Bologna, Teatro Comunale – Stagione d’opera 2015
MADAMA BUTTERFLY
Tragedia giapponese in tre atti
Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
Musica di Giacomo Puccini
Cio Cio San OLGA BUSUIOC
Suzuki ANTONELLA COLAIANNI
Kate Pinkerton PAOLA FRANCESCA NATALE
Pinkerton LUCIANO GANCI
Sharpless FILIPPO POLINELLI
Goro SAVERIO BAMBI
Il principe Yamadori ALESSANDRO BUSI
Lo zio Bonzo NICOLÒ CERIANI
Yakusidé ENRICO PICINNI LEOPARDI
Il commissario imperiale LUCA GALLO
L’ufficiale del registro MAURO MARCHETTO
La madre di Cio Cio San MARIE-LUCE ERARD
La zia ROSA GUARRACINO
La cugina MARIA ADELE MAGNELLI
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Hirofumi Yoshida
Maestro del Coro Andrea Faidutti
Regia Valentina Brunetti
Scene Giada Abiendi
Costumi Massimo Carlotto
Luci Daniele Naldi
Bologna, 22 febbraio 2015
Come dipingere Butterfly, adolescente nel fisico ma di robusta vocalità, bambina ed eroina tragica insieme? Al Comunale di Bologna Cio Cio San è la moldava Olga Busuioc, minuta nel corpo, di voce morbida nei centri anche se non sempre corposissima. Gli acuti ce li ha e pure belli, e passi se a volte sono troppo aperti. Trova begli accenti in alcuni punti caldi della partitura come “Che tua madre dovrà”, ma sulla scena si lascia andare troppo spesso a mossette da rituale giapponese fasullo, si dimena in pose alla Duse e nel secondo atto si mostra come ingenua bambolotta. E scambiare giovinezza e fragilità di Butterfly per stupidità è un malinteso. Di fianco a lei Luciano Ganci: tenore di timbro piacevole ed omogeneo, di acuti sicurissimi e compiaciuti. Il suo Pinkerton è il solito simpatico scapestrato, con qualche vena comica di troppo, però sulla scena è il più reattivo. Sharpless un po’ generico nel fraseggio ma ben cantato, quello di Filippo Polinelli. Fa il paio con la Suzuki di Antonella Colaianni, materna, di voce un filo troppo coperta ma di bel timbro. Non sempre piacevole e a volte affaticato il Goro di Saverio Bambi (ma a dirla tutta, era alla terza recita di fila). E se lo zio Bonzo di Nicolò Ceriani sfoggia begli accenti, piuttosto opachi risultano il Commissario imperiale di Luca Gallo, lo Yamadori di Alessandro Busi, la Kate Pinkerton di Paola Francesca Natale.
Certo non aiuta a trovare grandi finezze la concertazione di Hirofumi Yoshida. Il direttore giapponese si sbraccia assai, senza grandi effetti: l’Orchestra del Comunale suona bene, sono il fraseggio appropriato e i giusti respiri a scarseggiare. Non mancano buone intuizioni nei momenti puramente strumentali, ma la narrazione musicale soffre assai e i duetti (cellula fondante della drammaturgia pucciniana) passano spesso nel grigiore. Fatto spiacevole, Yoshida contravviene ad uno dei dogmi pucciniani: andare sempre “con la parte” e accompagnare il canto senza sovrastarlo. C’è almeno un momento di vero fascino? Sì, il Coro a bocca chiusa, intimo, espressivo, complice la compagine corale del Comunale in buona forma. Coerente, ma non brillante la regia di Valentina Brunetti, fra i direttori di scena del teatro. Una “Butterfly” pensata come un grande flashback: ad inizio dell’opera vediamo il figlio di Cio Cio San, adulto, tornare dagli Stati Uniti alla casa materna e incontrare l’anziana Suzuki. Da lì si dipana la narrazione, incastonata nelle scene di Giada Abiendi: un nipponico baldacchino sospeso su praticabili che affondano nell’acqua. Struttura che nel secondo atto si sfalda in tante rosse canne (a dipingere la solitudine di Butterfly?) per poi sparire nel terzo atto, lasciando nudo il palco. Resta qualche petalo e qualche ninfea che s’illumina di led. Un fondale si accende di luci ora decorative, ora un filo didascaliche, raramente espressive. Riprova di quanto sia difficile trovare il giusto equilibrio fra esotico, patetico, realistico, in quest’opera che forse, fra i grandi lavori di Puccini, è la più spinosa da mettere in scena in maniera convincente. Foto Rocco Casaluci