Roma, Auditorium “Parco della Musica”, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, stagione 2014-2015
Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Direttore Antonio Pappano
Violino Lisa Batiashvili
Paul Dukas: “L’apprenti sorcier”, Scherzo sinfonico da una ballata di Goethe
Jean Sibelius: Concerto per violino e orchestra in re minore op. 47
Modest Musorgskij: Quadri di un’esposizione, versione orchestrata da Maurice Ravel
Roma, 24 gennaio 2015
Dopo lo splendido concerto con la Netrebko, che aveva chiuso lo scorso anno, Antonio Pappano inaugura il suo 2015 all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia con un programma che spazia dalla Francia fin de siècle alla Russia romantica e nazionalista, facendo un giro un po’ lungo e transitando per la Finlandia di Jean Sibelius. A aprire le danze è demandato il celeberrimo scherzo sinfonico L’apprenti sorcier di Paul Dukas. La migliore orchestra d’Italia fa vedere tutta sé stessa; Pappano riesce immediatamente a creare magia, fin dal misterioso vapore iniziale (ottima la tenuta, sul filo, degli archi e gli interventi ottimi dei legni), e poi a far esplodere la pasta sonora, arrivando a quella sorta di danse fra il macabro e l’ironico, sfrenata, luciferina − e a chi non è balenato in mente Topolino in Fantasia alle prese con i riottosi manici di scopa da lui stesso evocati? − e concludendo con gusto scherzosamente faceto. Pappano, al solito, evidenzia ogni sonorità (ancor meglio − lo diremo − farà nei Quadri); ogni sfumatura, venatura o vezzo orchestrale diviene argilla modellata fra le sue mani; ha sempre perfettamente chiaro quello che vuole dalla sua orchestra, non lesinando di portare l’orchestra al volume massimo o al pianissimo più flebile, e il pubblico lo percepisce perfettamente.
Primo pezzo forte della serata è il Concerto in re minore per violino e orchestra op. 47 di Jean Sibelius, compositore che sta meritatamente avendo una (ri)scoperta internazionale: il 2015 è, infatti, il centocinquantesimo anno dalla sua nascita. E qual modo migliore di onorarlo se non il talento cristallino dell’avvenente Lisa Batiashvili? Georgiana, rivelata al mondo proprio grazie alla vittoria del concorso Sibelius nel ’95, torna a suonare uno degli autori a lei, evidentemente, più congeniali. L’esperta e accorta guida di Pappano fa il resto. Il suo talento straordinario è palese sin dalle prime note: l’Allegro moderato ha infatti uno degli incipit più suggestivi che mi sia dato di ricordare, con quell’atmosfera da foresta finlandese incantata, dove arcanamente s’insinua la voce del violino, prima con lunghissimi filati, poi dipingendo melodie. La difficoltà di questo concerto sta, in generale, nelle qualità a dir poco proteiformi che l’esecutore deve possedere per onorarlo degnamente: l’intonazione perfetta dei passaggi lunghi sui legati, sulle arcate, cui si affianca il dolce vibrato di taluni passaggi, fino all’orgia più sfrenata di virtuosismi. La Batiashvili ha tutte queste qualità. Riesce superbamente nel primo tempo, facendo suonare il suo Guarnieri del Gesù come meglio non si potrebbe fare − pregevolissima, in particolare, l’intonazione; nel secondo (Adagio di molto) fa emerge una sensibilità sonora dal carattere elegiaco e malinconico e nell’Allegro ma non tanto, l’ultimo, il suo virtuosismo tzigano. La calorosa ovazione tributatale è ripagata con l’esecuzione di un brano con orchestra dedicato al suo paese natio, la Georgia. Eccoci rientrati in sala per il secondo pezzo forte, i Quadri di un’esposizione di Modest Musorgskij, nella celebre versione orchestrale di Maurice Ravel. Pappano non disonora, per gusto e raffinatezza, la lunga schiera di chi li ha diretti prima di lui all’Accademia, tra i quali val la pena di ricordare: Toscanini, Votto, Giulini, Karajan, Schippers, Prêtre, Temirkanov, Celibidache, Gergiev. L’evento ha anche una certa importanza, giacché Pappano li tiene a battesimo personale per l’Accademia. E mai battesimo sarebbe potuto andare meglio. L’orchestra tiene benissimo tutte le sonorità, spesso aspre, dell’impervia partitura: Pappano è vigilissimo nel perseguire la sua direzione, ligia alla partitura ma mai stantia, anzi dinamica, fresca, dimentica di impaludamenti o monotonie. La carrellata di quadri è impressionantemente evocativa. La musica scorre, a tratti leggera, a tratti imponente. Gli squilli di trombe e ottoni ci trasportano al primo quadro, il claudicante e guardingo Gnomus, debitamente appesantito nelle sue asprezze; poi ecco il malinconico notturno de Il vecchio castello, debitamente dipinto da Pappano con evanescenti sonorità, dove nella notte risuona il timbro del sassofono contralto; subito veniamo trasportati in un chiacchiericcio strumentale che descrive il gioco dei bambini parigini nel parco di Tuileries, accostato con ossimoro alle pesantezze strumentali di Bydlo, cui Pappano dà un senso di marcia elefantesca. Dopo un’altra passeggiata, eccoci nel delizioso mondo del Balletto dei pulcini nei loro gusci, lezioso divertissement tutto giocato sugli staccati dei legni (ha avuto una fortuna immensa); dopo Samuel Goldenberg e Schmuyle, rieccoci in una frizzante atmosfera francese, Il mercato di Limoges, ma siamo d’improvviso catapultati nel macabro e mortifero ambiente delle catacombe (Catacombae. Sepulchrum Romanum), evocante la morte; di lì siamo portati da Baba Jaga (La capanna di Baba Jaga), impegnata in qualche sua stregoneria. Alla fine contempliamo con trasporto La grande porta di Kiev, mentre Pappano dirige con grandiosa possanza epica le note del tema principale. La magia della musica, filtrata nella sapiente interpretazione di Pappano e eseguita dalla Santa Cecilia, ghermisce ogni spettatore col fiato sospeso. Alla fine non si può che applaudire per scaricarsi di tanta tesa emozione. Foto © Riccardo Musacchio & Flavio Ianniello