Opéra de Monte-Carlo, 7 febbraio 1907
Ariane aveva appena preso il volo verso le scene quando lo storiografo Jules Clarétie ricordò a Massenet la promessa che gli aveva fatto di scrivere il dramma lirico in due atti, Thérèse, aggiungendo che sarebbe stato breve per le forti emozioni che avrebbe suscitato nel pubblico. L’argomento interessò il compositore il quale, tornato a Parigi, cominciò a fare ricerche sul terribile periodo del Terrore per poter esprimere meglio con la sua musica quella parte così oscura e crudele della storia francese. Alcune coincidenze, raccontate dallo stesso Massenet, lo avvicinarono sempre di più alla realizzazione di questo lavoro:
“Georges Cain, mio grande amico, l’eminente ed eloquente storiografo della Vecchia Parigi, ci aveva riuniti un mattino dell’estate del 1905: la bella e affascinante signora Georges Cain, la signorina Lucy Arbell, dell’Opéra, e altre persone, per visitare insieme quello che fu, una volta, il convento dei Carmelitani, in rue Vaugirard. Avevamo percorso le celle dell’antico chiostro, visto i pozzi dove l’orda sanguinaria dei settembristi gettò i corpi dei preti massacrati, eravamo giunti in quei giardini rimasti tristemente celebri per quei terribili macelli, quando, fermandosi nel caldo e avvincente racconto di quei lugubri avvenimenti, Georges Cain ci mostrò una forma bianca che errava in lontananza, solitaria. «È l’anima di Lucile Desmoulins» fece egli. La povera Lucile Desmoulins, così forte e coraggiosa dietro al marito che fu condotto al patibolo, dove, lei stesso, ben presto, non tardava a seguirlo. Né ombra, né fantasma! La forma bianca era proprio vivente!… Era Lucy Arbell che, invasa da una crisi acuta di sensibilità, si era allontanata per nascondere le sue lacrime.
Thérèse si rivelava già…”
Pochi giorni dopo, pranzavo all’Ambasciata Italiana. Al dessert, la tanto amabile contessa Tornielli ci raccontò con la grazia affascinante, la fine e seducente eloquenza che le sono familiari, la storia del palazzo dell’Ambasciata, rue de Grenelle. Nel 1798, questo palazzo apparteneva alla famiglia dei Galliffet. Dei membri di quell’illustre casata, alcuni erano stati ghigliottinati, altri erano emigrati all’estero. Si voleva vendere l’immobile come bene dello stato; si trovò ad opporvisi un vecchio servitore dal carattere fermo e deciso: «Io sono il popolo, disse egli, e voi non toglierete al popolo ciò che gli appartiene. Sono a casa mia, qui!…» Quando, nel 1798, uno degli immigrati sopravvissuti dei Galliffet ritornò a Parigi, il suo primo pensiero fu quello di andare a vedere la dimora di famiglia. La sua sorpresa fu grande quando fu ricevuto dal fedele servitore, il cui aspro ed energico discorso aveva impedito la spogliazione: «Mio signore, disse quello gettandosi ai piedi del suo padrone, io ho saputo conservare il vostro bene. Ve lo rendo!» Il libretto di Thérèse si annunciava! Questa rivelazione lo faceva presagire”.
Pieno di entusiasmo, Massenet iniziò il lavoro nel mese di dicembre del 1905 e la sua fretta di terminarlo presto gli fece sentire la necessità di avere un telefono per poter risolvere immediatamente con il suo librettista i vari dubbi che lo attanagliavano durante la composizione. Fece richiesta di un telefono al ministro delle poste, telegrafi e telefoni senza immaginarsi che nel giro di poche ore avrebbe avuto un telefono a sua disposizione. Così, per risolvere alcuni problemi relativi all’ultima scena telefonò a Clarétie, ma la loro conversazione piuttosto ambigua sconvolse un altro utente, con la cui linea si era verificata un’interferenza, a tal punto che mancò poco che i due artisti fossero denunciati. Così Massenet raccontò l’accaduto:
“Non vidi l’ora di telefonare a Clarétie. Restò molto sorpreso da quella chiamata che gli veniva da rue Vaugirard. Gli comunicai le mie idee sulla scena difficile che aveva dato l’occasione dell’installazione del telefono.
Si trattava dell’ultima scena.
Gli telefonai:
Faccia sgozzare Thérèse e tutto andrà bene
Sentii una voce che mi era sconosciuta e che emetteva grida di terrore (il nostro filo era in maldestra comunicazione con un altro abbonato); essa mi gridava:
Ah! Se sapessi chi è lei, furfante! la denuncerei alla polizia. Un crimine simile! Di chi si parla?
Immediatamente la voce di Clarétie:
Una volta sgozzata, lei andrà a raggiungere suo marito nella carretta. Lo preferisco col veleno!
La voce del signore:
Ah! questo è troppo! Ora, gli scellerati, stanno per avvelenarla! Chiamo la sorveglianza!… Voglio un’inchiesta!…
Un crepitio enorme si produsse nell’apparecchio e la felice calma riapparve.
Era tempo; con un abbonato salito a un tale diapason Claretie e io rischiavamo di passare un brutto quarto d’ora! Ne tremo ancora!
Thérèse fu completata domenica 20 maggio 1906 come si legge nell’autografo controfirmato da Lucy Arbell e fu rappresentata il 7 febbraio 1907 a Montecarlo con l’interpretazione di Lucy Arbell (Thérèse), Clément (Armand de Clerval), Dufranne (André Thorelle) e con la direzione di Léon Jehin. Fu ripresa il 19 maggio 1911 all’Opéra-Comique sempre con gli stessi interpreti ad eccezione di Albers nelle vesti di André Thorelle e sotto la direzione di François Ruhlmann. L’opera piacque molto ai monegaschi tanto che per due anni consecutivi fu ripresa a Montecarlo. Quando fu rappresentata all’Opéra-Comique, l’«Écho de Paris» dedicò all’opera un supplemento anche se già in occasione della prima monegasca dalle sue colonne il critico Auguste Germain ne aveva profetizzato un futuro radioso per questo nuovo lavoro:
“Sobrio, chiaro, meravigliosamente costruito, il libretto del signor Jules Clarétie abbonda di situazioni tenere, amorose, pittoresche e drammatiche che hanno permesso al signor Jules Massenet di scrivere una nuova partitura destinata, come Werther o la Navarraise, ad essere ascoltata nel mondo intero. Vi passa un soffio di amore vibrante, appassionato, infervorato la cui vivacità si accresce con il tumulto rivoluzionario. Il preludio evidenzia queste due visuali del compositore, gli archi che esprimono i languori e gli impeti dell’amore, gli ottoni e rulli del tamburo che esprime con alcune discrete misure della Marsigliese, lo scatenarsi della rivoluzione“.
Anche Gabriel Fauré aveva esaltato su «Le Figaro» l’opera ponendola a confronto con la Nvarraise:
“La partitura che Massenet ha scritto sul dramma che vi ho appena raccontato sembra dover prendere il posto a fianco de La navvarraise, – e il posto è buono. Queste due opere si avvicinano, in effetti, non solo per le loro brevi dimensioni, ma anche per la somiglianza dell’azione, rapida, appassionata, violenta, feroce, in questa come in quella; in più, nell’una come nell’altra, la musica evidenzia in modo molto particolareggiato ciò che si chiama teatro, cioè che essa è asservita ai minimi movimenti del dramma dove i fatti materiali tengono lo stesso posto dei sentimenti. Del resto, questa condizione è forse ancor più sorprendente in Thérèse. Qui l’interesse per i personaggi è forzatamente sminuito dalla grandezza dell’epoca nella quale è situtata l’azione: il 1793; e la nobiltà d’animo del girondino Thorel, gli amori di Armand e di Thérèse, anche la sublime esaltazione finale di questi, non costituiscono in somma che un piccolissimo episodio in un’immensa tragedia”.
L’opera
Il primo atto si apre su un parco dove spicca un castello quasi in rovina appartenuto al marchese Armand de Clerval, costretto a fuggire a causa del Terrore e ora abitato dai girondini André Thorelle, a cui il marchese lo ha affidato, e la moglie Thérèse. È l’autunno del 1792 e all’improvviso ritorna il marchese intenzionato a rivivere la sua giovinezza e a ritrovare Thérèse da lui amata da tempo. Thorelle accoglie Clerval e lo ospita mentre da lontano si sente il canto dei volontari che partono per difendere la patria contro gli assalti degli stranieri. Nel secondo atto sono rivissute le terribili giornate del mese di giugno 1793. I tre sono nella casa parigina di Thorelle che, ignorando il tradimento perpetrato da sua moglie con il marchese, lo protegge e gli procura anzi un salvacondotto, senza sapere che Thérèse l’avrebbe seguito. Intanto la rivoluzione si fa più sanguinosa e i girondini vengono perseguitati. Anche Thorelle è preso prigioniero e condannato alla ghigliottina e Thérèse da una finestra della sua casa vede proprio il marito in una delle carrette che trasportano le vittime. Pentita della sua colpa, per riparare, decide di morire accanto al marito e apre la finestra gridando Viva il re! Immediatamente la donna è brutalmente presa prigioniera e portata nella carretta dove l’attende il marito, mentre Clerval, in possesso del salvacondotto, parte senza alcun rischio.
Come notato da Germain nella sua recensione, il contrasto tra l’atmosfera tumultuosa nella quale è ambientata l’opera e il sentimento amoroso che domina certi momenti è già presente nel preludio dove all’inizio tempestoso si contrappone la languida melodia del Lent; triste et sombre, caratterizzata da una sensuale scrittura cromatica (Es. ).
Di straordinario lirismo, soprattutto nella parte finale, è il duetto, di cui sono protagonisti Thérèse e André, che si distingue per una moderna armonia per quarte, mentre una piccola e splendente gemma sinfonica è l’intermezzo orchestrale La chute des feuilles, dove ritorna il tema lento e triste del preludio. Nella seconda parte dell’atto si distingue il duetto tra Thérèse e Armand, Malheureux! C’est vous!, uno dei più intensi della produzione di Massenet, che conduce al Minuetto, una delicata, ma malinconica pagina stilizzata nella quale il clavicembalo è accompagnato dagli archi con sordina, dal triangolo e dai timpani. Il tema del minuetto ritorna, in una nuova orchestrazione, nel preludio all’atto secondo che racchiude al suo interno alcune pagine estremamente interessanti come il duetto tra Thérèse e Armand, nel quale si trovano tutti gli ingredienti tipici di Massenet nel duetto d’amore tra cui la contrapposizione tra dovere e piacere e tra la passione e la volontà di sopprimerla, e il monologo di Thérèse di grande realismo e forza drammatica con l’uso del parlato che, secondo quanto ricordato dal compositore, fu introdotto per esplicita richiesta della Arbell:
“Non potrò mai cantare questa scena fino alla fine poiché quando riconosco mio marito, colui che mi ha dato il suo nome, che ha salvato Armand de Clerval, devo perdere la voce. Le chiedo dunque di declamare tutta la parte finale del pezzo”.
La registrazione
“THÉRÈSE”
Drame musical in due atti su libretto di Jules Claretie
Musica di Jules Massenet
Prima rappresentazione: Monte-Carlo, Opéra, 7 febbraio 1907
Thérèse: Nora Gubisch
Armand de Clerval: Charles Castronovo
André Thorel: Étienne Dupuis
Morel: François Lis
Un officier: Yves Saelens
Un officier / Un officier municipal: Patrick Bolleire
Une voix: Charles Bonnet
Orchestra e Coro Opéra National Montpellier Languedoc-Roussillon
Direttore: Alain Altinoglu
Maestro del Coro: Noëlle Gény
Registrazione: Festival de Radio France et Montpellier Languedoc-Roussillon, Opéra Berlioz/Le Corum, 21 luglio 2012. – Edizione Palazzetto Bru Zane.
Questa edizione trova nella concertazione di Alain Altinoglu il suo punto di forza. Una direzione che valorizza al massimo le due anime di questa partitura: da un lato il dramma storico con le sue tinte rivoluzionarie, dall’altro i tormenti interiori dei protagonisti. Su quest’ultimo aspetto Altinoglu pone una particolare attenzione: lo stile di conversazione massenettiano risulta quanto mai esaltato in tutte le sue finalità espressive. La ricca tavolozza coloristica della partitura è risaltata in ogni dettaglio: degne di nota i preludi alla scena IV dell’atto I e quello che porta all’atto II. Il cast risponde perfettamente alla chiave di lettura del direttore. Nora Gubisch è una Thérèse pressochè ideale: a una voce, dal timbro vellutato, dai toni melanconici, benchè non sempre controllatissima in acuto (il ruolo presenta però poche tensioni in questa zona), la Gubisch unisce una linea di canto nobilissima e un fraseggio accuratissimo, mai banale, che sa essere drammatico, ma senza mai cadere in forzature “veriste”. Su questa linea interpretativa si inserisce il canto sobrio ed espressivo del tenore Charles Castronovo (Armand de Clerval) e del baritono Étienne Dupuis (André Torel). Inappuntabili gli interventi delle parti di fianco: François Lis, Yves Saelens, Patrick Bollerie. Una registrazione degna del massimo interesse. (Giorgio Bagnoli)
La presente guida all’ascolto è tratta dal libro di Riccardo Viagrande, Jules Massenet. Les tribulations d’un auteur, Casa Musicale Eco, Monza, 2012, pp. 139-143. Si ringrazia l’editore per aver concesso la pubblicazione di questo estratto.