’influenza severa e impietosa di Kaufmann.
L’opera si compone di dodici scene e un epilogo, inframezzati da interludi musicali. Le scene rappresentano i momenti salienti della triste vicenda di Jakob, i suoi stati d’animo e i suoi fantasmi. Non si può parlare di una trama vera e propria, ma piuttosto di una successione di immagini, rappresentazioni di emozioni, di momenti interiori del personaggio principale, che seguiamo scena dopo scena nel suo triste degrado. Oberlin e Kaufmann servono da riferimento per apprezzare la progressiva perdita di contatto con la realtà del povero Jakob, e la sorte cruda riservata alla malattia mentale nei secoli passati come al giorno d’oggi. E’ sicuramente una rappresentazione molto efficace del disagio psichico e dei suoi effetti devastanti, che non lascia indifferenti ma anzi coinvolge a fondo lo spettatore. La compagine vocale, oltre ai tre personaggi principali, è composta di sei voci – due soprano, due contralto, due bassi – che esprimono quelle voci interiori che tormentano Jakob e che solo lui può sentire, e il fatto che le sentiamo anche noi ci porta veramente a immedesimarci nell’angoscia del protagonista. Interessante e ben calibrata la regia di Andrea Breth, che trasmette lo stesso senso di angoscia e di scollamento dalla realtà, appena accennato nelle prime scene quando Jakob riesce ancora ad interagire in modo socialmente accettabile, e via via più dirompente e violento a mano a mano che la malattia devasta il già precario equilibrio del protagonista. Anche le scene di Martin Zehetgruber accompagnano lo spettatore nella progressione di Jakob verso la pazzia, passando dalla vena di surrealismo e irrealtà di certi primi quadri alla violenta, cruda realtà dell’internamento psichiatrico nell’epilogo, con il letto in ferro e la camicia di forza che imprigiona un Jakob ormai delirante e derelitto. Scena, quest’ultima, non molto originale, a dire il vero. Più interessanti le scene, soprattutto iniziali, dove ci viene offerta la visione lievemente distorta della realtà che affligge il protagonista, con oggetti sotto o sovradimensionati, o fuori posto, o riflessi in un gioco di specchi che sono già sintomo di una mente malata, e che ricordano per certi versi le scene disegnate da Salvador Dalì per il film Io ti salverò di Alfred Hitchcock. I costumi di Eva Dessecker e le luci di Alexander Koppelmann contribuiscono a dare il tocco finale all’atmosfera cupa e opprimente dell’opera, con la prevalenza di tonalità e colori grigi, severi, spenti. La musica, colonna sonora della discesa agli inferi di Jakob, è affidata a un’orchestra di soli undici elementi – tre violoncelli, un clavicembalo, cinque legni, due ottoni – oltre alle immancabili percussioni. La partitura è eclettica negli stili e nei riferimenti ad altri autori, e necessiterebbe probabilmente di un secondo ascolto per meglio apprezzarne le sfumature. Franck Ollu dirige l’insieme orchestrale con grande precisione, con una cura attentissima al dettaglio espressivo, e riesce a dare una rappresentazione molto efficace degli umori instabili di Jakob, il suo passare dal tormento all’entusiasmo effimero per poi ripiombare nella disperazione. Fra gli interpreti, il baritono austriaco Georg Nigl apporta sicuramente un contributo decisivo al successo dell’allestimento, sia per le doti di cantante che per l’indiscutibile talento di attore. Nigl conosce molto bene la parte e si vede. Musicalmente non ha una esitazione, e dimostra una grande duttilità nei passaggi tra registri spesso contrapposti e inusuali. E, come attore, si cala nel personaggio con immedesimazione pressoché totale, conferendogli una credibilità e una verità che toccano profondamente, e che sono rare a vedersi persino a teatro. Molto validi anche Henry Waddington nel ruolo del mite pastore dalle buone intenzioni, e il tenore inglese John Graham-Hall che interpreta con grande espressività un Kaufmann dai tratti malefici, al limite del sadismo, forse più efficace nelle parti recitare che in quelle cantate. Bene anche le sei voci del coro, venute direttamente da Stoccarda. Diversi posti vuoti in sala, per la sesta e ultima rappresentazione in calendario. Ma il pubblico ha mostrato il suo apprezzamento convinto alla fine, con lunghi applausi e ovazioni in particolare per Georg Nigl, e con un’intensità superiore alla media per gli standard de La Monnaie. La rappresentazione, forte e cruda, di un’emozione e di una tematica di ovvia modernità sembra pagare in termini di successo di pubblico e di critica, e fa passare in secondo piano l’esiguità della trama, e il contributo della parte vocale che è solo uno dei molti elementi dell’opera, ma non certo il principale. Foto Bernd Uhlig