Teatro Filarmonico – Stagione d’Opera e Balletto 2013/2014
“LA BOHÈME”
Opera in quattro quadri su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, tratto da Scènes de la vie de bohème di Henri Murger.
Musica di Giacomo Puccini
Mimì ELISA BALBO
Musetta ROSANNA LO GRECO
Rodolfo RAFFAELE ABETE
Schaunard FRANCESCO VULTAGGIO
Marcello SUNDET BAIGOZHIN
Colline ROMANO DAL ZOVO
Benoit DAVIDE PELISSERO
Parpignol SALVATORE SCHIANO DI COLA
Alcindoro PIETRO TOSCANO
Sergente dei Doganieri VALENTINO PERERA
Un Doganiere NICOLÒ RIGANO
Coro e Orchestra della Fondazione Arena di Verona
Direttore Jader Bignamini
Maestro del Coro Andrea Cristofolini
Coro di voci bianche A.Li.Ve diretto da Paolo Facincani
Regia Pier Francesco Maestrini
Scene e Costumi Carlo Savi
Verona, 11 novembre 2014
La seconda rappresentazione di Bohème al Teatro Filarmonico di Verona ha visto un pubblico decisamente folto e caloroso, che ha omaggiato direttore e interpreti con ovazioni e interminabili applausi.
La scelta registica (di cui rimandiamo i dettagli al precedente articolo) delle proiezioni di quadri impressionistici sullo sfondo può effettivamente far storcere il naso a chi di Bohème ha ormai fatto indigestione; ma per un pubblico relativamente giovane, come quello di martedì sera (qui al Filarmonico il martedì è la serata young per eccellenza – tant’è che la maggior parte degli interpreti ) l’innegabile tendenza al didascalico – troppe proiezioni, troppi dettagli – può aver costituito, in alcuni casi, una valida guida per farsi strada in un libretto a tratti piuttosto complesso.
Una critica di carattere più strettamente scientifico potrebbe essere rivolta all’ampiezza dell’arco temporale ricoperto dalle illustrazioni sullo sfondo, che si dipana con nonchalance da pre- a post-impressionismo, risultando in qualche caso straniante; anche le scelte costumistiche, a un occhio attento, risultano talvolta rivedibili: l’abito di Musetta stona vistosamente con quelli di interpreti e comparse sul palco nel secondo quadro, e non solo per l’eccentrica eleganza della lorette: l’anacronismo di questo come di altri particolari tende talvolta a confondere il pubblico stereotipando il contesto. In ogni caso, resta indubbiamente suggestiva l’idea della riproduzione del quadro sullo sfondo in scena – come per altro già osservato nel precedente articolo.
E davvero young è anche il cast di questa Bohème, in cui buona parte degli interpreti è stata selezionata tra i vincitori del Concorso Internazionale di Canto “Istituto Internazionale per l’Opera e la Poesia – Fondazione Arena di Verona”.
Nel primo quadro, rispetto anche a quanto avvenuto durante la Prima, siamo costretti ad evidenziare una sostanziale immobilità registica, in particolare nel duetto Mimì/Rodolfo, in cui i due protagonisti (complice una presumibile esiguità di prove alle spalle) prevalentemente si aggirano sospettosi intorno al divano nel centro della scena.
Musicalmente la prima metà del quadro scorre con relativa facilità: lo Schaunard di Francesco Vultaggio entra in scena fin troppo baldanzoso, evidenziando una tendenza a caricare molto gli accenti ritmici (resta tuttavia l’unico a non mostrare particolari difficoltà nella tenuta del tempo e nell’insieme con l’orchestra). La voce, in ogni caso, è in ordine, la pronuncia sempre perfettamente comprensibile e il legato filologico. Marcello, quel ragazzone adorabile di Sundet Baigozhin, non accenna a scostarsi dal ff – un peccato perché, come noteremo più avanti nei cantabili, la voce è davvero interessante, densa e sempre perfettamente in maschera.
Registicamente efficace il momento (dai risvolti sempre drammatici) dell’arrivo di Benoit (bravo come sempre Davide Pelissero). Dal momento dell’ingresso di Mimì il direttore Jader Bignamini sceglie dei tempi piuttosto comodi che, se da un lato esaltano la delicatezza della linea pucciniana, dall’altro risultano in diversi momenti faticosamente sostenibili per le voci.
Raffaele Abete (Rodolfo) ha un timbro veramente affascinante, facile in acuto (salvo qualche punta vagamente vetrosa) e dalle risonanze dolcissime, peccato per un centro talvolta ai limiti dell’udibilità. Abete soffre certamente più di tutti la lentezza dei tempi scelti da Bignamini, ma il “do della speranza” ci fa – manco a dirlo – ben sperare, tant’è che gli rifiliamo l’atteso e caloroso applauso a scena aperta.
Mimì, l’aggraziata Elisa Balbo, non sa bene che fare delle proprie mani, così le tiene praticamente immobili per tutta la scena. La voce è a posto, ricca di armonici: talvolta l’emissione risulta ingolata, ma la linea è filologica e il fraseggio tutto sommato coerente con le scelte di Bignamini.
Il secondo quadro, purtroppo, procede con diversi scivoloni. Il povero Marcello non sa più dove guardare o quando intervenire, Colline e Schaunard tengono botta faticosamente, i due protagonisti (che nella confusione generale l’occhio fatica a ritrovare) oltre a qualche trita moina non sanno bene come muoversi, il Coro e i bambini arrivano in scena in uno scoordinamento generale che restituisce certamente l’idea della folla rumorosa, ma che pregiudica la buona riuscita musicale.
Perfino Musetta, la simpaticissima Rosanna Lo Greco, entra in lieve anticipo, deve arrangiarsi da sola e si canta (piuttosto bene) il suo valzer un po’ per i fatti suoi. Nonostante qualche suono troppo brunito, risulta una Musetta efficace, dal colore interessante e dalla presenza scenica notevole. Il timbro è intenso, la maschera funziona e l’intonazione non mostra cedimenti.
Nel terzo quadro, Baigozhin canta con naturalezza e freschezza mirabili. La linea del fraseggio ne evidenzia la calibrata musicalità e la tecnica ineccepibile. Molto bene anche la Lo Greco, cui è sufficiente “fare il soprano” per risultare una Musetta credibile – in realtà il suo personaggio dovrebbe mostrare sempre, oltre all’appariscente frivolezza, la dolente coscienza della propria miserabile condizione (sulle analogie tra i due soprani di Bohème e Violetta Valery sono stati versati fiumi di eccellentissimo inchiostro), aspetto spesso sottovalutato dalle interpreti.
La Balbo, nonostante la solita immobilità scenica, realizza un Donde lieta commosso e dalle linee sfumate. Abete sembra provato, il timbro è sempre molto bello, ma l’emissione affaticata lascia intravedere qualche lacuna tecnica. In ogni caso arrivano in fondo al ci lasceremo alla stagion dei fior, che risulta musicalmente efficace.
Il quarto quadro, come l’inizio del primo, mostra gli interpreti decisamente più a loro agio registicamente: il risultato è un grazioso momento di gioiosa convivialità. Romano Dal Zovo, insieme a Baigozhin la più fulgida rivelazione di questo spettacolo, è un egregio Colline, che realizza una Vecchia Zimarra davvero commovente: la voce è avanti, ben proiettata e sempre udibile, il timbro profondo e denso, la presenza scenica sempre puntuale. Davvero bravo.
In conclusione, la sensazione all’uscita è che quanto avveniva sullo sfondo rispecchiasse efficacemente quanto accadeva in scena: un susseguirsi di ottimi elementi, forse talvolta slegati tra loro, ma di sicuro effetto.
Come nella scorsa recita, mirabile il Parpignol di Salvatore Schiano di Cola, bene il Sergente Valentino Perera e il Doganiere Nicolò Rigano; preciso e intonato, ma sempre troppo fermo l’Alcindoro di Pietro Toscani. Nonostante le complicazioni del secondo atto buona prova per il Coro preparato da Andrea Cristofolini e per il Coro di voci bianche A.LI.VE. diretto da Paolo Facincani.
Prossimo appuntamento con l’Opera al Filarmonico in dicembre, per la Stagione 2014/15 con Lucia di Lammermoor. Foto Ennevi