Torino, Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, Stagione Concertistica 2014-2015
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore James Conlon
Pianoforte Lise De La Salle
Modest Musorgskij : Tre brani da Chovanščina (orchestrazione di Dmitrij Šostakovič)
Sergej Rachmaninov : Concerto n. 1 in fa diesis minore op. 1 per pianoforte e orchestra
Pëtr Il’ič Čajkovskij : Sinfonia n. 4 in fa minore op. 36
Torino, 18 dicembre 2014
Musorgskij, Rachmaninov, Čajkovskij: una triade di compositori russi per un grande direttore come James Conlon, che torna a Torino per lavorare di nuovo con l’OSN RAI e con la pianista Lise De La Salle, per la prima volta solista nelle stagioni dell’Auditorium “Arturo Toscanini”.
Di fronte ai titoli di un repertorio ben connotato come quello russo, un direttore può compiere scelte assai diverse nel relazionarsi con l’orchestra: può prediligere la bellezza dei temi e delle melodie, compiacendosi di isolarli all’interno dell’esecuzione; può ricercare l’omogeneità del suono; può sottolineare i contrasti ritmici e agogici; può esaltare gli effetti di grandiosità o di struggente dolore. Sin dai brani tratti dalla Chovanščina – una sorta di suite non propriamente organica, a causa delle traversie compositive e delle orchestrazioni successive dell’opera – Conlon opta per un approccio musicale specifico: la caratterizzazione del suono. Il direttore decide cioè di sottolineare almeno una caratura peculiare di ciascuna delle famiglie orchestrali, in modo da creare un organismo sonoro complesso e non necessariamente omogeneo, ma sicuramente vitale e pulsante: con i tremuli degli archi, la fermezza di emissione dei legni, lo squillo degli ottoni. Già di per sé l’OSN RAI suona molto bene nelle varie sezioni; ma un concertatore come Conlon ne amplifica ancor più la bravura, e la bellezza del suono propriamente sinfonico.
Sembra incredibile che nell’avvicendarsi delle stagioni concertistiche della RAI di Torino il I Concerto per pianoforte e orchestra di Rachmaninov non fosse più eseguito dal gennaio 1986 (quando alla tastiera sedeva Nikita Magaloff). Lise De La Salle è una pianista francese ventiseienne, per la prima volta ospite dell’OSN RAI; abituata a frequentare il repertorio tardo romantico, imposta la parte con uno stile di marcato vigore, comunque sempre garbato, e funzionale a una valorizzazione della partitura; la scansione molto assertiva riesce infatti a rendere più omogenei i disiecta membra della scrittura del giovanissimo Rachmaninov. La forza percussiva della pianista culmina ovviamente nel finale del I movimento (prescritto del resto come Vivace). Nel II (Andante) diventa sistematica l’intesa tra pianoforte e orchestra (nel I ridotta invece a un’alternanza di interventi): si sente bene con quale delicatezza Conlon innesti la voce degli strumenti su quella dello strumento solista, a partire dall’iniziale, bellissimo squillo del corno con cui il movimento centrale si apre. Anche nel finale (Allegro vivace) il suono di Lise De La Salle è argentino, trasparente, quasi freddo; al calore e alla sensualità l’artista preferisce un’emissione fluente e continua, sorretta da torrenti di forza. Al termine di lunghi applausi regala al pubblico un bis di eleganza tutta francese, che annuncia ella stessa: «Debussy, une prélude»: un saggio di legato e di leggerezza sulla tastiera.
Possente, ineluttabile, granitica la fanfara che apre la sinfonia n. 4 di Čajkovskij, nella cifra di una tragedia screziata di bellissimi colori strumentali. Conlon chiarisce sin da subito la sua idea sul discorso sinfonico che anima l’opera: se il celebre tema degli archi presenta l’aspetto della paura e dell’angoscia, la fanfara degli ottoni è invece il male opprimente, il dolore inferto alla creatura inerme. Dallo sviluppo nasce invece l’altro tema, rasserenante, affidato ai legni; poi il dettato sinfonico si ricompone nella melodia cullante, ma sempre scandita dall’inquietante cadenza del timpano. E nei momenti di pienezza orchestrale emerge il Conlon direttore wagneriano, attento in particolare alle sonorità degli ottoni.
L’oboe di Francesco Pomarico apre il II movimento (Andantino in modo di canzona – Più mosso – Tempo I) con stile molto sobrio: l’idea musicale, quindi, si sviluppa raggruppando tutti gli archi, tra cui Conlon valorizza specialmente il comparto dei violoncelli. Ma lo snodo più dinamico dell’intera sinfonia si ha a metà, con lo Scherzo (Pizzicato ostinato – Allegro – Meno mosso – Tempo I): magnifica l’atmosfera elettrica dell’incalzante pizzicato dei soli archi; poi entrano in scena i legni con cascatelle di colori, e la cupa sinfonia dei primi due movimenti si trasforma magicamente in una pagina dello Schiaccianoci: soldatini in marcia, elfi danzanti e paesaggi innevati scorrono davanti all’immaginazione dell’ascoltatore. Conlon è anche un ottimo evocatore di atmosfere, prima di tutto perché sa creare contrasti interni molto forti. Del resto, con il gioioso attacco del Finale (Allegro con fuoco – Andante – Tempo I) tutte le ombre e le angosce della prima metà sembrano completamente dissolte; il direttore le rievoca appena più tardi, con un fugace recupero del tema iniziale, che resta però senza seguito. Riesplode finalmente la gioia, in una sequenza anche troppo pompier che conduce alla stretta conclusiva; ma Conlon sta al gioco, e fa risplendere tutto, affinché l’uditorio sia travolto in uno di quei vortici di felicità e di entusiasmo, che soltanto le sinfonie romantiche o tardo-romantiche riescono a offrire. Ciò non toglie che il meglio dell’interpretazione sia stato dato nella metà cupa dell’opera e, per motivi del tutto opposti, nello Scherzo. Grandissimo successo, da intendersi davvero come onore al merito.