Gabriel Jackson: Nowell sing we; Edmund Rubbra, The Virgin’s Cradle Hymn; Lennox Berkeley: Sweet was the song; Nico Muhly: O Antiphon Preludes; Richard Rodney Bennett: Puer nobis, I Saw Three Ships, Nowell, nowell, tidings true; John Scott: Nova! Nova!; Colin Matthews: The Angel’s Carol; Herbert Howells: O mortal man; Peter Maxwell Davies: Kings and Shepherds; Philip Moore: Lo, that is a marvellous change; Giles Swayne: O magnum mysterium; Hafliði Hallgrímsson: Christ was born on Christmas day; Francis Pott: Lute-Book Lullaby; Grayston Ives: This is the record of John; Richard Lloyd: Drop down, ye heavens; Michael Finnissy: Ave regina coelorum; Jamie W. Hall: As I lay upon a night. Stephen Farr (direttore e organo), The Choir of Worcester College, Oxford, Nicholas Freestone, Alex Goodwin, Ben Cunnigham (allievi all’organo). Registrazione: Keble College Chapel, Oxford, 30 giugno-2 luglio 2014. 1 CD Resonus, London 2014.
Il più giovane dei sedici compositori è Nico Muhly, nato nel 1981, autore di sette brevi pagine organistiche in forma di antifona, che scandiscono il complesso dei diciotto brani corali (nella successione di invocazioni O Sapientia, O Adonai, O Radix Iesse, O Clavis David, O Oriens, O Rex Gentium, O Emmanuel, affidate all’organo solo di Stephen Farr). Il più “antico” degli altri compositori è Herbert Howells (1892-1983), di cui si ascolta il coro O mortal man. Tra gli altri spiccano i nomi di Peter Maxwell Davies (classe 1935) e di Richard Rodney Bennett (1936-2012). A distanza di due anni dalla prima raccolta di “Contemporary Carols” The Choir of Worcester College, Oxford, sotto la direzione di Stephen Farr, pubblica con l’etichetta Resonus un’altra raccolta di canti per l’Avvento e per il Natale: Nowell sing we (la prima s’intitolava The Christmas Night). Se non fosse inflazionato, “meraviglioso” sarebbe il primo aggettivo a venire alla mente per definire non soltanto la qualità dei canti presenti nella silloge, ma anche lo spirito partecipe e commosso con cui gli esecutori porgono ciascun brano.
Le pagine corali sono tutte molto brevi, raramente superano la durata di tre minuti (soltanto quella di Richard Lloyd, Drop down, ye heavens supera i sei minuti); anche per questo la loro cifra caratteristica è l’intensità: tutti i compositori la raggiungono non certo nell’invenzione melodica o nell’effetto armonico, ma nell’aderenza allo spirito del testo liturgico da intonare. Di più, è la circostanza liturgica in sé a presentarsi come momento specifico della riflessione artistica, che della sequenza complessiva deve rispettare i caratteri, compresa una momentaneità che non si può protrarre a lungo. Ecco perché le musiche corali proposte nella raccolta sono tutte così essenziali, schiette, prive di artificio. Possono presentarsi con una struttura elaborata (come Lo, that is a marvellous change di Philip Moore, uno dei brani in prima registrazione mondiale) oppure costruiti sull’alternanza di voci e di inserti organistici (come O magnum mysterium di Giles Swayne, che sembra ispirarsi alle pagine corali di Ligeti); ma possono anche recuperare i moduli più sobri del canto gregoriano (come in Ave regina coelorum di Michael Finnissy), su cui si innesta una vocalità più imprevedibile (come nella composita, e bellissima, This is the Record of John, di Grayston Ives, un capolavoro di narrazione corale ispirato a una versione inglese di Gv 1, 19); oppure ancora possono echeggiare i saltarelli e le ballate popolari del medioevo, nell’alternanza di una voce solista e di una ripresa corale (come in Nowell, nowell, tidings true, di Richard Rodney Bennett).
Straordinarie le invenzioni organistiche di Nico Muhly, differenziate tra l’ossequio alla tradizione dell’antifona e la tentazione minimalistica ripetuta ostinatamente (O Clavis David è una delle gemme del disco). In O Oriens tutto è rarefatto fino alla scomparsa del suono, mentre in O Emmanuel – che suggella l’intera raccolta – la continuità del suono è soggetta a una frammentazione sistematica al di sopra di un lunghissimo, rassicurante pedale.
Il suono e la nitidezza della registrazione sono perfettamente intatti; anche con un qualunque apparecchio di riproduzione le risonanze chiesastiche sono conservate molto bene, al pari della purezza delle voci corali e dei registri dell’organo. Ma risonanza non significa effetto di eco (che è per lo più molto disturbante): significa invece fluidità e vivacità del suono, capace di occupare uno spazio ampio e di colmarlo con la sua sostanza, come soltanto tra le navate di una chiesa può accadere.
Chi nutre il pregiudizio che la musica di circostanza liturgica non esuli dal déjà entendu, o peggio che sia sempre ancorata a una tradizione non rinnovabile, dovrebbe davvero ascoltare Nowell sing we: avrà anche un’adeguata dimostrazione della bellezza scritturale e innodica dell’Avvento e del Natale, ossia di come la riflessione religiosa abbia, nel Novecento e oggi, scandito i momenti relativi alla nascita di Gesù. In un tempo difficile e stucchevole, in cui i giorni natalizi sono unicamente frastornati dal messaggio commerciale ed edonistico a tutti i costi, non è alternativa da poco.