Teatro del Giglio – Stagione Lirica 2014/2015
“LA RONDINE”
Commedia lirica in tre atti su libretto di Giuseppe Adami
Musica di Giacomo Puccini
Magda de Civry MARIA LUIGIA BORSI
Lisette LAVINIA BINI
Ruggero Lastouc SALVATORE CORDELLA
Prunier FRANCESCO MARSIGLIA
Rambaldo Fernandez FRANCESCO FACINI
Périchaud ANDREA ZAUPA
Gobin MARCO VOLERI
Crébillon ALESSANDRO CALAMAI
Yvette MIRELLA DI VITA
Bianca ALESSANDRA MEOZZI
Suzy CHIARA BRUNELLO
Un maggiordomo ALESSANDRO BILOTTI
Orchestra e Coro della Toscana
Direttore Massimiliano Stefanelli
Maestro del Coro Marco Bargagna
Regia Gino Zampieri
Scene e costumi Rosanna Monti
Coreografia Giulia Menicucci
Luci Marco Minghetti
Nuovo allestimento
Coproduzione Teatro del Giglio di Lucca, Teatro Comunale di Modena, Teatro Goldoni di Livorno, Teatro Verdi di Pisa, Teatro Alighieri di Ravenna
Lucca, 22 novembre 2014
La prima della Rondine, avvenuta a Montecarlo nel 1917, fu preceduta da un lungo e laborioso periodo di gestazione, che interessò e coinvolse una commissione da parte di impresari viennesi, un libretto originariamente scritto in tedesco, vastissime revisioni da parte del traduttore/librettista italiano, nonché il completamento dell’opera mentre l’Impero Austro-Ungarico e l’Italia si trovavano ormai su fronti opposti durante la Prima Guerra Mondiale. Puccini aveva firmato un contratto per comporre un’operetta per Vienna, un’operetta sui generis, in quanto il compositore aveva immediatamente escluso la presenza di dialoghi parlati. Di quel genere, allora all’apice della popolarità, questo nuovo lavoro avrebbe avuto l’atmosfera frizzante e un po’ frivola, immersa in un vortice di musica “che fa ballare”, per rimanere in ambito pucciniano. Se la prima monegasca, con cantanti della stazza di Gilda Dalla Rizza e Tito Schipa, diretti da Marinuzzi, fu accolta con grande successo, non altrettanto può dirsi del debutto italiano, alcuni mesi dopo a Bologna; Puccini iniziò quindi a effettuare revisioni, che interessarono principalmente il terzo atto, la parte da sempre e tutt’ora ritenuta la gamba zoppa del tavolo, tanto per usare una celebre espressione verdiana. Vienna, che per le ragioni esposte si vide sfuggire la prima assoluta, ospitò nel 1920 questa seconda versione (dal finale sbrigativo: Magda, esortata da Prunier, parte senza neanche salutare per un’ultima volta Ruggero), ricevendola con molta freddezza. Nonostante le sollecitazioni del compositore, grandi teatri come il Met e il Covent Garden, certamente non incoraggiati da questi semi fiaschi, si rifiutarono di allestire La rondine; Puccini pensò quindi di metter nuovamente mano al terzo atto, escogitando un finale più drammatico: Ruggero dopo aver ricevuto una lettera anonima, scopre il passato di Magda e la abbandona in preda all’ira nella braccia di Rambaldo che era andato a riprendersela. Purtroppo questo finale rimase nella stesura di canto e pianoforte; molto probabilmente uno svolgimento dell’azione più acceso e intenso di quello francamente scialbo e laconico della prima versione avrebbe giovato alla popolarità dell’opera, da sempre la meno rappresentata del canone pucciniano post Manon Lescaut. Il libretto di Giuseppe Adami è un tiepido minestrone dagli ingredienti insipidi che sanno di déjà vu sin dalla primissima scena, e pare davvero incredibile che Puccini, solitamente incontentabile nella scelta delle trame e dei libretti, abbia accettato di metter mano a una pallida fotocopia della Traviata con prestiti da Die Fledermaus e persino da Fedora; solo che se l’eroina dell’opera verdiana è personaggio fra i più sfaccettati, complessi e affascinanti della storia dell’opera, Magda è figura evanescente, zuccherosa e poco credibile. Ancor più anonimo e sfuggente è Ruggero; nella seconda versione Puccini gli donò un’aria da inserire nel primo atto, eliminata poi nella terza. Molta più originalità e interesse drammatico suscita l’altra coppia, quella formata da Lisette, la cameriera di Magda, e soprattutto l’eccentrico poeta Prunier: i loro dialoghi, o battibecchi, costituiscono l’elemento più stimolante dell’opera.
Perché l’opera funzioni quindi è indispensabile la presenza di una primadonna carismatica e fascinosa, femme fatale quasi per sbaglio e fino a un certo punto, poiché deve assolutamente inspirare simpatia e far dimenticare al pubblico il suo comportamento davvero poco plausibile: aveva ragione William Ashbrook quando paragonava l’atmosfera della Rondine a quella dei primi film di Greta Garbo. Trattandosi questa di un’opera in cui praticamente non accade nulla, è essenziale che vi sia, se non proprio identificazione, almeno buona disposizione nei confronti della protagonista, i cui tratti principali, una malinconia introspettiva e una composta gentilezza, ben si adattano alla simpatie interpretative di Maria Luigia Borsi, la quale riesce ammirevolmente a costruire un personaggio con il materiale musicale fornitole da Puccini, impiegando un fraseggio variegatissimo ma costantemente sobrio, senza istrioniche sovrapposizioni. Nella resa prettamente musicale la tessitura e l’estensione di Magda sono parse quasi ritagliate su misura alle caratteristiche vocali della Borsi, voce di soprano lirico pieno, con dei centri rotondi e sensuali e un registro acuto facile e malleabile: sono numerosissimi gli acuti, da dover emettere con una larga gamma di dinamiche, dal forte del concertato, ai pianissimi dell’aria più celebre, il cosiddetto “Sogno di Doretta”, in cui la Borsi ha sfoggiato bellissimi La naturali in pianissimo (“Folle amore..”) per non parlare del Do acutissimo, puro e alato. La nota più ostica dell’aria è a mio avviso il Si bemolle 4 di “O sogni d’or”, dove moltissimi soprani rimangono senza fiato e sono costretti a decurtarla, brutto effetto che qui fortunatamente non è avvenuto. Degna di lode è stata anche l’esecuzione di “Ore dolci e divine”, con tutti quei La 4 emessi ogni volta in modo leggermente diverso dall’altro. Salvatore Cordella possiede una voce da autentico tenore lirico di notevole volume, timbrata e piacevole. Il tenore pugliese ha mostrato di saper catturare lo spirito del ruolo, cantando con dolcezza nei momenti opportuni, e con un’irruenza nel duetto del terzo atto forse anche eccessiva, probabilmente per cercare di infondere un po’ di vita in un personaggio amorfo e di scarso spessore; certi scatti violenti verso l’acuto, se drammaticamente plausibili, lo hanno però indotto a emettere qualche nota crescente. Ruggero è il vero tallone d’Achille dell’opera, e Cordella in fin dei conti è riuscito a far sembrare la sua aria (la più sbiadita mai scritta da Puccini per un tenore) e il duetto finale materiale migliore di quanto non lo siano in realtà. Il ruolo di Prunier è assai più difficile da assegnare, in quanto pur richiedendo un tenore “da prime parti”, viene inevitabilmente affidato a tenori comprimari inadatti ad affrontare gli irti scogli vocali e interpretativi. Francesco Marsiglia ha rivelato una voce da tenore lirico leggero (creando così un piacevole contrasto con il timbro più scuro di Cordella) vibrante, ricca di armonici, sicura in acuto, in grado di affrontare con un gradevole falsettone anche il Do 4 della frase “fuori del mondo” nel duetto del terzo atto con Lisette, un’eccellente Lavinia Bini dall’intonazione immacolata nell’intervento del primo atto in cui corre in scena trafelata, brano caratterizzato da più di un tocco di bitonalità di non facile esecuzione. Nel duettino d’amore alla fine del primo atto (senza dubbio la parte più originale dell’opera intera) sia la Bini che Marsiglia pronunciavano ogni parola con una profusione di accenti e flessioni espressive degni dei più scaltri attori teatrali. Se il ruolo è da tipica soubrette, il timbro della Bini, pur essendo indubbiamente quello di un lirico leggero, è immune dalle acidità e dalle petulanze tipiche di questo tipo vocale.
Di buon livello complessivo gli interpreti dei numerosi ruoli secondari: Francesco Facini, un Rambaldo appropriatamente brusco e sgarbato, Andrea Zaupa (Pèrichaud), Marco Voleri (Gobin), Alessandro Calamai (Crèbillon), Alessandra Meozzi (Bianca), Chiara Brunello (Suzy), Alessandro Bilotti (Un maggiordomo), anche se su tutti spiccava il timbro limpido della Yvette di Mirella Di Vita.
Alla guida di un’ottima Orchestra della Toscana (che ha avuto l’onore di salire in palcoscenico a ricevere i meritati applausi al termine dell’opera), il direttore Massimiliano Stefanelli ha mostrato una considerevole abilità nel mantenere fluidità attraverso le numerosissime e ostiche transizioni di tempo, facendole apparire naturali e inevitabili. Puccini in quest’opera “gioca” con un’enorme gamma di colori vocali e strumentali, combinandoli in modi incantevoli, divertenti, spesso spiritosi, che Stefanelli ha chiesto e ottenuto in abbondanza dalle masse corali e orchestrali. Di grande effetto è stata la resa del concertato del secondo atto, “Bevo al tuo fresco sorriso”, uno di quei ampi temi diatonici tipicamente pucciniani, in cui Stefanelli è riuscito a tenere salde le redini senza sbavature tra buca e palcoscenico e al contempo garantire una scioltezza inarrestabile.
Seguendo una tendenza ormai ben radicata, Gino Zampieri hs spostato l’azione dalla Parigi del Secondo Impero a quella dell’epoca della creazione dell’opera, facendo spazio ad arredamenti dalle linee tipicamente “art nouveau”, o “liberty” come dir si voglia. I costumi di Rosanna Monti (responsabile anche delle scene), pur essendo di per sé molto belli, dettagliati, fedeli al periodo prescelto e di squisiti fattura, avevano molto spesso colori simili, se non identici, ai vari fondali, provocando una certa mimetizzazione dei costumi stessi, e conferendo una certa anonimità, soprattutto nel primo atto, persino alla protagonista; quello indossato da Lisette nell’ultimo atto si confondeva con il giallo delle pareti e del pavimento della terrazza sul mare investiti dal sole. Inopportuni, e persino un po’ fastidiosi erano i balletti nel secondo atto: non parliamo qui dei valzer richiesti ovviamente dallo spartito, ma delle varie pirouette e movimenti da danza classica che facevano da sfondo (e da distrazione) al grande concertato. L’elemento più elogiabile della regia era il tentativo ampiamente riuscito di impartire spontaneità e spigliatezza da teatro di prosa alle interazioni fra i cantanti, fattore di cruciale importanza in un’opera dalla trama che altro non è se non una catena di cliché.
L’allestimento è una nuova co-produzione fra vari teatri italiani: il Teatro del Giglio, in qualità di capo timoniere, ha ospitato la prima rappresentazione di questa “sorella minore” che sebbene si mostri capolavoro più all’occhio del musicologo che a quello del comune spettatore, è ricca di gemme di ineguagliabile preziosità, che il pubblico di Livorno, Pisa, Modena e Ravenna potrà nei prossimi mesi scoprire ed apprezzare, sulla scia di quello lucchese che ha decretato all’opera un caloroso successo: questa volta è legittimo affermare che La rondine abbia spiccato il volo. Foto di Giuseppe Giovannelli
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