Torino, Teatro Regio, Stagione d’opera e di balletto 2014-2015
“GOYESCAS”
Opera in un atto e tre quadri. Libretto di Fernando Periquet Zuaznabar
Musica Enrique Granados
Rosario, dama di gran casato GIUSEPPINA PIUNTI
Fernando, capitano della guardia reale ANDEKA GORROTXATEGUI
Paquiro, torero FABIÁN VELOZ
Pepa, ragazza del popolo ANNA MARIA CHIURI
Una voce ALEJANDRO ESCOBAR
“SUOR ANGELICA”
Opera in un atto su libretto di Giovacchino Forzano
Musica Giacomo Puccini
Suor Angelica AMARILLI NIZZA
La zia Principessa ANNA MARIA CHIURI
La suora infermiera VALERIA TORNATORE
La suora zelatrice SILVIA BELTRAMI
Suor Genovieffa DAMIANA MIZZI
La maestra delle novizie CLAUDIA MARCHI
La badessa MARIA DI MAURO
Suor Osmina NICOLETTA BAÙ
Suor Dolcina MARIA DE LOURDES MARTINS
Prima sorella cercatrice SAMANTHA KORBEY
Seconda sorella cercatrice DANIELA VALDENASSI
Prima conversa SABRINA AMÈ
Seconda conversa ROBERTA GARELLI
Una novizia EUGENIA BRAYNOVA
Prima suora PAOLA ISABELLA LOPOPOLO
Seconda suora CRISTIANA CORDERO
Terza suora RAFFAELLA RIELLO
Orchestra e coro del Teatro Regio di Torino
Coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio “Giuseppe Verdi”
Balletto civile
Direttore Donato Renzetti
Maestro del coro Claudio Fenoglio
Regia e scene Andrea De Rosa
Costumi Alessandro Ciammarughi
Coreografia Michela Lucenti
Luci Pasquale Mari
Assistente alla regia Paola Rota
Assistente ai costumi Sonia Salvatori
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Torino in coproduzione con Maggio Musicale Fiorentino e Teatro di San Carlo di Napoli
Torino, 25 gennaio 2015
Fino al 3 maggio 2015 presso il Museo del Prado è allestita la mostra Goya en Madrid. Cartones para tapices 1775-1794, che permette di apprezzare l’arte decorativa, sempre realistica e luminosa, di Francisco de Goya appena giunto nella capitale spagnola. La pradera de San Isidro (1788), con il pendio e la pianura invasa di cittadini eleganti e in festa, e il profilo cittadino di Madrid sullo sfondo, è uno dei grandi quadri che meglio documenti la predilezione per scene corali e vivaci. Questo stesso fondale accoglie anche lo spettatore di Goyescas di Enrique Granados, per la prima volta rappresentato al Teatro Regio di Torino insieme a Suor Angelica di Giacomo Puccini.
«Madrid y majeza», il binomio che associa alla città capitale qualcosa di intraducibile, l’arguzia, la fierezza, la strafottenza di majos e majas goyeschi pronti a tutto pur di amare, imporsi, soddisfare i propri desideri, anche a morire, considerata la conclusione dell’esile vicenda, è la sintesi librettistica dell’opera. Che più melodrammaticamente prevedibile non potrebbe essere: Paquiro, baritono, corteggia Rosario, soprano, fidanzata di Fernando, tenore; i due uomini si sfidano e il primo uccide in duello il secondo. L’allestimento di Andrea De Rosa, che cura regia e scene, si sforza dunque di ricostruire ambienti “goyescos”, ma forse non riesce del tutto nel difficile compito, anche perché stili e registri pittorici di uno degli artisti più perspicui e al tempo stesso più complessi di tutta la storia della pittura non si possono riassumere in tre brevi quadri scenici. Quanto è pregevole la cura dei costumi, chiaramente desunti dall’iconografia – immancabile la maja vestida (e parzialmente anche la desnuda, grazie all’avvenenza protagonistica) -, tanto è discutibile l’uso complessivo della luce, che non illumina mai completamente la scena. È vero che l’oscurità inquadra meglio l’atmosfera da duello rusticano che si respira sin dall’inizio, ma così si dimentica che le tele cui si era ispirato Granados per l’originaria raccolta pianistica sono per lo più quelle centrate su di una straordinaria luminosità, di esterni e di interni; solo in misura minore il compositore si riferì agli umbratili e chiaroscurali Caprichos. La scena di De Rosa è unica, ed è un fossato in cui majos e majas si divertono a giocare, a far volare sul lenzuolo il pelele, un fantoccio maschile (altro soggetto goyesco cui Granados aveva dedicato un brano pianistico, poi ripreso per il primo quadro dell’opera). Se la musica è a stento credibile, specie quando deborda di riferimenti al II atto di Tristan und Isolde nel duetto d’amore, l’allestimento la aiuta soltanto in parte; buona la presenza dei simboli di morte, c’è del grottesco nel duello/corrida, ma è una lacuna la totale assenza di ironia, nel senso di burla spiritosa. Funzionali, invece, nell’accentuato folklore iberico, i movimenti coreografici del Balletto Civile. Se l’intento di Granados era quello di trarre una vicenda melodrammatica dai quadri del pittore, nello spettacolo torinese questo vale solo nel momento in cui Rosario si mostra vestita (e poi svestita), ricreando il soggetto della maja del Prado.
L’abbinamento a Suor Angelica funziona soprattutto per contrasto, e permette di ricostruire un clima musicale internazionale negli anni della Prima Guerra Mondiale; entrambe le opere risalgono infatti a quasi un secolo fa, ed entrambe ebbero la première al Metropolitan Opera di New York (28 gennaio 1916 Goyescas, significativamente abbinata ai Pagliacci; 14 dicembre 1918 Suor Angelica).
La precisione di un direttore d’orchestra scaltrito come Donato Renzetti si coglie sin dal primo interludio; ma il maestro lascia molto spazio ai cantanti, non impone mai una presenza strumentale massiccia. Giuseppina Piunti è l’interprete principale dell’opera: certamente affascinante sul piano attoriale, è insufficiente su quello vocale; a dispetto di un timbro apprezzabile nei centri, le note basse sono spesso malferme, tutto il passaggio risulta alquanto forzato, negli acuti l’emissione si opacizza, e la voce è come soffocata da un velo. Nella disperazione della scena finale l’effetto peggiora ulteriormente, a danno anche dell’intonazione. Neppure il tenore Andeka Gorrotxategui soddisfa appieno, ma per motivi opposti: se la sua impostazione tecnica pare corretta, è il timbro vocale a essere poco felice, perché risuona come se fosse appoggiato tra naso e gola, e questo sottrae del tutto quel piglio squillante e sicuro che compete al personaggio.
Molto buoni il baritono Fabián Veloz nella vigorosa parte del torero Paquiro e il mezzosoprano Anna Maria Chiuri, dalla voce pastosa e sicura, nella parte della popolana Pepa (la Chiuri è tra l’altro l’unico anello di congiunzione vocale tra i due titoli, perché ritorna in Suor Angelica come zia Principessa).
Il Coro del Teatro Regio, guidato da Claudio Fenoglio, canta bene, anche se all’inizio non è partecipe come sempre; si direbbe quasi mancare di entusiasmo (forse perché impegnato a eseguire movimenti scenici complessi? O forse perché è l’ultima recita?), tanto da ritrovarsi a volte disallineato rispetto all’orchestra. La componente femminile dello stesso coro, con l’aggiunta delle Voci bianche del Conservatorio “Giuseppe Verdi”, è invece perfetta in Suor Angelica, che completa il dittico con esito musicale qualitativamente superiore. Conviene, per una volta, partire dai tanti personaggi di contorno, ovviamente tutti femminili, perché la compagnia è davvero ottima: meritano menzione la suora zelatrice di una fermissima Silvia Beltrami, la dolcezza ingenua e commovente di Damiana Mizzi nella parte di Suor Genovieffa, la severità – che si coglie già dalla cavata mezzosopranile – della badessa di Maria Di Mauro (degna introduzione della zia Principessa), Maria De Lourdes Martins adeguata Suor Dolcina. Come si diceva, torna sulla scena Anna Maria Chiuri nel ruolo, brevissimo eppure quanto mai intenso, della zia Principessa, che porge nei tradizionali termini di lugubre spietatezza: la voce è autorevole ed efficace, anche se nell’ampiezza della tessitura il registro non risuona del tutto uniforme. Protagonista dell’opera è Amarilli Nizza, soprano dalle mille interpretazioni, assidua al Regio di Torino, dove l’ultima volta è apparsa – poco meno di un anno fa – nelle vesti di Madama Butterfly. Della sua Suor Angelica si potrebbe, peraltro, ripetere quanto già detto nella precedente occasione pucciniana: molto impegno attoriale e intensa partecipazione emotiva, congiunti però a una voce priva di adeguata personalità. Fino al duetto con la zia Principessa tutto va abbastanza bene, ma dopo aver appreso della morte del figlio la Nizza abdica alla voce impostata, per sostituirla con l’urlo e con l’emissione incontrollata. Rilevare nell’opera un punto di rottura traumatica, che si riverberi anche nell’assetto vocale, è ottima idea; ma occorre far sgorgare la nuova drammaticità da mezzi comunque vocali, non da effetti che deturpano il canto. Gli acuti di «Senza mamma, / bimbo, tu sei morto!» (aria che Renzetti stacca a ritmo piuttosto sostenuto) sono sopraffatti da un vibrato corto che frammenta la linea di canto, e fa “tornare indietro” di molto la voce. Il conseguente imbarazzo del pubblico è tale che neppure tutta la sala applauda al termine del numero più celebre dell’opera.
La regia e le scene, sempre di Andrea De Rosa, ambientano l’opera all’interno di un ospedale psichiatrico governato dalle suore, e quindi accanto alle tante sorelle sono ragazze e donne degenti, evidentemente inferme di mente. La grata della clausura diventa così la cancellata che separa il mondo civile – freddo e ipocrita, quello della zia Principessa – dal mondo della sofferenza e del sacrificio intimi. Il fatto che alla fine, andando incontro alla morte, Suor Angelica spalanchi la cancellata, esca, conduca con sé altre pazienti, è segno del “ribellismo” del personaggio, tenace e incontenibile fino all’ultimo (che poi la Nizza sia “ribelle” anche ai canoni vocali è altra questione …). C’è un appiglio filologico alla lettura di De Rosa, perché nel libretto di Giovacchino Forzano la stessa protagonista esclama: «Ho smarrita la ragione!». La notizia della morte del figlio innesca infatti nella suora una metamorfosi che la trasforma in degente dell’ospedale (all’uscita della zia è subito soccorsa da suore infermiere); naturalmente, non si assiste ad alcun miracolo finale, quanto piuttosto all’estasi mortifera della protagonista.
Come reagisce il pubblico del teatro a fronte di due vicende e di due allestimenti così divergenti? Con unanime apprezzamento al termine di Goyescas, e con crescenti applausi alla fine di Suor Angelica, soprattutto per la Chiuri e per la Nizza; ma, si può dire con certezza, anche il duplice spettacolo di De Rosa è piaciuto molto, soprattutto perché evita di ricercare improbabili analogie, e riserva ai due titoli le strade autonome che meritano. Foto Teatro Regio Torino