Castello di Miradolo, Fondazione Cosso – Progetto “Avant-dernière pensée”, VI edizione
“LE MARTYRE DE SAINT SÉBASTIEN”
Mystère en cinq mansions di Gabriele D’Annunzio
Musica Claude Debussy (trascrizione a cura di Roberto Galimberti)
Soprano FRANCESCA LANZA
Contralto SABRINA PECCHENINO
Voce recitante SILVIA CALDERONI
Violino e direzione Roberto Galimberti
Violoncello Marco Pennacchio
Armonium Laura Vattano
Regia audio e supervisione tecnica Marco Ventriglia
Progettazione intermediale Giulio Pignatta
San Secondo di Pinerolo, 26 dicembre 2014
Diciassette sale, dislocate su due piani di un castello in stile neo-gotico; in ogni sala un grande schermo ad alta definizione e un diffusore audio in quadrifonia; in cinque punti diversi i cinque esecutori (tre strumentisti e due voci femminili); ma soprattutto, di sala in sala, quasi cinquanta opere d’arte tutte ispirate al mito paleocristiano di Sebastiano, dalla fine del Quattrocento (con le tavole di Carlo Crivelli e Pietro Perugino) fino alla fine del Seicento (con le tele di Luca Giordano e Carlo Cignani), attraverso la pittura europea delle più straordinarie personalità (Tiziano, Rubens, Guercino, Reni, Raffaello). Mentre il pubblico si può spostare, nella semi-oscurità, di spazio in spazio, i musicisti eseguono quale concerto di Natale Le martyre de Saint Sébastien, realizzando un’ulteriore opera d’arte, viva, mobilissima, grandiosa, nella sontuosa cornice museale della Fondazione Cosso. In effetti, se si dovesse pensare a un parallelo musicale della mostra San Sebastiano. Bellezza e integrità nell’arte tra Quattrocento e Seicento (a cura di Vittorio Sgarbi, Castello di Miradolo, 5 ottobre 2014 – 8 marzo 2015; catalogo a c. di V. Sgarbi e Antonio D’Amico, ed. Skira) Le martyre di Debussy non sarebbe soltanto il titolo più ovvio e perfetto, ma anche quello che dall’iconografia stessa a sua volta deriva, considerato che D’Annunzio, nel rappresentare gesti e posture del suo protagonista, teneva esplicitamente presenti i modelli pittorici del Cinque- e del Seicento ora esposti al Castello di Miradolo.
La partitura di Debussy, che intona alcune parti del mistero dannunziano, è di eccezionale complessità, tant’è vero che sono pochissimi i teatri e le sale da concerto che lo inseriscono nella loro programmazione. La collaborazione tra il Vate e il cantore di Pelléas et Mélisande risale al biennio 1910-1911, e dunque s’inscrive nella più effervescente stagione parigina dei Ballets Russes; Ida Rubinstein fu l’interprete coreutica del Santo alla prima rappresentazione. Ma sull’opera gravano sospetti e pregiudizi critici da troppi decenni (in Italia, almeno, sin dal 1937, anno in cui Gianfranco Contini, sul primo numero di «Letteratura», stroncò il francese di D’Annunzio e determinò l’inizio di un certo qual disprezzo da parte dei letterati italiani nei confronti di Martyre, Pisanelle, Chevrefeuille). Sul versante musicale si sente dire generalmente che l’opera non regga la scena, in primo luogo perché formata soltanto da episodiche musiche di scena, in confronto all’interminabile testo drammatico di D’Annunzio (chi lo legge nell’edizione mondadoriana curata dal poeta ritrova a margine di alcuni cantica la didascalia «Magister Claudius sonum dedit»). E dunque era necessario che un coraggioso musicista trovasse una formula nuova per far rivivere Le martyre: Roberto Galimberti, cui si deve la direzione musicale, ha avuto l’idea geniale e spericolata di trascrivere tutta la partitura per un numero minimo di strumentisti (violino, violoncello, armonium) e di voci (le tre voci soliste e il coro dell’originale si riducono a un contralto e un soprano), e di affidare una congrua sezione recitata a una voce attoriale, registrata all’interno di sequenze video che interpretano sia il mistero dannunziano sia lo spirito della musica di Debussy. L’opera è così tutta presente agli ascoltatori-spettatori, al pari di un melodramma rappresentato a teatro (e articolato secondo la scansione originale in cinque ‘mansioni’: La Corte dei Gigli – La Camera Magica – Il Concilio dei falsi Dei – Il Lauro ferito – Il Paradiso), ma con la magia delle pitture straordinarie che ne circondano l’esecuzione. E mentre il violoncello, nella prima saletta del pianterreno, suona a fianco del ritratto di Sebastiano di Raffaello (appena giunto dall’Accademia Carrara di Bergamo), lo spettatore itinerante, di sala in sala, osserva i volti del Santo mentre ascolta, con un irripetibile effetto di simbiosi artistica che trascende qualunque altra possibile esecuzione musicale.
Francesca Lanza ha voce sopranile minuta e adeguatissima alle esigenze della piccola sala in cui canta; per di più il suo timbro è chiaro, diafano, angelicato; il registro omogeneo permette una risonanza sull’intero arco della tessitura. Sabrina Pecchenino ha voce contraltile calda e suggestiva, sempre di grande effetto, anche se nel registro acuto della V mansione è costretta a forzare un poco. Le installazioni video, nel corso dell’esecuzione, sono realizzate dall’attrice Silvia Calderoni, nelle vesti post-moderne del Santo, ora in fuga nelle sale di una grande dimora abbandonata e scrostata, ora in atteggiamento contemplativo e adorante, ora impegnata a danzare con un manichino che poi sarà tutto trafitto da frecce; abbigliata di sole bende (le fasciature delle ferite di Sebastiano) è spesso accompagnata dai gigli bianchi del martirio, mentre nella scena finale è accoccolata su un altare di piccola cappella; poi la telecamera si sposta verso l’alto della volta, fino a confondere l’inquadratura con uno sfondo completamente bianco: l’assunzione in cielo è avvenuta (e le voci intonano: «Louez le Seigneur sur la flûte et sur la cithare. / Alleluia», Lodate il Signore con il flauto e la cetra. Alleluia). Le didascalie accompagnano l’esecuzione strumentale, in qualche modo “spiegando” la musica di Debussy, oppure porgono il testo delle parti cantate, in modo tale che anche lo spettatore non abituato al repertorio vocale o al teatro musicale possa seguire senza difficoltà l’intero svolgimento drammatico; che si trasforma davvero in “mistero”, come lo aveva concepito D’Annunzio, nell’accostamento tra musica in praesentia dell’esecutore, e percezione quadrifonica degli altri strumenti; la diffusione delle voci, in particolare, è caratterizzata da spostamenti del suono live, così da far apparire le due sole voci femminili come un intero coro, supportato dal suono pieno dell’armonium, cui compete il ruolo di “pedale” orchestrale. Impeccabili i tre strumentisti, che – pur non vedendosi, collegati tra loro dai soli diffusori audio – hanno assemblato il suono con perfetto aplomb, oltre che con l’intensità giusta (molto vigoroso il suono del violino, affidato allo stesso Galimberti); anche le pagine strumentali collegate all’imperatore (nella partitura originale affidate a fanfare di ottoni) sono risuonate perfettamente convincenti nella trascrizione per archi e armonium.
Al termine della rappresentazione musicale lo spettatore resta incredulo e attonito: neppure dopo i lunghissimi applausi e le congratulazioni agli artisti riesce a risvegliarsi alla realtà, come accade in una sala da concerto, o in un teatro; al contrario, continua a sognare e a incantarsi, perché è ancora di fronte alle barocche scenografie di Mattia Preti, alla morbidezza delle carni di Tiziano, alla dolcezza incomparabile del volto di Raffaello. L’arte aerea e volatile della musica cede lo spazio all’arte materica del colore e dell’olio; eppure le celestiali armonie di Debussy aleggiano ancora nella mente, il sogno musicale continua di fronte alle immagini da cui esso stesso era anticamente nato. Del mistero cui pensava il poeta è ora partecipe ogni spettatore. Soltanto quando si esce dal Castello, a notte ormai fonda, e si attraversa il parco deserto e gelido per l’inverno piemontese, ci si ridesta alla realtà, si torna con i piedi per terra, si battono i denti per il freddo, ma ancor più per l’emozione. Fuori dal parco, nell’aperta e silenziosa campagna, il cielo nitido brilla di tutte quelle stelle che hanno accolto Sebastiano: «L’étoile / de loin parle à l’étoile / et dit un nom: le tien», La stella parla da lontano alla stella, e pronuncia un nome: il tuo. Non si potrebbe essere più felici, più ebbri di arte e di gioia.