Teatro alla Scala di Milano – Stagione d’Opera e Balletto 2014/2015
“L’INCORONAZIONE DI POPPEA”
Opera in un prologo e tre atti – Libretto di Giovan Battista Busenello
Musica di Claudio Monteverdi
La Fortuna / Poppea MIAH PERSSON
La Virtù / Ottavia MONICA BACELLI
L’Amore SILVIA FRIGATO
Ottone SARA MINGARDO
1° Soldato / Lucano / 2° Familiare / 2° Console LUCA DORDOLO
2° Soldato / Liberto / 1° Tribuno FURIO ZANASI
Nerone LEONARDO CORTELLAZZI
Arnalta ADRIANA DI PAOLA
La Nutrice GIUSEPPE DE VITTORIO
Seneca ANDREA CONCETTI
Il valletto / 2° Console MIRKO GUADAGNINI
Drusilla MARIA CELENG
Mercurio / Littore / 3° Famigliare / 2° Tribuno LUIGI DE DONATO
Damigella MONICA PICCININI
1° Famigliare ANDREA ARRIVABENE
Basso continuo realizzato da CONCERTO ITALIANO
Orchestra del Teatro alla Scala
Direttore Rinaldo Alessandrini
Regia, scene e luci Robert Wilson
Collaboratore alla regia Tilman Hecker
Collaboratore alle scene Annick Lavallée-Benny
Collaboratore ai movimenti coreografici Fani Sarantari
Costumi Jacques Reynaud
Lighting designer A.J. Weissbard
Drammaturgia Ellen Hammer
Nuova produzione in coproduzione con Opéra National de Paris
Milano, 7 febbraio 2015
La trilogia monteverdiana proposta dal Teatro alla Scala in questi ultimi anni è giunta alla sua ultima tappa con L’Incoronazione di Poppea, in scena presso il teatro milanese durante tutto il mese di febbraio. Dopo L’Orfeo del 2009 e Il Ritorno di Ulisse in patria del 2011, è ora l’ultima opera scritta da Claudio Monteverdi – e, come ormai è stato accertato, da altri autori coevi – a incantare il pubblico milanese. Merita sicuramente un elogio l’iniziativa del Teatro alla Scala di proporre questo titolo (così come L’Orfeo e Il Ritorno di Ulisse in patria, titoli che non vengono rappresentati tanto frequentemente quanto sarebbe giusto che fosse), capolavoro musicale e librettistico, coi suoi personaggi storici e allegorici che insieme danno vita ad un’opera dal significato profondo e, dal punto di vista contenutistico, quasi sfuggente.
Anche la scelta di assegnare l’interpretazione musicale a Rinaldo Alessandrini e la regia, le scene e le luci a Robert Wilson merita elogi dal momento che entrambi gli artisti ricoprono un ruolo di primo piano all’interno del proprio campo di attività. Se Rinaldo Alessandrini è considerato uno dei più validi interpreti del repertorio antico dall’approccio ‘storicamente informato’, Robert Wilson è il poeta dell’immagine, un artista difficilmente catalogabile con un’etichetta poiché è allo stesso tempo regista, scenografo e light designer e crea ogni volta dimensioni teatrali non convenzionali “integrando nei suoi lavori arti grafiche e performative, in un armonioso tessuto di immagini e suoni”, come ha scritto il New York Times. Alessandrini guida l’ensemble strumentale dall’organico stringato (per contro, il basso continuo realizzato da Concerto Italiano è piuttosto ricco con le sue 3 tiorbe, 2 arpe, violoncello e 2 cembali) e i solisti con maestria nella resa del testo musicale in funzione del testo scritto, privilegiando tuttavia nella sua interpretazione la dimensione oggettiva, aspetto che se non altro dimostra rispetto della partitura e che, se da un lato non lascia spazio a troppo trasporto nei momenti più lirici, dall’altro rende fluido l’avvicendarsi delle scene e permette al pubblico di rimanere sempre coinvolto nello svolgimento dell’opera. La concezione registico-scenica di Wilson stupisce da subito per la non convenzionalità della sua realizzazione: l’essenzialità degli elementi che caratterizzano i luoghi (il colonnato per i palazzi, gli arbusti per i giardini); la stilizzazione dei movimenti dei personaggi, quasi da commedia dell’arte rivisitata; il trucco volutamente pesante (quasi a voler dare espressività ai volti che è come se fossero neutri). Uno degli elementi che colpisce di più è senza dubbio la luce, elemento al quale sembrano quasi corrispondere le emozioni dei personaggi, come se le emozioni stesse avessero il potere di irradiare un particolare tipo di luce nell’ambiente in cui i personaggi si trovano. Alcuni quadri scenici regalano momenti di grande intensità, fra i quali la scena del sonno di Poppea in giardino (nel secondo atto), in cui la luce è di un vero blu notte, qualche piccola stella si accende e lentamente si alza una falce lunare a completare il quadro scenico, di grande impatto visivo. La riuscita di una regia di questo tipo è determinata dall’impegno che gli interpreti mettono nel realizzarla e si può dire che la compagnia di canto non si è sottratta a questo compito (alcuni di più, altri di meno); trattandosi di un’opera con tanti personaggi non dev’essere stata un’impresa semplicissima. Protagoniste indiscusse della scena sono state Sara Mingardo e Monica Bacelli.
Sara Mingardo (Ottone) commuove con la sua voce brunita e carezzevole e ha pregi che pochi cantanti hanno, primo fra tutti rendere familiare alle orecchie dell’ascoltatore ciò che canta, quasi come a decifrare il significato della musica e del testo nel momento stesso in cui canta. La Mingardo è un’artista con la A maiuscola, il suo senso dello stile le permette di essere a suo agio non solo nel repertorio barocco ma anche in repertori apparentemente lontani (si pensi ai suoi Mahler e Brahms, eseguiti con rara intelligenza e intensità interpretativa). Monica Bacelli (Ottavia) rapisce fin da subito per la presenza scenica forse più che per questioni strettamente vocali; ogni parola ha un senso e tutto il corpo (compatibilmente con i movimenti prescritti da Wilson), specialmente il viso, accompagna e completa un’interpretazione che lascia il segno. Un’Ottavia di grande carattere, come è giusto che sia. Un po’ più in ombra Miah Persson e Leonardo Cortellazzi. Pur cantando entrambi bene, consegnano un’interpretazione un po’ piatta dei rispettivi personaggi: La Poppea della Persson, nonostante la buona pronuncia del soprano svedese, risulta priva del carattere giusto e vocalmente un po’ povera di personalità. Il Nerone di Cortellazzi è più personale ma la voce sembra più avvezza ad altri repertori, anche se sono più che apprezzabili lo sforzo e i risultati nella resa stilistica della partitura. Ottima la prova di Andrea Concetti nei panni di Seneca e tutt’altro che deboli le parti minori – quasi tutti interpreti che frequentano spesso il repertorio antico come Furio Zanasi (2°soldato, Liberto e 1° tribuno), Luca Dordolo, Luigi De Donato, Mirko Guadagnini, Monica Piccinini e Andrea Arrivabene. Fra di esse emergono l’Amore di Silvia Frigato (si può immaginare questo personaggio con una voce diversa dalla sua?) e i due personaggi speculari della nutrice e di Arnalta. La nutrice è impersonata da Giuseppe De Vittorio, cantate-attore pugliese divenuto giustamente celebre negli anni per le sue interpretazioni del repertorio barocco e popolare napoletano; nonostante un problema di raucedine che ha giocato sfavorevolmente sulla resa vocale, De Vittorio ha messo in campo tutta la sua sapienza scenica dando credibilità e spessore ad un ruolo che rischia sempre di essere ridotto alla semplice ‘macchietta’. Anche Adriana Di Paola consegna un’interpretazione molto convincente del personaggio di Arnalta, sia vocalmente sia scenicamente, contribuendo in maniera eccellente a rendere chiara con la sua gestualità la concezione registico-scenica di Robert Wilson. Lucie Janch © Teatro alla Scala