Roma (“La Sapienza” Università di Roma), Istituzione Universitaria dei Concerti, Stagione 2014/2015
Violoncello Lynn Harrell
Violino Julian Rachlin
Pianoforte Zhang Zuo
Ludwig van Beethoven: Trio in si bemolle maggiore op. 97 “L’Arciduca”
Franz Schubert: Trio in si bemolle maggiore op. 99 D 898
Roma, 28 ottobre 2014
Il trio era una forma musicale estremamente amata nella Vienna napoleonica e della successiva restaurazione, molto in voga per allietare i salotti aristocratici. E a Vienna il palato musicale era a dir poco sopraffino: i viennesi, difatti, potevano permettersi di avere due geni del calibro di Beethoven e Schubert operanti l’uno dopo l’altro nella loro città, due straordinari compositori di trii. In questo raffinato concerto cameristico dell’Istituzione universitaria dei concerti, il terzetto di interpreti coinvolti di prim’ordine, affiatato e riesce a esprimere un suono delizioso. Su tutti vigila l’esperienza pluriennale di Lynn Harrell, che ha collaborato con i migliori direttori d’orchestra al mondo e ha inciso i cicli dei trii sia di Beethoven che di Schubert con interpreti quali Perlman e Ashkenazy. Lo accompagna il noto violinista Julian Rachlin e l’esordiente pianista Zhang Zuo. La coesione sonora, oltre che multietnica, del terzetto è ammirevole. Lo si vede immediatamente dal famoso attacco dell’allegro dell’Arciduca beethoveniano: come s’è detto, l’arte dei due archi era nota, meno quella della Zuo, che lascia una piacevole impressione, producendo un suono pieno, tra l’elegiaco e il frizzante, corteggiato dai brevi inserti degli archi. Lo Scherzo non è scevro di una sua ludica dolcezza. L’Andante cantabile, di gusto operistico, vede la Zuo molto emozionante nell’attacco pianistico, completato dagli interventi dei due archi, che disegnano un tema cullante, notturno. Terminano con il brillante allegro moderato. «A stento dunque possiamo immaginare quanto debba essere stato difficile per Schubert vivere a Vienna, la cui vita musicale dei primi anni dell’Ottocento era sovrastata dalla presenza di Beethoven» (G. Nigro, dal programma di sala): e, c’è da aggiungere, l’incredibile invenzione musicale dell’Arciduca supera quella del Trio op. 99 di Schubert, per quanto sia una lotta fra titani. In ogni caso, la rasserenante lucentezza della partitura schubertiana fu messa in evidenza già da una recensione di Schumann, che fu l’artefice della riscoperta di quel trio che aveva sofferto dell’eccessiva fama dell’op. 100. Proprio incarnando quella fresca lucentezza, i tre attaccano l’inconfondibile allegro moderato; più liricamente espanso, languido, dialogato tra i vari registri; frizzante l’incipit dello Scherzo in cui v’è un gioco di rincorsa fra gli strumenti; il Rondò, con un intreccio di temi frammentati, si conclude con un brillante presto, con giochi d’intensità. La performance dei tre artisti è di ottimo livello: il pubblico in sala gradisce e ringrazia calorosamente.