Christoph Willibald Gluck (Erasback, Alto Palatinato 1714 – Vienna 1787)
“La corona” ha un’origine parzialmente diversa rispetto ad altri lavori d’occasione composti da Gluck, essa non nasce infatti in relazioni ad occasioni celebrative o pubbliche ma come prodotto destinato ad una fruizione privata e domestica. Nel 1765 l’Imperatore Francesco I commissiona un lavoro da destinare alle giovani gran-duchesse di casa Asburgo da eseguire in occasione di una festa privata.
Per l’occasione il poeta cesareo Pietro Metastasio scrive un libretto totalmente nuovo che trae spunto dal mito della caccia al cinghiale calidonio riadattato per soli quattro personaggi due femminili e due maschili en-travesti per venire incontro alle predisposizioni vocali delle auguste principesse. Lo schema adottato è quello tipico dell’opera seria con tutti i suoi snodi canonici pur ridotto alle dimensioni di un lavoro da camera. Anche la musica di Gluck si ricollega direttamente a quella tradizione e non si notano particolari influenze della nuova opera riformata che il compositore stava cominciando a concepire – la composizione de “La corona” sta infatti fra quella di “Orfeo ed Euridice” del 1762 con cui inizia il processo di riforma e quella di “Alceste” del 1767 che rappresenta il pieno raggiungimento dei progetti riformatori di Gluck anche sul piano teorico – rifacendosi invece totalmente alla scansione tradizione anche se in alcuni punti si riconosco echi melodici o armonici del precedente Orfeo. Colpisce la difficoltà di molti passaggi e le importanti richieste sul piano vocale ed espressivo previste per tutti gli interpreti specie considerando la natura del lavoro e che sembra attestare una preparazione musicale diffusa alla corte di Vienna quasi confrontabile con quella dei cantanti di professione.
La storia impedì però a lungo a questo lavoro di Gluck di vedere la luce; il 18 agosto 1765 l’Imperatore muore improvvisamente ad Innsbruck e tutte le rappresentazioni vengono sospese per lutto. “La corona” dovrà attendere fino al 1937 per essere eseguita la prima volta a Vienna in forma di concerto e ancora oggi attende la prima realizzazione scenica.
La Trama
Un cinghiale sta portando devastazione nelle foreste di Caledonia e deve essere ucciso. Atalanta vuol prendere parte alla caccia, ma viene trattenuta dalla sorella Climene; Atalanta ora cerca di dissuadere la sua amica Asteria, sorella di Meleagro, dall’unirsi alla caccia poiché è troppo giovane. Atalanta è incerta su da farsi (Aria: Vacilla il mio coraggio..., Scena 1). Giunge Meleagro e gli viene chiesto di prendere una decisione in merito. Egli implora le donne di non unirsi alla caccia. Dato che Asteria e Atalanta insistono, egli minaccia di disdire la battuta e di renderle responsabili delle conseguenze. Le donne alla fine rinunciano (Scena 2). Climene suggerisce di osservare la caccia da una torre (Scena 3). Asteria però si ribella (Aria: Anch’io mi sento in petto..., Scena 4), risvegliando con ciò l’ammirazione di Atalanta (Recitativo: Che bell’ardir!, Scena 4).
Alla fine, Asteria non riesce più a trattenersi e segue il richiamo dei cacciatori nei boschi. Atalanta, con l’intento di proteggerla, si affretta a seguirla. A questo punto, anche Climene si unisce alla caccia (Aria: Benché inesperto all’armi..., Scena 5).
Asteria poi appare dai boschi e racconta che Atalanta ha ferito l’animale, il quale ora la insegue (Scena 6). Atalanta segue subito dopo e ansimante chiede un’arma (Scena 6). Ma ora arriva Meleagro (Scena Finale) e annuncia che il cinghiale è stato ucciso. Il coraggio di Atalanta gli ha ispirato l’atto valoroso – ella merita gli allori (Aria: Fe’ germogliare...). Lei rifiuta e insiste che sia lui a essere onorato. Una nobile disputa ne consegue (Duetto: Deh, l’accetta…); Atalanta, alla fine, depone la corona ai piedi della statua di Diana.
La registrazione
“LA CORONA” (1765)
Azione teatrale in un atto su libretto di Pietro Metastasio
Mai rappresentata in forma scenica
Atalanta, principessa d’Argo, seguace di Diana e amica di Asteria Alicja Slowakiewicz (soprano)
Melagro, principe d’Etolia, promotore della caccia calidonia Halina Gorzynska (soprano)
Climene, seguace di Minerva, sorella di Atalanta Lidia Juranek (soprano)
Asteria, sorella di Melagro, seguace di Diana e amica d’Atalanta Barbara Nowicka (mezzosoprano)
Cembalo Maria Jurasz
Coro della Bayerischen Rundfunks, Orchestra Warschauer Kammeroper
Direttore Tomasz Bugaj
registrazione, Monaco, giugno 1983
Affidata per la parte strumentale agli stessi interpreti de “La danza” questa incisione non si discosta nelle linee generale da quanto scritto precedentemente. I cantanti sono diversi ed offrono una prestazione di corretta professionalità pur senza mai riuscire a lasciare un segno significativo. Si fa apprezzare il Meleagro di Halina Gorzynska robusta voce di autentico contralto di buona solidità e volume; pur notandosi una certa mancanza di raffinatezza nell’insieme il canto è comunque corretto e i passaggi di coloratura sgranati in modo sciolto e pulito.
Troppo leggera Alicja Slowakiewicz come Atalanta, voce flebile e delicata, per di più non sicurissima nel settore acuto dove tende ad essere forzata e a diventare acida nel timbro. Fatica non poco a venire a capo di un brano impervio come “Vacilla il mio coraggio” nonostante una certa sicurezza nei passaggi di coloratura e manca della necessaria scolpitura della frase in “Fe’ germogliare” forse il brano più vicino al nuovo gusto del classicismo riformato in cui il virtuosismo – pur presente – si fa meno estremo mentre viene a prevalere una maggior importanza del rapporto musica parola e quindi della capacità di declamazione in cui la Slowakiewicz non riesce ad andare oltre ad una generica correttezza. Dal timbro piacevolmente brunito è il Climene di Lidia Juranek favorita anche dalla scrittura più agevole rispetto a quella di Atalanta che gli permette di ottenere una prestazione godibile anche se sostanzialmente scolastica di “Benchè inesperto all’armi”. Decisamente più impegnativa la parte di Asteria affrontata da Barbara Nowicka; rispetto alle colleghe la cantante mostra maggior personalità e forza d’accento risultando più personale e meno scolastica e la voce ha una sua piacevolezza per quanto riguarda timbro e colore, di contro si notano durezze nel settore acuto ed una coloratura che pur precisa ha sempre un sentore di meccanicità e mancanza di naturalezza anche se va riconosciuto che la non facile prova rappresentata da “Anch’io mi sento in petto” in qualche modo viene risolta.