Teatro dell’Opera di Firenze – Stagione Lirica 2014-2015
“IL PIPISTRELLO” (Die Fledermaus)
Operetta in tre atti di Carl Haffner e Richard Genée
Versione italiana ritmica di Gino Negri
Musica di Johan Strauss, Jr.
Gabriel von Eisenstein GABRIELE SPINA
Rosalinde CATERINA POGGINI
Alfred ARTEM TARASENKO
Adele ADINA VILICHI
Frank DIELLI HOHXA
Orlofsky ISABELLA MESSINESE
Falke DARIO SHIKHMIRI
Blind CLAUDIO MUGNAINI
Ida AMELIA BURNS
Ivan ANTONIO PANNUNZIO
Frosch DAVID RIONDINO
Ospiti nella festa del II atto: MARINA COMPARATO, EVA MEI
Pianoforte Elisabetta Sepe
Orchestra e Coro del Conservatorio di Musica “Luigi Cherubini” di Firenze
Direttore Paolo Ponziano Ciardi
Maestro del Coro Francesco Rizzi
Regia e adattamento dialoghi Riccardo Massai
Luci Gianni Paolo Mirenda
Firenze, 17 febbraio 2015
Parte integrante della cultura nazional-popolare dei paesi di lingua tedesca, e rappresentatissima anche nelle nazioni anglofone,Die Fledermaus, nonostante la fama di regina delle operette viennesi, non è mai stata presente con frequenza nei cartelloni dei teatri d’opera italiani, e non sorprende quindi più di tanto apprendere che tale fonte inesauribile di celeberrime melodie non sia mai apparsa prima d’ora nelle stagioni del Maggio Musicale. Ed anche questa era in fin dei conti un’entrata dalla porta posteriore: si trattava infatti del frutto della collaborazione fra l’Opera di Firenze e il Conservatorio Luigi Cherubini, che ha messo a disposizione orchestra, coro e solisti. In programma per una singola recita, è stata concepita come suggello musicale -nel giorno di martedì grasso – del Carnevale fiorentino, scelta felicissima trattandosi di un’operetta la cui trama è imperniata su una serie di equivoci che coinvolgono persone che si nascondono dietro una maschera e in cui persino il titolo si riferisce ad un costume. Come avviene quasi sempre nei paesi non germanofoni, l’operetta è stata eseguita nella lingua del luogo, in questo caso nella bella versione ritmica di Gino Negri, con dialoghi adattati da Riccardo Massai, che ne ha curato anche la regia in forma semiscenica; e se quindi le scene erano eufemisticamente scarne, molta cura era stata palesemente riversata nelle interazioni fra gli attori-cantanti. Il cast era appunto formato da studenti del Conservatorio, ed il livello di preparazione non poteva certo dirsi omogeneo: se alcuni si sono dimostrati già pronti o quasi per la vera e propria carriera, altri hanno al contrario evidenziato troppe acerbità per poter scendere da subito nell’arena. Il ruolo ibrido di Eisenstein, scritto per tenore, viene quasi sempre assegnato a un baritono, probabilmente per differenziarlo da Alfred, e così facendo spesso si rischia di eliminare la giusta distinzione timbrica nei suoi duetti con Falke e Frank. Gabriele Spina possiede il timbro adatto al ruolo: baritono lirico, non si confonde con le altre voci gravi e non presenta particolari problemi ad affrontare una tessitura piuttosto acuta. Parimenti la Rosalinde di Caterina Poggini ha un timbro più caldo e lirico di quello di Adina Vilichi, la quale ha in ogni modo mostrato una voce più morbida e sostanziosa di quella solitamente offerto dalle soubrette che di tradizione monopolizzano il ruolo di Adele: entrambe hanno affrontato i numerosi passaggi di coloratura più che dignitosamente. La Poggini può vantare un registro acuto rotondo e brillante: se il do-si-do acuti verso la fine del primo atto l’hanno trovata a corto di fiato, appena tre battute dopo il do 5 finale rifulgeva splendido e sicuro. La Vilichi, oltre a saper veleggiare con facilità nella zona sovracuta, si è anche distinta per una voce parlata impostata molto particolare e simpatica. Assai convincente era anche il Frank di Dario Shikhmiri dal timbro significativamente più scuro di quello di Eisenstein, distinguendosi soprattutto nella languida introduzione al “Brüderlein/Duidu”. Isabella Messinese, tonalmente un po’ piatta, si è limitata a cantare decorosamente le note del ruolo di Orlofsky senza però riuscire a far capire chi sia veramente questo principe ricchissimo e annoiato, personaggio che al contrario si presta a numerose e diverse interpretazioni; sia Artem Tarasenko (Alfred) che Dielli Hoxha (Franz) devono risolvere problemi non indifferenti di proiezione del suono. Completavano il cast in ruoli che non permettono di esprimere giudizi vocali Claudio Mugnaini (Blind), Amelia Burns (Ida) e Antonio Pannunzio (Ivan), tutti comunque molto spigliati scenicamente. Assai apprezzabile la prova del direttore Paolo Ponziano Ciardi, che oltre a mantenere un ottimo rapporto fra buca e palcoscenico, cosa non scontata considerata la relativa inesperienza di quasi tutti gli artisti e musicisti coinvolti, ha offerto una lettura briosa e scattante e al contempo fluida, e non priva di preziosismi, quali ad esempio la nitidezza con cui, come a mo’ di rasoio, il giovane direttore ritaglia l’entrata di Frank nel terzo atto, o la vitalità godereccia con cui affronta un semplice sezione di transizione, il passaggio in 6/8 dal trio dello champagne al “Brüderlein” nel secondo atto. Tradizione vuole che la festa di Orlofsky venga onorata dalla presenza di ospiti di lusso, che in questo caso erano molto appropriatamente ex allieve del Conservatorio Cherubini, Marina Comparato e Eva Mei: la prima ci ha offerto un assaggio prelibato di quella che potrebbe essere la sua Carmen (ruolo che prima o poi ci auspichiamo possa debuttare) con una “Chanson Bohème” impeccabile, ed è rimasta in territorio spagnolo con un brano della zarzuela El barberillo de Lavapiés di Francisco Asenjo Barbieri, accompagnandosi con le nacchere con la naturalezza una ballerina di flamenco; la seconda ha cantato la celebre “Tarantella” rossiniana, preceduta dal “Bacio” di Arditi. Filippo Adami, altro diplomato del Conservatorio, ha dovuto declinare l’invito alla festa per improvvisa indisposizione. Un’altra tradizione del Pipistrello è quella di affidare il ruolo del carceriere Frosch ad un attore comico di chiara fama che spesso usa questo siparietto per fare satira, abusando non di rado dell’attenzione degli spettatori, cosa che qui non è avvenuta grazie all’intervento misurato di David Riondino. Nonostante il pubblico fosse stato caldamente invitato ad arrivare mascherato, non molti sono stati quelli che si sono presentati con costumi interi elaborati, preferendo più sobrie mascherine sul volto. Anche se molto probabilmente un teatro di dimensioni più intime sarebbe stata una sede più idonea, nel complesso il Maggio ha regalato una serata divertente, ben organizzata, che è riuscita a coniugare lo spirito carnevalesco con una rappresentazione più che decorosa di un piccolo capolavoro della musica.
Parte integrante della cultura nazional-popolare dei paesi di lingua tedesca, e rappresentatissima anche nelle nazioni anglofone,Die Fledermaus, nonostante la fama di regina delle operette viennesi, non è mai stata presente con frequenza nei cartelloni dei teatri d’opera italiani, e non sorprende quindi più di tanto apprendere che tale fonte inesauribile di celeberrime melodie non sia mai apparsa prima d’ora nelle stagioni del Maggio Musicale. Ed anche questa era in fin dei conti un’entrata dalla porta posteriore: si trattava infatti del frutto della collaborazione fra l’Opera di Firenze e il Conservatorio Luigi Cherubini, che ha messo a disposizione orchestra, coro e solisti. In programma per una singola recita, è stata concepita come suggello musicale -nel giorno di martedì grasso – del Carnevale fiorentino, scelta felicissima trattandosi di un’operetta la cui trama è imperniata su una serie di equivoci che coinvolgono persone che si nascondono dietro una maschera e in cui persino il titolo si riferisce ad un costume. Come avviene quasi sempre nei paesi non germanofoni, l’operetta è stata eseguita nella lingua del luogo, in questo caso nella bella versione ritmica di Gino Negri, con dialoghi adattati da Riccardo Massai, che ne ha curato anche la regia in forma semiscenica; e se quindi le scene erano eufemisticamente scarne, molta cura era stata palesemente riversata nelle interazioni fra gli attori-cantanti. Il cast era appunto formato da studenti del Conservatorio, ed il livello di preparazione non poteva certo dirsi omogeneo: se alcuni si sono dimostrati già pronti o quasi per la vera e propria carriera, altri hanno al contrario evidenziato troppe acerbità per poter scendere da subito nell’arena. Il ruolo ibrido di Eisenstein, scritto per tenore, viene quasi sempre assegnato a un baritono, probabilmente per differenziarlo da Alfred, e così facendo spesso si rischia di eliminare la giusta distinzione timbrica nei suoi duetti con Falke e Frank. Gabriele Spina possiede il timbro adatto al ruolo: baritono lirico, non si confonde con le altre voci gravi e non presenta particolari problemi ad affrontare una tessitura piuttosto acuta. Parimenti la Rosalinde di Caterina Poggini ha un timbro più caldo e lirico di quello di Adina Vilichi, la quale ha in ogni modo mostrato una voce più morbida e sostanziosa di quella solitamente offerto dalle soubrette che di tradizione monopolizzano il ruolo di Adele: entrambe hanno affrontato i numerosi passaggi di coloratura più che dignitosamente. La Poggini può vantare un registro acuto rotondo e brillante: se il do-si-do acuti verso la fine del primo atto l’hanno trovata a corto di fiato, appena tre battute dopo il do 5 finale rifulgeva splendido e sicuro. La Vilichi, oltre a saper veleggiare con facilità nella zona sovracuta, si è anche distinta per una voce parlata impostata molto particolare e simpatica. Assai convincente era anche il Frank di Dario Shikhmiri dal timbro significativamente più scuro di quello di Eisenstein, distinguendosi soprattutto nella languida introduzione al “Brüderlein/Duidu”. Isabella Messinese, tonalmente un po’ piatta, si è limitata a cantare decorosamente le note del ruolo di Orlofsky senza però riuscire a far capire chi sia veramente questo principe ricchissimo e annoiato, personaggio che al contrario si presta a numerose e diverse interpretazioni; sia Artem Tarasenko (Alfred) che Dielli Hoxha (Franz) devono risolvere problemi non indifferenti di proiezione del suono. Completavano il cast in ruoli che non permettono di esprimere giudizi vocali Claudio Mugnaini (Blind), Amelia Burns (Ida) e Antonio Pannunzio (Ivan), tutti comunque molto spigliati scenicamente. Assai apprezzabile la prova del direttore Paolo Ponziano Ciardi, che oltre a mantenere un ottimo rapporto fra buca e palcoscenico, cosa non scontata considerata la relativa inesperienza di quasi tutti gli artisti e musicisti coinvolti, ha offerto una lettura briosa e scattante e al contempo fluida, e non priva di preziosismi, quali ad esempio la nitidezza con cui, come a mo’ di rasoio, il giovane direttore ritaglia l’entrata di Frank nel terzo atto, o la vitalità godereccia con cui affronta un semplice sezione di transizione, il passaggio in 6/8 dal trio dello champagne al “Brüderlein” nel secondo atto. Tradizione vuole che la festa di Orlofsky venga onorata dalla presenza di ospiti di lusso, che in questo caso erano molto appropriatamente ex allieve del Conservatorio Cherubini, Marina Comparato e Eva Mei: la prima ci ha offerto un assaggio prelibato di quella che potrebbe essere la sua Carmen (ruolo che prima o poi ci auspichiamo possa debuttare) con una “Chanson Bohème” impeccabile, ed è rimasta in territorio spagnolo con un brano della zarzuela El barberillo de Lavapiés di Francisco Asenjo Barbieri, accompagnandosi con le nacchere con la naturalezza una ballerina di flamenco; la seconda ha cantato la celebre “Tarantella” rossiniana, preceduta dal “Bacio” di Arditi. Filippo Adami, altro diplomato del Conservatorio, ha dovuto declinare l’invito alla festa per improvvisa indisposizione. Un’altra tradizione del Pipistrello è quella di affidare il ruolo del carceriere Frosch ad un attore comico di chiara fama che spesso usa questo siparietto per fare satira, abusando non di rado dell’attenzione degli spettatori, cosa che qui non è avvenuta grazie all’intervento misurato di David Riondino. Nonostante il pubblico fosse stato caldamente invitato ad arrivare mascherato, non molti sono stati quelli che si sono presentati con costumi interi elaborati, preferendo più sobrie mascherine sul volto. Anche se molto probabilmente un teatro di dimensioni più intime sarebbe stata una sede più idonea, nel complesso il Maggio ha regalato una serata divertente, ben organizzata, che è riuscita a coniugare lo spirito carnevalesco con una rappresentazione più che decorosa di un piccolo capolavoro della musica.