Opéra de Monte-Carlo, 18 febbraio. 1902
“Ecco un capolavoro, un vero, un autentico capolavoro, degno di essere messo al rango di Werther o di Manon. Che lo si consideri bene, perché è l’ultimo, incontestabile, che Massenet abbia firmato […]. Esempio quasi unico per il teatro, l’opera evita ogni intrigo amoroso. Non è straordinario che Massenet abbia virtualmente chiuso la sua vita musicale con un’opera mistica, solenne rinuncia a tutte le voluttà umane che aveva perdutamente cantate per quasi mezzo secolo”. (M. Delmas, Massenet. Sa vie, ses oeuvres, Éditions de la Jeune Académie, Parigi, 1932, pp. 134-13)
Questo capolavoro, riconosciuto tale non solo da Marc Delmas, ma da tutta la critica, tanto da essere presente, dopo aver superato la centesima rappresentazione a Parigi, nel repertorio dei più grandi teatri americani, nacque, tuttavia, per caso, come raccontò lo stesso Massenet in Mes souvenirs. Il compositore stava recandosi nella sua vecchia casa di Égreville per ritrovare un po’ di serenità e in treno, mentre leggeva alcune lettere, si trovò fra le mani un rotolo. Tale scoperta lo lasciò sgomento perché conteneva una pièce teatrale e, poiché aveva deciso di non scrivere più per il teatro, posò quel rotolo che, però, riprese subito dopo per ingannare la lunghezza del viaggio. Come egli stesso raccontò:
“La mia attenzione superficiale e distratta dapprima, si precisò a poco a poco – presi insensibilmente interesse per quella lettura tanto e così bene che finii per provare una vera sorpresa, – questo divenne, lo confesserò, anche motivo di stupore!
Che! Gridai, una pièce senza ruolo femminile, se non un’apparizione muta della Vergine! Se fui sorpreso, se rimasi stupefatto, quali sentimenti di sorpresa avrebbero provato coloro che erano abituati a vedermi mettere in scena Manon, Sapho, Thaïs e altri amabili signore? È vero; ma avrebbero dimenticato allora che la più sublime delle donne, la Vergine, mi avrebbe sostenuto nel mio lavoro, come si sarebbe mostrata caritatevole verso il giullare pentito! Appena ebbi dato una scorsa alle prime scene, mi sentii davanti all’opera di un vero poeta, che aveva familiarizzato con l’arcaismo della letteratura del Medioevo. Nessun nome d’autore figurava nel manoscritto.
Essendomi rivolto al mio portinaio per conoscere l’origine di quel misterioso pacco, mi fece sapere che l’autore gli aveva lasciato il suo nome e il suo indirizzo, raccomandandogli espressamente di rivelarmeli soltanto se io avessi accettato di scrivere la musica dell’opera.
Il titolo di Jongleur de Notre-Dame, seguito da quello di «miracle in tre atti», mi mandò in estasi. Precisamente l’aspetto della mia dimora, vestigio che sopravviveva da quello stesso medioevo, l’ambiente in cui mi trovavo a Égreville avrebbero avvolto il mio lavoro in un’atmosfera da sogno.Terminata la partitura, era il momento atteso per renderne partecipe il mio sconosciuto.Conoscendo infine il suo nome e il suo indirizzo, gli scrissi.
Non si potrebbe dubitare della gioia con la quale lo feci. L’autore non era altro che Maurice Léna, l’amico così devoto che avevo conosciuto a Lione, dove egli occupava una cattedra di filosofia”.Léna, tuttavia, non era stato il primo ad occuparsi della leggenda del giullare di Notre-Dame, già trattata nella letteratura francese medievale, di cui la massima espressione è costituita da Le tombeor de Nostre Dame, presente nella grandiosa opera Miracles de la Sainte-Vièrge di Gautier de Coincy. La leggenda era riapparsa poi, a cura di Wilhelm Förster, nel 1873, nella rivista in lingua romanza, «Romania» diretta da Paul Meyer e Gaston Paris ed era stata ripresa da Anatole France che ne aveva realizzato un breve racconto inserito nella raccolta «L’etui de nacre» del 1892.
L’Opera
È giorno di mercato e di festa e sulla piazza dell’abbazia di Cluny in Borgogna, ragazzi e ragazze ballano e cantano. In quel momento giunge Jean, un giullare che spera con i suoi numeri di guadagnare qualcosa, ma è costretto a subire gli insulti della folla. Gli chiedono poi di cantare un inno blasfemo, l’Alleluja del Vino, che egli esita ad intonare perché questo canto mescola in modo empio Bacco e Gesù, Venere e la Vergine. Infine accetta di cantare per guadagnare qualcosa. In quel momento esce dall’abbazia il priore molto indignato il quale lo condanna aspramente e lo invita a cambiare vita offrendosi di accoglierlo nel monastero dove egli avrebbe potuto espiare la colpa di aver offeso la Madonna. Il giullare accetta volentieri avendo avuto la certezza di due pasti tutti i giorni e partecipa alla vita del monastero dove i monaci pregano e lavorano, dedicando la loro arte alla Vergine. Egli si rammarica di non poter offrire niente alla Vergine ad eccezione della sua intera sottomissione, ma teme che ciò sia una cosa misera. Il frate Bonifacio lo rassicura dicendo che la Madonna accetta anche il più semplice omaggio. Allora Jean entra nella cappella ed esegue alcuni numeri della sua attività di giullare davanti all’alta-re senza accorgersi che i monaci lo osservano di nascosto scandalizzati e pronti a fermarlo. Proprio in quel momento la statua della Madonna si anima e, sorridendo, benedice il suo umile servitore che spira con un’espressione estatica. L’opera era già pronta nel 1900, ma non fu facile per Massenet trovare un teatro per la sua première. L’occasione gli fu offerta da Raoul Gunsbourg che era andato a trovarlo a nome del principe di Monaco per chiedergli una nuova opera da mettere in scena nel teatro di Montecarlo, come ricordò lo stesso Massenet:
“Le Jongleur de Notre-Dame era pronto. Lo offrii. Fu convenuto che Sua Altezza Serenissima si sarebbe degnata di venire in persona ad ascoltare l’opera a Parigi. L’audizione ebbe luogo, in effetti, nella bella e artistica dimora del mio editore, Henri Heugel, avenue du Bois-de-Boulogne. Il principe fu totalmente soddisfatto; egli ci fece l’onore di esprimere, a più riprese, la sua sincera felicità. L’opera fu messa in prova e le ultime prove ebbero luogo a Parigi, sotto la direzione di Raoul Gunsbourg”
La première ebbe luogo il 18 febbraio 1902 nella Salle Garnier del Théâtre du Casino (Opéra) di Montecarlo sotto la direzione di Léon Jehin, con la regia di Raoul Gunsbourg e la scenografia di Lucien Jusseaume. Gli interpreti principali furono il tenore Adolphe Maréchal (Jean), il baritono Maurice-Arnold Renaud (Boniface). Due anni dopo Le jongleur de Notre-Dame approdò all’Opéra-Comique con Maréchal nel ruolo di Jean e Fugère in quello di Boniface sotto la direzione di Alexandre Luigini. Il 27 novembre 1908 l’opera fu rappresentata al Metropolitan Opera di New York dove nel ruolo di Jongleur si esibì il soprano Mary Garden. La première monegasca può essere ritenuta una vera e propria prima parigina con i maggiori giornali della capitale francese presenti; essi furono concordi nell’esaltare l’opera. Nello, su «Le Gualois», non esitò a definire Le jongleur de Notre-Dame un capolavoro: “L’ora tarda in cui si conclude questa serata trionfale mi obbliga a riassumere in alcune righe l’impressione profonda che mi ha lasciato questo nuovo capolavoro del maestro Massenet. E pertanto, Dio sa quanto sarei tentato di attardarmi nell’analisi del Jongleur de Notre-Dame, – miracolo in tre atti, annuncia il cartellone – miracolo tanto di grazia musicale, di raffinata ispirazione, nella quale noi applaudiamo ancora il Massenet giovane, vibrante, entusiasta, il Massenet dei giorni felici di Manon e di Marie-Magdelaine”. L’opera fu esaltata anche da Moreno su «Le Ménestrel» dove si legge: “La verità è che è realmente completa, questa partitura, che passa in un momento dai rumori brucianti della folla alla calma del convento, poi, per finire, alle estasi divine e alle apoteosi paradisiache. Essa si mantiene da un punto all’altro in un filo serrato, da dove è difficile staccare una pagina piuttosto che un’altra”.
L’ambientazione medievale dell’opera viene resa perfettamente da una scrittura che si avvale di elementi modali e di accordi senza terza che conferiscono un senso di arcaismo alla musica. Dopo un breve preludio, il cui carattere austero è reso da una scrittura fugata e imitativa, la scena si apre nella piazza del mercato nei pressi dell’abbazia di Cluny. Tra le grida della folla, per le quali Massenet riprese i Cris di Janequin in modo da dare alla scena un colore medievale, si segnalano l’ironica pagina dell’Alleluia du vin con l’introduzione di frasi pseudoliturgiche e l’altrettanto ironico andantino di Frére Boniface con i suoi ironici melismi di sapore ecclesiastico. Un carattere severo presenta anche il secondo atto sia nel preludio con la sua scrittura da corale sia nel mottetto dei monaci Ave coeleste lilium. Il passo più significativo dell’atto è, però, la Légende de la Sauge di acceso misticismo pur nella scrittura estremamente semplice (Es.).
Nell’ultimo atto, aperto da un preludio (Pastorale Mystique), nel quale ritorna il tema della Légende de la Sauge, si segnala, infine, una perfetta fusione tra musica e poesia.
La presente guida all’ascolto è tratta dal libro di Riccardo Viagrande, Jules Massenet. Les tribulations d’un auteur, Casa Musicale Eco, Monza, 2012, pp. 131-135. Ad esso si rimanda per la versione completa del saggio. Si ringrazia l’editore per aver concesso la pubblicazione di questo estratto.