Comédie lyrique in tre atti su testo di Étienne Morel de Chédeville. Katia Velletaz (Zélime), Chantal Santon (Une esclave Italienne), Caroline Weynants (Une esclave française), Jennifer Borghi (Almaïde), Cyrille Dubois (Saint-Phar), Reinoud van Mechelen (Tamorin), Julien Véronèse (Le Pacha), Tassis Crystoiannis (Florestan), Alain Buet (Husca), Julie Calbète (Une esclave allemande), Philippe Favette (Osmin), Anicet Castel (Furville). Les Agrémens, Choer de chambre de Namur, Guy van Waas (direttore). Registrazione: Opéra royal de Wallonie-Liège, 19-21 ottobre 2013. T.Time: 2 ore e 19′ – 2 CD Edizioni Palazzetto Bru Zane RIC 345
La passione per l’Oriente e per i soggetti esotici è un tratto distintivo della cultura settecentesca ed investe l’intero dominio delle arti con la creazione fantastica di mondi orientali più sognati che conosciuti. Un genere particolare è quello delle turcherie che nate a Vienna come sorta di esorcizzazione della minaccia ottomana avevano contagiato l’intera Europa divenendo un soggetto di genere particolarmente apprezzato in ambito musicale per le possibilità che l’orchestrazione “alla turca” offriva ai compositori nel campo di sonorità insolite e stimolanti. Il belga Grétry divenuto figura di spicco del mondo musicale francese negli ultimi anni della monarchia si era cimentato per la prima volta con il genere nel 1771 con “Zémir et Azor” per ritornarvi nel 1783 con questa “La Caravane du Caire” che rappresento uno dei suoi maggiori successi.
Il libretto firmato da Etienne Morel de Chédeville ma scritto con buona verosimiglianza da Luigi conte di Provenza (il futuro Luigi XVIII) ripropone tutti i moduli del genere con rocambolesche peripezie, agnizioni impreviste, personaggi buffi e caricaturali e con il conclusivo atto di clemenza del sultano divenuto di prassi dopo il successo della prima entrée de “Les Indes galantes” di Rameau in cui la figura dell’orientale magnanimo trova la prima compiuta rappresentazione sul palcoscenico.
La prima rappresentazione di fronte alla corte avvenne il 30 ottobre 1783 accolta da un vivo successo sia per la freschezza musicale sia per l’allestimento ricco di trovate e spettacolari colpi di scena; successo che non mancò negli anni successivi nonostante i profondi rivolgimenti politici e sociali vissuti dalla Francia tanto che un coro dell’opera (“La victoire est à nous”) divenne durante l’impero un inno di battaglia della Grande-Armée.
La musica di Grétry è sicuramente molto godibile, le arie sono brevi e molto variate sul piano espressivo senza eccessive richieste sul piano del canto – il che favoriva le rappresentazioni anche in ambiti più periferici – e l’orchestra sfrutta al meglio tutti i tipici elementi alla turca che sul pubblico avevano sempre facile preda. Si distinguono alcuni momenti – specie fra i ballabili – caratterizzati da più originali soluzioni compositive come la “dance des femmes” accompagnata dall’arpa in funzione solista. Tanto nell’orchestrazione quanto nel trattamento della vocalità sono evidenti gli echi dei lavori di Gluck nel genere come “Les Pèlerins de la Mecque” che presenta tratti comuni anche sotto il profilo drammaturgico.
Fra i momenti più compiuti dell’opera va sicuramente ricordata la scena del mercato degli schiavi con le tre prigioniere europee – un’italiana, una francese e una tedesca – che offre l’occasione per una parodia dei modi musicali propri dei vari paesi. Così l’italiana canta un’autentica parodia dell’opera seria con la citazione di un’aria del “Siroe, Re di Persia” di Metastasio, la tedesca si muove su un linguaggio di inamidato contrappunto visto come tipico di quel mondo musicale mentre la francese si esprime con accenti frivoli e salottieri.
Fra le opere di Grétry questa “Le caravane du Caire” ha goduto di una certa fortuna discografica dal momento che esiste già una precedente incisione di Minkowski, rispetto alla quale questa nuova edizione presenta delle pagine strumentali aggiunte dal compositore per successive riprese dell’opera.
Già ascoltato in altre produzioni – ad esempio nel “Thesée” di Gossec – il complesso “Les Agrémens” con il loro direttore stabile Guy van Waas è perfettamente a suo agio in un ambito espressivo che gli è particolarmente congeniale offrendo una prova di notevole interesse con sonorità brillanti e leggere, autenticamente spumeggianti e un senso di gioiosa ironia e di gioia del fare musica che attraversa tutta la partitura cogliendo in pieno la natura di una composizione che proprio di questa leggerezza fa il suo tratto più apprezzabile non essendo certo lavoro di particolare originalità. Le pagine strumentali risultano quindi fra i momenti più compiuti di questa registrazione ma anche il canto è sempre ben accompagnato e sorretto. Il Choer de chambre de Namur in questo repertorio è una certezza assoluta e non delude le attese confermandosi una delle compagini di maggior interesse sulla scena europea.
La compagnia di canto è composta da specialisti – molti già ascoltati più volte nelle registrazioni edite dalla fondazione Palazzetto Bru Zane – che affrontano questo repertorio con gusto e coerenza stilistica. Bravissimi i tenori come ormai di prassi nelle registrazioni francesi di musiche del XVIII secolo a testimonianza di una scuola di altissimo livello medio che nel paese si è ormai radicata e continua a sfornare cantanti di deciso interesse. Cyrille Dubois è un Sanit-Phar squillante ed eroico dalla voce molto bella e dagli acuti facili e ricchi di suono, perfetto per un personaggio connotato da un manierato eroismo classicheggiante mentre Reinoud van Mechelen tratteggia un Tamorin di grande lirismo, perfetto contraltare galante e sentimentale al tenore protagonista e anche nel suo caso si apprezzano la correttezza del canto e l’eleganza dello stile.
Katia Vellettaz (Zélime) è forse un poco troppo seriosa nel contesto generale, troppo rigida nella costruzione di un personaggio tutto rivolto al versante lirico e patetico ma canta in ogni caso decisamente bene e la voce è molto piacevole con morbide ombreggiature nel settore centrale; il taglio così contegnoso dato al personaggio crea, inoltre, un buon contrasto con l’Almaïde vitalissima e spumeggiante di Jennifer Borghi che dona al personaggio tutta la brillantezza richiesta senza sacrificarne però la nobiltà di fondo del ruolo. Ottima prova per il soprano Chantal Santon che risolve con grande sicurezza il non facile cimento rappresentato dall’aria della “Esclave italienne” impegnata in una classica aria da “virtuosa” di “opera seria”. Il versante femminile è completato da Julie Calbète (Une esclave allemande) e da Caroline Weynants (une esclave française) ottime soliste del Choer de chambre de Namur.
Tra le voci gravi emerge il baritono Alain Buet (Husca) che presenta una voce solida e robusta, di bel colore, qualità alla quale si aggiungono una bella linea di canto e notevoli doti interpretative. Pregevole anche il baritono Tassis Christoyannis (Florestan) che riesce a dare pieno risalto alla sua grande scena dell’Atto III (Ah! Si pour la patrie”), uno dei punti più ispirati della partitura. Julien Véronèse (Le Pacha Osman) forse non brilla per una notevole personalità vocale ma è un valido interprete e riesce a rendere bene la natura un po’ sopra le righe e vanesia del Pacha del personaggio. Completano il cast Philippe Favette (Osmin) e Anicet Castel (Furville) anch’essi provenienti dal coro di Namur.