Grande Opera tragica in cinque atti su testo di Richard Wagner. Peter Broder (Rienzi), Christiane Libor (Irene), Falk Struckmann (Stefano Colonna), Claudia Mahnke (Adriano Colonna), Daniel Schmutzhard (Paolo Orsini), Alfred Reiter (Cardinale Orvieto), Beau Gibson (Baroncelli), Peter Felix Bauer (Cecco del Vecchio). Frankfurter Opern-und Museumorchester, Chor der Oper Frankfurt. Sebastian Weigle (direttore). Registrazione dal vivo presso la Frankfurt Oper, maggio 2013. T. Time. 2h 29’50. 3 CD OEHMS Classics OC941
Composta a partire dal 1837 e andata in scena a Dresda il 20 ottobre 1842 “Rienzi, der Letze der Tribunen” rappresenta l’ultima opera wagneriana precedente al grande progetto di rinnovamento complessivo del teatro musicale e l’ultima opera rinnegata dal compositore. Essa presenta caratteristiche particolari che ne fanno una tappa atipica dell’evoluzione stilistica wagneriana. E’ infatti evidente come l’opera marchi un passo indietro specie rispetto a “Die Feen” sul terreno dell’evoluzione dell’opera tedesca, la ripresa di un modello formale prettamente francese come quello del grand-opéra che era venuto definendosi nelle sue forme cristallizzate con il “Guillaume Tell” di Rossini e con i lavori di Meyerbeer e Halevy porta Wagner su un terreno per lui insolito e sostanzialmente incapace di dare frutti significativi, la macchina del grand-opéra è finalizzata ad una concezione sostanzialmente spettacolare del teatro musicale in cui le ragioni musicali e drammaturgiche cedono spesso il campo alla ricerca di effetti visivi sicuramente capaci di affascinare il pubblico ma che non potrebbero essere più lontani da quella che sarà l’evoluzione del teatro wagneriano. La scelta di questo modulo lascia tracce anche sullo stile e sono molti i momenti, specie nei grandi concertati, in cui anche le soluzioni stilistiche sembrano richiamarsi a soluzioni formali di matrice francese.
Composta a partire dal 1837 e andata in scena a Dresda il 20 ottobre 1842 “Rienzi, der Letze der Tribunen” rappresenta l’ultima opera wagneriana precedente al grande progetto di rinnovamento complessivo del teatro musicale e l’ultima opera rinnegata dal compositore. Essa presenta caratteristiche particolari che ne fanno una tappa atipica dell’evoluzione stilistica wagneriana. E’ infatti evidente come l’opera marchi un passo indietro specie rispetto a “Die Feen” sul terreno dell’evoluzione dell’opera tedesca, la ripresa di un modello formale prettamente francese come quello del grand-opéra che era venuto definendosi nelle sue forme cristallizzate con il “Guillaume Tell” di Rossini e con i lavori di Meyerbeer e Halevy porta Wagner su un terreno per lui insolito e sostanzialmente incapace di dare frutti significativi, la macchina del grand-opéra è finalizzata ad una concezione sostanzialmente spettacolare del teatro musicale in cui le ragioni musicali e drammaturgiche cedono spesso il campo alla ricerca di effetti visivi sicuramente capaci di affascinare il pubblico ma che non potrebbero essere più lontani da quella che sarà l’evoluzione del teatro wagneriano. La scelta di questo modulo lascia tracce anche sullo stile e sono molti i momenti, specie nei grandi concertati, in cui anche le soluzioni stilistiche sembrano richiamarsi a soluzioni formali di matrice francese.
Altrove di contro Wagner sembra percorrere passi decisivi verso una piena maturità artistica, la qualità della scrittura orchestrale in molti momenti è già pienamente degna delle opere successive così come ormai pienamente maturo e compiuto è il trattamento delle masse corali – qui particolarmente presenti come voleva la tradizione del grand-opéra – ed è difficile non riconoscere già i semi da cui nasceranno le grandi pagine corali del “Tannhäser” ad esempio in alcuni passaggi del primo atto o di non presagire nel coro che apre il II “Jauchzet, ihr Täler!” i prodromi di certi cori femminili del “Lohengrin” mentre la vocalità dei singoli personaggi ondeggia continuamente fra momenti ancora ancorati alla tradizione – si veda la chiusa del terzetto del I atto in cui si può riconoscere tranquillamente una cabaletta o i passaggi di coloratura di Irene nel duetto con Rienzi del V – ad altri in cui ormai si percepiscono gli sviluppi che la vocalità wagneriana avrà nelle opere seguenti. Emblematico al riguardo il grande finale secondo dove all’interno di un modulo compositivo e formale assolutamente tradizionale alcuni interventi di Irene e Rienzi lasciano già intravedere l’evoluzione che porterà ad Elsa o Lohengrin in un magmatico e spesso ancor confuso groviglio di stili.
All’ascolto l’opera risulta comunque assolutamente piacevole e proprio per questa sua valenza sperimentale può offrire all’ascoltatore numerosi spunti di riflessione, la sua scarsa circolazione è sicuramente dovuta al rinnegamento di cui è stata oggetto da parte dello stesso autore ma anche ad un’innegabile debolezza intrinseca, opera colossale nella sua integrità, spesso farraginosa sul piano drammaturgico e caratterizzata da ripetuti cambi di scena che farebbero lievitare esponenzialmente i costi di produzione sono tutte componenti che non hanno giocato a favore di questo lavoro.
L’uscita di una nuova edizione discografica non può quindi che essere ben accolta considerando anche la povertà di testimonianze audio tanto più che i limiti teatrali possono passare in secondo piano nella fruizione discografica. Registrata dal vivo all’Opera di Francoforte questa produzione sconta però il limite di pesanti tagli, che pienamente giustificati nell’esecuzione dal vivo risultano penalizzanti nella registrazione in cui sarebbe stato interessante poter ascoltare l’opera nella sua integrità. Quindi contro non solo i ballabili sono pesantemente tagliarti – ne resta poco più di un torsolo nel II atto – ma vari tagli si susseguono nel corso di tutto la partitura dando all’opera un passo più snello e forse più efficace nella viva rappresentazione teatrale ma di certo fortemente parziale.
Alla guida dei complessi di Francoforte troviamo un wagneriano di grande esperienza come Sebastian Weigle, specialista di questo repertorio e presente anche sul palcoscenico di Bayreuth. Il direttore offre quindi una lettura di grande solidità e mestiere reggendo con sicurezza le fila spesso incoerenti della partitura e dando all’insieme un notevole passo teatrale mentre sul piano delle sonorità si ottiene una buona riuscita del rapporto fra i diversi linguaggi seppur ricondotto all’interno di una sua coerenza di fondo. L’orchestra di Francoforte con la quale Weigle ha lunga esperienza suona molto bene e ancor meglio si disimpegnano le impegnatissime masse corali a cui Wagner affida alcuni dei momenti più riusciti dell’opera, oltre a quelli già citati merita di essere ricordato all’inizio del finale III “Hörst du? Das ist das Mordgewühl!” dove Wagner introduce lo schema a due cori contrapposti – qui uno maschile e uno femminile – che nel successivo “Der Fliegende Holländer” verrà sviluppato fino a forme di autentico virtuosismo.
Il cast pur privo di nomi altisonanti è apprezzabile svolge in modo più che soddisfacente il compito cui è chiamato e per molte parti si tratta di un compito non certo agevole. Peter Broder è raffinato musicista e interprete sensibile; la voce pur non particolarmente bella in senso classico è in compenso buono squillo ed è ottimamente gestita, la parte di Rienzi presenta però numerosi momenti in cui la mancanza di una natura autenticamente epicheggiante lo costringe a giocare sulla difensiva, le grandi perorazioni al popolo di Roma del I – “Doch höret ihr der Trompete Ruf “ – e del III atto – “Heil, Roma, dir! Du hast gesiegt!” – dovrebbero esprimere naturalmente un eroismo luminoso e cavalleresco che la voce di Broder non possiede e che può essere solo in parte compensato con l’accento. Di contro i momenti più lirici come gli interventi durante il coro femminile del II atto, la grande aria solistica che apre il V “Allmächt’ger Vater, blick herab!” o il successivo duetto con Irene trovano pieno compimento nel canto curato ed elegante di Broder.
Christiane Libor è un’Irene sicuramente solida, perfin troppo irruenta in alcuni passaggi e decisamente più a suo agio nei momenti più tesi e concitati – come il duetto con Adriano del V atto – che in quelli più lirici. La parte prevede alcuni passaggi di coloratura, seppur senza eccessi virtuosistici, specie nella stretta del duetto con Rienzi che sono svolti con correttezza ma in modo un po’ meccanico a testimonianza di una sostanziale estraneità a questi elementi vocali. Il risultato complessivo è un’interpretazione decorosa ma non indimenticabile.
Molto brava invece Claudia Mahnke come Adriano Colonna, mezzosoprano dal timbro chiaro e luminoso ma di buon corpo anche nel settore medio-grave unito ad una grande musicalità e a buone doti interpretative che fanno della sua provo una delle più convincenti in assoluto fra tutti gli interpreti presenti in un ruolo che pur rifacendosi alla tradizione delle parti en-travesti del grand’opéra ha una centralità musicale e drammaturgica decisamente superiore ai suoi predecessori meybeeriani. L’aria del III atto “Gerechter Gott, so ist’s entschieden schon!” è momento musicalmente molto riuscito e reso al meglio dalla Mahnke così come molto buona è la prova nel terzetto del I atto o nel già citato duetto con Irene del V atto.
Altro elemento di punta di cast è lo Steffano Colonna di Falk Struckmann, voce solida e imponente unita ad un accento di scultorea grandezza danno ai suoi per altro limitati interventi un’autorevolezza non trascurabile; molto buona anche la prova dell’altro aristocratico romano il Paolo Orsini di Daniel Schmutzhard. Ben assortite e di qualità media più che soddisfacente le numerose parti di fianco.