“Tosca” al Carlo Felice di Genova

Teatro Carlo Felice di Genova – Stagione Lirica 2014/2015
“TOSCA”
Melodramma in tre atti. Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, dal dramma omonimo di Victorien Sardou.
Musica di Giacomo Puccini
Floria Tosca MARIA GULEGHINA
Mario Cavaradossi ROBERTO ARONICA
Il barone Scarpia CARLOS ÁLVAREZ
Cesare Angelotti GIOVANNI BATTISTA PARODI
Il Sagrestano ARMANDO GABBA
Spoletta ENRICO SALSI
Sciarrone DAVIDE MURA
Un Carceriere CRISTIAN SAITTA
Un pastorello FILIPPO BOGDANOVIC
Orchestra, coro e coro di voci bianche del Teatro Carlo Felice
Direttore Stefano Ranzani
Maestro del Coro Pablo Assante
Maestro del Coro di voci bianche Gino Tanasini
Regia, scene e luci Davide Livermore
Costumi Gianluca Falaschi   
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova
Genova, 20 dicembre 2014

È la Tosca di Puccini il terzo titolo in cartellone della stagione 2014/2015 del Teatro Carlo Felice di Genova, proposta in una nuova produzione considerata fiore all’occhiello e titolo inaugurale della stagione stessa. Regia, scene e luci sono firmate dal regista residente del teatro, Davide Livermore, che con questa Tosca colpisce nel segno e raccoglie un pieno successo. Sebbene egli non sia stato certo il primo ad intuire la possibilità di un parallelismo tra l’espressività della partitura puccinina ed il linguaggio cinematografico, la messinscena di Genova può definirsi riuscita nella ricerca di una rivisitazione estremamente rispettosa del libretto e dello spartito, oltre che dotata di una molteplicità di azioni e mutamenti di prospettiva che sono propri della macchina da presa. La scenografia, medesima per i tre atti con minimi mutamenti, è costituita principalmente da una piattaforma triangolare inclinata che, in piena simbiosi con la grande macchina scenica del teatro, è in grado di girare e rivelare allo spettatore punti di vista sempre nuovi e permette, in talune situazioni, anche una suddivisione in verticale della scena. Così, per esempio, nel finale di primo atto, mentre una folla di poveracci nutrita di storpi e trasandati si accalca al di sotto della piattaforma dall’aspetto marmoreo, una processione di nobiluomini ed alti prelati procede all’ostensione dell’ostia, come a voler evidenziare il clima d’oppressione del potere che pervade l’intero spettacolo. Per quanto concerne la recitazione, Livermore, forte di una soluzione scenografica che cattura di per sé lo spettatore nel suo vortice, opta saggiamente per un’interpretazione filologicamente fedele alle indicazioni dei librettisti, concedendosi appena qualche libertà che non inficia lo svolgimento della vicenda, come la tortura di Cavaradossi, che avviene in una sorta di sotterraneo ed è mostrata per alcuni istanti nella rotazione della scenografia per poi essere evocata dalla proiezione sul fondale di un Cristo sofferente che, come il povero Mario, sprizza sangue senza mercè dalla croce.
In tal senso si è mosso anche Gianluca Falaschi nel disegnare bellissimi costumi dell’epoca prevista dal libretto. Di questa ottima regia, solo due punti abbiamo trovato rivedibili: la mobilità dell’impianto scenico è senza dubbio uno dei maggiori pregi dell’allestimento, ma nel primo atto le rotazioni si susseguono ad un ritmo eccessivo, mentre nelle altre due sezioni la piattaforma rotante del teatro viene azionata con più parsimonia. In secondo luogo, quando nel finale Tosca non si getta dai bastioni di Castel Sant’Angelo, resta sempre un po’ di amaro in bocca, come testimonia anche qualche istante di interdizione del pubblico al termine dell’esecuzione. La soluzione escogitata dal regista è in vero assai sorprendente ed originale, con la famosa statua del Castello che tutti credevano scolpita e che invece solo alla fine si muove verso la protagonista prossima al suicidio (che poi rimira una sua controfigura schiantata al suolo), ma un pelo troppo criptica; considerata la “cinematograficità” che è cifra stilistica dello spettacolo, rimarcata anche dalle note di regia, attendevamo con ansia (ed, ammettiamo, con gusto un poco sadico) uno spettacolare salto di Tosca nel vuoto.
Considerata la lunga frequentazione del ruolo, Maria Guleghina è stata una Tosca senz’altro credibile e coinvolgente sul piano interpretativo e nel complesso valida su quello musicale, pur non esente da alcuni difetti, come una pronuncia assai nebulosa che raramente permette di comprendere il testo cantato e che, in zona acuta, si risolve in un suono vocalico indistinto (talvolta leggermente calante). Qualche libertà sulla partitura ed un’esecuzione un po’ troppo russofona delle frasi declamate non inficiano comunque una prestazione di livello, apprezzabile soprattutto per presenza scenica ed espressività. Altrettanto valida anche la performance di Roberto Aronica nei panni del Cavalier Cavaradossi: dopo un’esecuzione di Recondita armonia viziata, forse per l’emozione, da un vibrato un po’ caprino, il tenore trova via via l’impostazione giusta nel corso dell’opera, delineando un personaggio sì fiero ma senza eccessi di foga. Il suono arriva sempre chiaro e timbrato alla platea, pur talvolta inficiato da una rigidità (presente soprattutto in zona acuta, dove la voce non si “copre” a dovere e si stringe) che potrebbe, in futuro, creare problemi all’artista. Debutto felice per Carlos Álvarez nei panni del malvagio Barone Scarpia, impersonato con meditata e sottile perfidia, privilegiando più l’aspetto galante e suadente del personaggio piuttosto che quello meramente sadico di confessore e boia. Il baritono spagnolo riesce a far passare in secondo piano una vocalità che primo atto è risultata troppo piccola (diversamente da quanto ricordavamo dello Jago dell’anno passato), benché dotata di nerbo e colore affascinante, ma che nel secondo ha trovato maggior volume e peso. Tra i comprimari, simpatico e corretto il sagrestano impersonato da Armando Gabba, così come apprezzabile è stato anche Giovanni Battista Parodi nell’interpretazione del fuggiasco Cesare Angelotti. Corretti anche Enrico Salsi (Spoletta), Davide Mura (Sciarrone) e Cristian Saitta, un carceriere dalla vocalità interessante. Particolare menzione per il pastorello di Filippo Bogdanovic, impegnato sulla scena nella cantata che apre l’ultimo atto. Stefano Ranzani ha diretto l’orchestra del teatro con autorevolezza, adoperando tempi incalzanti, solo talvolta un poco affrettati. Il bilanciamento sonoro tra palcoscenico e golfo mistico è stato ottimo per tutta la durata del dramma ed ha contribuito alla riuscita di una direzione che non sarà ricordata tanto per la raffinatezza quanto per l’immediatezza espressiva. Ottima la compagine corale, impegnata nel magnifico Te Deum che chiude il primo atto, oltre che nella cantata fuori scena della seconda sezione. Il pubblico non ha gremito il teatro, ma è parso decisamente più numeroso che in occasioni passate ed ha tributato a tutti gli interpreti applausi convinti, pur riservando le ovazioni maggiori per il regista ed i suoi collaboratori, capaci di dare un vero esempio di come si possa, all’alba del 2015, proporre un’interpretazione rivisitata nel pieno rispetto degli autori e, soprattutto, della musica. Foto Marcello Orselli