Esclarmonde di Jules Massenet segnò il debutto sulle scene parigine e sulle scene teatrali in generale di Sybil Sanderson, il grande soprano americano di cui si celebrano i 150 anni dalla nascita. Con questa guida all’ascolto dell’opera è nostra intenzione dare una visione più completa possibile della vocalità di questa straordinaria interprete; bisogna, tuttavia, affermare in via del tutto preliminare che la presente incisione non ci permette di apprezzare gli straordinari acuti scritti da Massenet per il soprano americano e in particolar modo il sol sopracuto del finale del quarto atto sostituito da un mi più accessibile a una voce non dotata di questa estensione.
La genesi dell’opera
Una sera Massenet nel salotto di una ricca famiglia americana, dalla quale era stato invitato a cena, ebbe modo di ascoltare una bella e giovane cantante californiana, Sybil Sanderson, che si esibì nell’aria della Regina della Notte, Der Hölle Rache, del Flauto magico di Mozart. Quella voce così duttile e potente e di grande estensione colpì il compositore al punto tale che il giorno dopo si recò da Hartmann per parlargli della giovane artista, ma l’editore, manifestando una certa agitazione, gli disse:
“Le devo parlare di un’altra cosa, chiederle, se, sì o no, lei vuole fare la musica di questo libretto che mi hanno appena dato». E aggiunse: «È urgente, poiché la musica è desiderata per il periodo dell’apertura dell’Esposizione Universale, che deve aver luogo tra due anni, nel maggio 1889»”
Massenet non solo accettò con entusiasmo il nuovo libretto, ma esclamò subito che aveva già la cantante adatta. Il libretto, che si rifà alle Chansons de geste raccolte nel poema Parthenopeus de Blois da Denis Pyramus, scoperto da Alfred Blau nella Biblioteca di Blois durante la guerra del 1870, fu scritto nel 1871 dallo stesso Blau in collaborazione con Louis de Gramont e offerto nel 1882, col titolo Pertinax, al compositore belga Auguste Gevaert con la speranza di poter inserire nel repertorio operistico francese un’opera mitologica che si rifacesse alla produzione wagneriana. In effetti l’opera presenta alcune affinità con i modelli wagneriani; il divieto fatto ad Esclarmonde di far vedere il suo volto richiama, infatti, il Lohengrin, come pure il sonno della protagonista è simile a quello di Grundy nel Parsifal in quanto entrambe vengono svegliate da un incantatore dopo la loro materializzazione dal nulla, nel palco, in una nube di fumo. Modifiche furono apportate anche ad alcuni nomi per renderli più magici dal punto di vista sonoro; il nome della protagonista, infatti, si tramutò da Mélior in Esclarmonde, da cui il nuovo titolo dell’opera, mentre il cavaliere assunse il nome di Roland de Blois e il nome della sorella e confidente della principessa fu cambiato da Uraque in Parséis. L’opera, in quattro atti con un prologo e un epilogo, fu rappresentata il 15 maggio 1889 all’Opéra-Comique con un cast che comprendeva Sybil Sanderson (Esclarmonde), Orea Nardi (Parséis), Frédéric-Étienne Gibert (Roland), Gustave Prosper Herbert (Énéas), Émile-Alexandre Taskin (Phorcas) e con Jules Danbé sul podio. Dopo il successo strepitoso confermato dalle 99 repliche, in seguito alla morte della Sanderson, l’opera fu tolta dal repertorio per volontà di Massenet, spinto probabilmente non solo da ragioni sentimentali, ma anche dalla convinzione che non era facile trovare una voce adeguata al ruolo della protagonista.
Esclarmonde rivide le scene all’Opéra il 24 dicembre 1923 con Fanny Heldy (Esclarmonde), Paul Franz (Roland) e Jean-François “Francisque” Delmas (Phorcas), ma l’accoglienza fu tiepida tanto che il numero delle repliche fu abbastanza ristretto. Fu riportata al successo dal soprano Joan Sutherland nei maggiori teatri negli anni 70 e 80, ma con accomodamenti di tono.
Nonostante il successo di pubblico la stampa, tuttavia, non fu particolarmente tenera ed Arthur Pougin, che in altre occasioni si era schierato tra i difensori di Massenet, questa volta criticò le scelte del compositore e la voce della Sanderson nella sua recensione pubblicata su «Le Ménestrel» il 19 maggio 1889:
“Io, da più di quindici anni, ho dato da tutti i lati abbastanza prove della mia simpatia per il talento del signor Massenet, per avere il diritto di dirgli, oggi, ciò che credo sia la verità. Ora, la verità, per me, è che questa volta il signor Massenet si è completamente sbagliato, e che è passato al lato del successo. Egli si è sbagliato, dapprima, applicandosi a un libretto nel quale l’assenza d’interesse non è compensata da dati geografici e storici di una fantasia a sviare tutte le Malte-Brun e le Duruy del mondo. Si è sbagliato poi nello scrivere il ruolo principale della sua opera per un’artista la cui voce eccezionale, ma troppo incompleta, l’ha trascinato a delle bizzarrie più spiacevoli che gradite. Egli si è sbagliato, infine, nel prendere per ispirazione, formule musicali che, da molto tempo si strascinano da tutte le parti e sono definitivamente cadute nel dominio pubblico, usando e abusando del leitmotiv per rialzare queste formule, che sono diventate né migliori né più nuove, e accompagnando il tutto con un’orchestra sempre in stato di furore, sempre fremente, sempre portata a un massimo di sonorità tale che le orecchie le meno selvagge, le più agguerrite sanguinano letteralmente di dolore. […] L’ispirazione! Ecco cosa sembra mancare un po’ troppo nella nuova opera del signor Massenet. La si incontra, sicuramente, da un momento all’altro, ma non là dove saremmo felici di essere trasportati da essa. È soprattutto in pagine secondarie che il maestro si è lasciato liberamente trasportare sulle ali della sua immaginazione, per esempio nelle arie da balletto e negli entr’actes, che sono state curate da lui, e nei quali l’insopportabile leitmotiv ci lascia un po’ di tregua”.
Dello stesso tono è il commento di Fourcaud che dalle colonne di «Le Gualois» criticò le scelte compositive di Massenet accusando il compositore di aver modellato la parte di Esclarmonde esclusivamente sulle possibilità vocali della Sanderson:
“Ma passo, ora, alla musica che, devo anzitutto, riconoscere che essa indica, nel compositore, un desiderio troppo marcato di accostarsi alla nuova scuola – cosa per la quale non saprei che fargli un elogio. Egli ha, visibilmente, cercato di dare alla sua trama lirica più coesione, di unificare le sue scene con impieghi frequenti e più decisi di motivi tipici e di rendere l’orchestra più espressiva. La volontà di creare degli effetti nuovi è spesso manifesta, e l’in-gegnosità dei procedimenti non si può discutere. Sfortunatamente, le idee sono generalmente povere, gli sviluppi brevi, e l’orchestrazione così tesa e così chiassosa che ne risulta un’estrema fatica per l’ascoltatore. Inoltre, il signor Massenet non ha potuto astenersi da formule vocali troppo scopertamente destinate a forzare l’applauso. Senza parlare della parte di Esclarmonde che rac-chiude delle spiacevoli concessioni alla voce speciale dell’interprete, noto in molti passi progressioni ascendenti all’italiana e altri mezzi di effetto molto usati e che il gusto disapprova. Senza dubbio, l’abilità è sorprendente: il signor Massenet troverà, per esempio, per caratterizzare i poteri magici delle serie di armonie troppo sorprendenti e inquietanti sonorità strumentali; ma egli scatena costantemente tutti gli ottoni; i cori stessi che celebrano con rapimento la bellezza della giovane imperatrice sono accompagnate come dei canti di guerra. Nella parte amorosa e sensuale dell’opera, ci sono grazie avvolgenti; ma, fatte salve le opposizioni volute e violente, la monotonia è dappertutto. Gli episodi talvolta pittoreschi, come il piccolo balletto dei silvani nella foresta delle Ardenne, hanno un certo colore; ma, che volete? Il piacevole antipasto è presto sentito e noi dobbiamo subire sempre rinascenti fracassi… Io pongo, nondimeno, per quanto mi compete, Esclarmonde al disopra del Cid. Quali che siano le mancanze che vi percepisco, vi vedo anche tendenze più alte e noi dobbiamo farci i conti giudicando questa partitura”.
Anche Bellaigue non fu tenero nei confronti di Massenet, accusandolo di aver imitato troppo apertamente Wagner:
“L’opera del signor Massenet ci sembra mancare di semplicità, di unità e di elevazione. Tradisce troppo la ricerca, istintiva o premeditata, dell’effetto [….]. La coesione manca ugualmente a Esclarmonde. L’opera cede e scricchiola da tutte le parti. Ci sono nell’insieme dei buchi e come delle fessure; ce ne sono in ogni atto e quasi in ogni pezzo. Troppo spesso si potrebbe indicare dove l’idea si nasconde, dove l’ispirazione manca […]. Infine, la personalità del compositore si è eccessivamente eclissata dietro un’altra, quella di Wagner. Il signor Massenet non poteva trovare un modello o un alleato più temibile. Come tutti i grandi uomini, forse più inimitabile e inaccessibile di tutti loro, Wagner non aiuta nessuno: schiaccia quelli che gli chiedono aiuto, spezza la mano che si mette nella sua. L’autore di Marie-Magdeleine non era stato ancora ossessionato a questo punto dal ricordo del maestro di Bayreuth. Si potrebbe definire Esclarmonde al tempo stesso un piccolo Tristano e un piccolo Parsifal francese; l’imitazione, o l’ispirazione, incosciente ma reale, si manifesta con disegni multipli. Sarebbe facile indicare in Esclarmonde reminescenze di melodia o di ritmo: l’ingresso di Énéas (un personaggio secondario) ricorda l’ingresso di Walther nei Maestri cantori; certi richiami di Esclarmonde assomigliano ai gridi selvaggi di Brunhilde, la Walkiria”.
Completamente diverso fu il parere di Auguste Vitu che, dalle colonne di «Le Figaro», scrisse:
“L’insieme di quest’opera è del resto così vario di dettagli, di colorazioni pittoresche e di ingegnose trovate che si farebbero senza difficoltà nuove scoperte, ed è un piacere a cui si potrà dedicarsi per molto tempo”.
La trama e l’analisi dell’opera
Nel prologo l’imperatore di Bisanzio Phorcas annuncia ai dignitari della corte la sua intenzione di dedicarsi agli studi e di affidare il suo potere magico alla figlia Esclarmonde che conserverà questi poteri a patto di nascondere il suo viso a tutti fino al compimento dei vent’anni e solo allora il vincitore di un torneo l’avrebbe sposata. La giovane confida alla sorella Parséis di essersi innamorata di un cavaliere, Roland, visto una sola volta in un torneo e del cui valore parla bene Énéas fidanzato di Parséis. Rimasta sola, la principessa ricorre alle sue arti magiche e fa trasportare Roland dalla foresta delle Ardenne, dove stava cacciando, su un’isola incantata dove lo raggiunge e si concede a lui a patto che egli non voglia vederla in viso e conoscere il suo nome. L’idillio è interrotto la mattina seguente dalla necessità di Roland di correre in difesa del re Cléomer assediato a Blois dai Saraceni. L’intervento del cavaliere salva dagli invasori il re che per gratitudine gli offre in sposa la figlia Bathilde. L’incertezza del cavaliere insospettisce il vescovo che lo costringe a rivelargli la verità e, quando nella notte giunge Esclarmonde per incontrarsi con il suo amato, irrompe con monaci esorcisti e carnefici e strappa il velo dal viso della principessa che, protetta dagli spiriti, riesce a fuggire. Conosciuti gli eventi nella foresta delle Ardenne dove era andato a vivere, Phorcas impone alla figlia di rinunciare a Roland per espiare ed entrambi scompaiono. Nell’epilogo si assiste, a Bisanzio, ad un torneo il cui vincitore dovrà sposare Esclarmonde. Vi partecipa anche Roland che vince tutti in combattimento, ma rifiuta l’offerta di Phorcas perché non può fare a meno di pensare alla bella sconosciuta incontrata nell’isola incantata. Esclarmonde, però, riconosce subito la sua voce e svela la sua identità. Così i due amanti possono finalmente unirsi. L’opera si apre direttamente con il prologo che non è preceduto né da un’ouverture né da un preludio, scelta piuttosto insolita per Massenet il quale comunque introduce subito il Leitmotiv della magia che, esposto dall’orchestra, ritorna spesso nell’opera (Es.1). Tutto il prologo presenta un carattere solenne con il suono dell’organo e degli ottoni che introducono il recitativo (Dignitaires, guerrieres) dell’imperatore Phorcas il quale annuncia la sua abdicazione a favore di Esclarmonde glorificata dal coro che conclude il prologo (Sublime Impératrice). Dopo una breve introduzione, della quale è assoluto protagonista il Leitmotiv precedentemente esposto insieme a sonorità eteree e preziose ottenute con un sapiente impasto timbrico, Esclarmonde vagheggia l’amore di Roland in una pagina di straordinario afflato lirico, Comme il tient ma pensée, che nella parte conclusiva si accende di passione.
La vena lirica di Massenet trova un altro momento qualificante anche nel successivo breve duetto Ah! Trop malheureuse Esclarmonde. La scena muta con l’ingresso di Enéas il quale, dopo aver elogiato in tono quasi araldico le gesta di Roland, annuncia le possibili nozze di quest’ultimo con Bathilde. Alla fine Esclarmonde su un’armonia ricercata costituita su accordi di nona minore (Es. 2), giura che Roland sarà suo. In una scrittura preziosa, della quale assoluta protagonista è l’arpa, la principessa sogna l’isola, nella quale avrebbe incontrato Roland, e, dopo aver messo in atto il suo incantesimo, rivolge alla luna la sua invocazione resa con timbri orchestrali di elevata purezza celestiale. L’incantesimo ha luogo e Roland appare impegnato in una battuta di caccia nella foresta delle Ardenne, rappresentata efficacemente da un Allegro in 6/8 (Es. 3) nel quale appaiono echi wagneriani.
L’atto si conclude con Esclarmonde che per incantesimo si alza su un carro e sparisce in un crescendo di emozione. Trilli acuti e celestiali dei violini trasportano lo spettatore in un’isola incantata, mentre gli spiriti danzano al ritmo di un etereo valzer. È uno dei passi più interessanti dell’opera, nel quale Massenet si dimentica di imitare Wagner, riappropriandosi del suo stile e della sua scrittura. Il passo fu esaltato anche da Bellaigue che lo descrisse efficacemente, non nascondendo qualche perplessità sul duetto:”Roland si avanza attraverso i cespugli fioriti dell’isola incantata. Gli spiriti lo circondano con i loro girotondi graziosi e lo invitano a seguirli. Affascinanti disegni dell’orchestra, appena schizzati; ogni trasparenza e fluidità possibili; una musica che sembra proprio la vibrazione dell’atmosfera; felici alternanze di ritmo saltellante e languido a turno; dappertutto quella mano leggera che potevamo essere sicuri di trovare qui; una graziosa entrata e una graziosa cantilena di Esclarmonde; nei preliminari del duetto, un po’ di incertezza, di imbarazzo voluto che non guasta e il duetto incomincia. Certo, è melodioso, armonioso anche; ma lì soprattutto, mi sarei aspettato un’altra cosa: un ritmo più originale, meno familiare alle nostre orecchie di quanto lo sia questo ritmo sul quale hanno già galleggiato tanti duetti d’amore, da quello del Romèo fino a quello di Éve e a quello del Cid, forse il più toccante. Le risposte lontane del coro: Hymen! Hymenée; alla lettura almeno, poiché in teatro non si sentono. La progressione che si conclude con il duetto non è molto nuova; un crescendo ansimante sale di nota in nota, e un’esplosione troppo prevedibile conduce alla chiusura del sipario. Era il momento di mascherare sotto le rose gli ardori della frenesia di Esclarmonde e del suo amato. Era naturale indicarne in alcune misure il parossismo e l’appassimento, come ha fatto Gounod nel Faust alla fine dell’atto del giardino. Ma il signor Massenet ha fatto molto di più. Grazie a una perorazione orchestrale straordinariamente espressiva e del resto abbastanza potente, grazie a questo entr’acte […], noi sentiamo ciò che non vediamo. Siamo testimoni con le orecchie, non potendo esserlo con gli occhi. Mai fino ad ora era stata fatta, io credo, una descrizione sonora tanto fedele, tanto dettagliata, della manifestazione fisica delle tenerezze umane […]. Tutto è notato, graduato; i violini cominciano dolcemente; poi le viole giungono in soccorso, poi il quartetto; le sonorità si gonfiano, il movimento incalza e il tutto culmina su una luminosità generale e significativa”.
Pur mancando in qualche punto di originalità, come notato da Bellaigue, il duetto resta una delle pagine più interessanti e affascinanti di Esclarmonde con il suo tema, Voici le divin moment, che ritornerà nel corso dell’opera. Anche il quadro successivo è incentrato su un duetto estremamente più lirico nel quale Esclarmonde e Roland, dopo un’introduzione affidata al violoncello, rievocano le recenti gioie della notte d’amore. Nel terzo atto si concentrano quelli che, secondo Bellaigue, sono giustamente i due migliori tableaux di Esclarmonde. Il primo è costituito dalla scena sulla piazza di Blois; è una pagina piena di slancio, nella quale spiccano la preghiera del vescovo senza accompagnamento e il richiamo di Roland Aux armes. Legato al precedente tableau da un interludio nel quale domina il tema dell’amore, il successivo trova uno dei suoi punti culminanti nell’arioso di Roland, La nuit bientôt sera venue (Es. 4), il cui ritmo originale è stato notato anche da Bellaigue.
Dopo aver ascoltato i temi della notte dell’isola incantata che ritornano durante la confessione di Roland al vescovo di Blois, si assiste al punto culminante del-l’opera con Esclarmonde, la quale, privata del velo, si produce in uno dei più toccanti pianti della produzione di Massenet, Regarde-les ces yeux. Nel quarto atto, ambientato nella foresta delle Ardenne, la tensione sembra allentarsi grazie all’am-bientazione pastorale resa perfettamente dalla strumentazione della quale sono protagonisti prima l’oboe e poi il flauto. Nymphes e Sylvains si producono in una danza sul ritmo di uno scherzo, eseguito da flauti, oboi e fagotti. Al suo interno troviamo alcuni pezzi estremamente ispirati, come: il recitativo e aria di Esclarmonde D’une longue torpeur… je sens que se m’éveille, che raggiunge toni di spiccato lirismo nel rimpianto della felicità passata; il drammatico quartetto di cui sono protagonisti Phorcas, Parséis ed Enéas che obbligano Esclarmonde al sacrificio per salvare la vita di Roland e, infine, il lirico duetto tra Roland ed Esclarmonde Le bonheur que rien n’achève. Nell’epilogo si celebra la gioia dei due amanti che possono finalmente coronare il loro sogno d’amore reso da una scrittura orchestrale arricchita anche dalla presenza dell’organo e del coro.
La presente guida all’ascolto è tratta dal libro di Riccardo Viagrande, Jules Massenet. Les tribulations d’un auteur, Casa Musicale Eco, Monza, 2012, pp. 78-85. Si ringrazia l’editore per aver concesso la pubblicazione di questo estratto.