“Les Contes d’Hoffmann” al Teatro Coccia di Novara

Direttore Guy Condette, Regia Nicola Zorzi

Novara, Teatro Coccia – Stagione lirica 2014-2015
“LES CONTES D’HOFFMANN”
Opéra-fantastique in quattro atti su libretto di Julies Barbier, dal dramma omonimo di Barbier e di Michel Carré e da E.T.A. Hoffmann (versione di Pierre Barbier)
Musica di Jacques Offenbach
Olympia ANNA DELFINO
Giulietta ALICE MOLINARI
Antonia ERMINIE BLONDEL
Lindorf, Coppelius, Dapertutto, Miracle FEDERICO CAVARZAN
Hoffmann GIOVANNI COLETTA
Nicklausse MARTA LEUNG KWING CHUNG
La mère d’Antonia SOFIA JANELIDZE
Spalanzani, Nathanael FABIO MARIA LA MATTINA
Luther, Crespel LUKAS ZEMAN
Andres, Cochenille, Frantz, Pittichinaccio MASSIMILIANO SILVESTRI
Hermann, Schlemil JUAN JOSÉ NAVARRO
Orchestra Arché
Ensemble vocale del Progetto LTL Opera Studio 2013 in collaborazione con Ars Lyrica
Direttore Guy Condette
Maestro del Coro Marco Bargagna
Regia Nicola Zorzi
Scene Mauro Tinti
Costumi Elena Cicorella
Disegno luci Michele Della Mea
Allestimento del Teatro di Pisa in coproduzione con LTL Opera Studio (Teatro di Pisa, Teatro Goldoni di Livorno, Teatro del Giglio di Lucca) e con Fondazione Teatro Coccia di Novara
Novara, 30 novembre 2014

La buona salute e la vitalità dei teatri periferici in Italia si misura anche dal coraggio con cui essi propongono titoli di repertorio non più popolare: Les Contes d’Hoffmann sono appena circolati presso i teatri lombardi (per «GBopera» ne ha reso conto in modo magistrale Andrea Dellabianca), e ora scandiscono la seconda tappa della stagione lirica del Teatro Coccia di Novara, in una coproduzione con alcuni teatri toscani risalente all’anno scorso, nell’ambito del progetto LTL Opera Studio (“Laboratorio Toscano per la Lirica”: vincitore del Premio Abbiati, appunto nel 2013, quale migliore iniziativa musicale).
«Pensando al pubblico, abbiamo scelto la versione di Pierre Barbier del 1907 e l’edizione francese Choudens, per me la più chiara e comprensibile, e la più corta, ma anche la più difficile, soprattutto per il tenore». Parole di Guy Condette, direttore di grande esperienza (ma dalle opzioni filologicamente discutibili, considerata la versione prescelta, che è tra le più stravolte del capolavoro di Offenbach), che affronta la partitura con piglio sicuro, ottenendo sempre dall’Orchestra Arché un suono corposo e abbastanza omogeneo. Fa poi di tutto per valorizzare e differenziare colori e volumi, anche a costo di appesantire talvolta la presenza degli ottoni (il cui contributo diviene insomma il suono di fondo della sua direzione).
Per quanto concerne il comparto delle voci, occorre dire subito di trovarsi di fronte a una compagnia tutta molto preparata, professionale, partecipe nel porgere il proprio contributo alla riuscita dell’allestimento. Ed è certamente il carattere più positivo di una compagine vocale tutta molto giovane, ma già esperta del titolo da produrre. I difetti e le mancanze, dunque, si devono a voci in formazione, talvolta bisognose di svilupparsi in robustezza e in tenuta, oppure di esercitarsi sul problema che oggi più affligge il mondo del melodramma: l’intonazione. Giovanni Coletta, il tenore che impersona Hoffmann, ha voce chiara e impostata bene, soprattutto capace di “portare” il suono in modo corretto; ha però pochi armonici, e anzi nel registro medio/alto produce un vibrato corto (quasi impercettibile, ma tale da pregiudicare l’effetto sonoro). Pur capace di alleggerire l’emissione, Coletta tende a inflessioni parlate, e tradisce stanchezza crescente; nell’atto veneziano è allo stremo delle forze, canta in modo sguaiato, ma nell’epilogo emette suoni addirittura inqualificabili.
Federico Cavarzan dà voce ai personaggi mefistofelici di Lindorf, Coppelius, Dottor Miracle e Dapertutto, profondendo un impegno che non è però corrisposto dai risultati: non hanno consistenza né il registro alto né quello basso, la cavata risulta troppo leggera, l’ansia è tradita dal mancato rispetto dei tempi; se anche recita bene, la resa vocale è via via sempre meno soddisfacente. Il ruolo en travesti di Nicklausse è interpretato da Marta Leung Kwing Chung, mezzosoprano dal timbro pregevole, dalla vocalità espressiva e promettente: se anche nei passaggi più virtuosistici dell’inizio non è del tutto sicura, e forza un po’, in seguito “entra” appieno nella parte, realizzandola con spigliatezza e disinvoltura.
I tre personaggi femminili amati da Hoffmann sono interpretati da tre cantanti diverse: la frammentazione vocale non giova sicuramente all’unitarietà conclusiva cui l’effetto drammaturgico tende, ma può permettere di valorizzare i pregi di tre differenti artiste; Anna Delfino (Olympia) è soprano leggero più che di coloratura (si cimenta in variazioni dalle risonanze un po’ stridule). Erminie Blondel (Antonia) è l’elemento migliore dell’intera compagnia: la sua voce è bella e vibrante, anche se tende a offuscarsi un po’ negli acuti a causa dello sforzo (ma il soprano non deve ostentare voce abrasiva, come fa per esempio nel finale dell’atto, tanto più in un teatro piccino come il Coccia); il pregio della Blondel è anche attoriale, poiché rende assai bene il personaggio dell’ammalata, sempre più spossata fino alla morte. Ad Alice Molinari (Giulietta) tocca aprire il IV atto con il famosissimo duetto-barcarola insieme a Nicklausse (momento molto bello, forse il migliore di tutta l’esecuzione); il terzo soprano pratica una buona emissione, ma la sua voce è priva di tratti distintivi (nel successivo duetto, poi, il debordante Coletta spesso la sommerge). Anche il tenore Massimiliano Silvestri ricopre più ruoli (Andres, Cochenille, Frantz, Pittichinaccio), e si rivela buon caratterista (un po’ discutibile il ricorso al falsettone nella parte di Frantz). Risonanze di gola nella voce di Lukas Zeman (Crespel, Luther) e problemi di intonazione in quella di Juan José Navarro (Hermann, Schlemil). Dignitose le prove di Fabio Maria La Mattina (Spalanzani, Nathanael) e di Sofia Janelidze (la madre di Antonia). Molto buona la parte maschile del coro preparato da Marco Bargagna.
«Abbiamo immaginato Les Contes d’Hoffmann come un distillato onirico […] che ci rimanda a un luogo dei divertimenti, un Luna Park della mente, un luogo di fascinazione, a tratti inquietante, capace di attirare a sé, come un magnete, la curiosità del pubblico: la visione del mondo attraverso un “giro di manovella”». Con queste parole Nicola Zorzi sintetizza l’idea alla base della sua regia. Nella scena d’apertura si profila quel piccolo sipario teatrale destinato a diventare – anche sotto altre forme – l’elemento-guida dello spettacolo; il contesto è abbastanza vivace, ma troppo poco illuminato (non si riesce ad apprezzare neppure i costumi). Il sipario del I atto si trasforma in retablo nel II, e nel III in parete di cinematografo, su cui scorrono spezzoni del Golem (finissima allusione al “mito della creatura”); nel frattempo si dipana il canto di Antonia. La silhouette della madre si scorge invece dietro il telo della proiezione, mentre scorrono sequenze di Man Ray. Teatro, Wunderkammer, cinema, circo: l’idea registica di Zorzi si basa dunque sul metateatro, sull’illusione scenica riprodotta sulla scena grazie a più generi e contesti paralleli al melodramma. Momento di apoteosi è l’inizio del IV atto, con giostre-giocattolo a forma di cavallo in movimento durante la celebre barcarola. Con la scritta del titolo sul boccascena, i fondali dipinti, il rozzo palco di cinematografo al III atto, lo spettacolo propone uno scenario da fiera paesana, da circo di poche pretese, che nella sua semplicità assolutamente tradizionale persuade e convince: talmente stilizzato da rendere ragione della progressiva simbologia delle tre donne amate da Hoffmann, sebbene manchi un collegamento chiaro tra il veicolo comunicativo (teatro, padiglione dell’automa, cinema, circo) e influenza dell’antagonista, del male distruttivo che semina morte e cinismo.
I costumi di Elena Cicorella alternano buone soluzioni come quelle applicate al coro femminile, in nero con inserti di fasce bianche) ad altre inutilmente chiassose (il rosso sfacciato della mise di Olympia o la parure di sciarpa, papillon e gilet di Hoffmann, in un motivo zebrato o a scacchi in bianco e nero – tanto più imbarazzante in una giornata di confronti calcistici …). Il pubblico di Novara presente allo spettacolo ha accolto con favore la rappresentazione, applaudendo tutti gli interpreti; peccato che il Teatro Coccia, almeno nella replica domenicale, non fosse gremito come in altre occasioni (come per esempio La Traviata inaugurale); passeranno infatti molti anni prima che il titolo di Offenbach faccia ritorno nella cittadina, avvolgendola nella sua musica ineffabilmente magica.