Opera in tre atti su testo di Étienne de Jouy da Voltaire. Chantal Santon (Laméa), Philippe Do (Démaly), André Heyboer (Olkar), Mathias Vidal (Rustam, un comandante indiano), Katia Velletaz (Ixora, prima baiadera), Jennifer Borghi (Divane, seconda baiadera) Mélodie Ruvio (Dévéda, terza baiadera), Frédéric Caton (Hydérane), Thomas Bettinger (Rutrem), Eric Martin-Bonnet (Salem, un ufficiale maratto, Iranés), Thill Mantero (Narséa), Kareen Durand (Una corifea, una baiadera). Solamente naturali – Musica Florea; Svetoslav Obretenov Choir; Direttore: Didier Talpain. Registrazione Sofia novembre 2012. T. Time: 2h19’31. 2 CD Edictiones Singulares – Palazzetto Bru Zane ES1016
Di Charles-Simon Catel si era già ampiamente parlato in occasione della recensione di “Semiramis” e quindi con grande interesse che si accoglie questa nuova registrazione dedicata al talentuoso compositore francese che anche in questo ascolto si conferma una delle personalità più interessanti della scena musicale negli anni della Rivoluzione e del Primo Impero.
Andata in scena la prima volta l’otto agosto 1810 presso l’Académie Imperiale de musïque questa “Les bayaderes” permette di farsi un’idea dell’evoluzione avuta da Catel negli anni trascorsi rispetto al precedente lavoro – “Semiramis” datava al 1802 – e forse ancor di più di vedere quanto queste esperienze del periodo napoleonico abbiano contribuito a traghettare senza soluzione di continuità l’opera francese dalle ultime propaggini tardo-settecentesche della tragedie-lyrique al grand’opera romantico del nuovo secolo.
Tratta da una tragedia di soggetto esotico di Voltaire “Les bayaderes” mostra pienamente le caratteristiche di questa fase di passaggio. Essa infatti da un lato si ricollega ancora direttamente alla tradizione del secolo precedente rimontando per certe soluzioni fino a Rameau arricchendola di quel costante e fondamentale riferimento che sempre fu Mozart per Catel dall’altro anticipa tutta una serie di moduli che troveranno pieno compimento del grand-opéra di stampo meybeeriano quali l’ambientazione storico-esotica con grande dispiego di elementi spettacolari, la trama avventurosa e ricco di colpi di scena dal sapore quasi di feuilleton, la capacità di integrare tutta una serie di elementi spettacolari – cori e danze – all’interno di un diverso sistema organizzativo che aggiorna senza rinnegare la tradizione storica francese e che rappresenta una delle particolarità più specifiche nell’evoluzione del teatro musicale d’oltralpe che lo differenzia da tutte le altre esperienze europee dove il senso di frattura appare decisamente più marcato.
Sul piano strettamente musicale si è parlato per questo titolo di una natura neo-mozartiana ed effettivamente l’ascolto mostra numerosi richiami più o meno espliciti al genio salisburghese ed in particolar modo a “Die Zauberflote” che sembra essere il riferimento diretto di Catel e al quale si richiamo apertamente numerosi brani, a titolo di esempio si vedano il terzetto delle favorite “D’une juste espérance” che richiama immediatamente quello delle dame della Regina della notte; la marcia dei bramini modellata su quella dei sacerdoti di Sarastro, l’aria di Laméa “La sort peut changer” che seppur in modo meno diretto rimando all’universo espressivo di Pamina ma in chiave più generale è la stessa idea di esotismo che richiama ancora quello mozartiano e più generalmente settecentesco e non troveremo in Catel tutti quei modi espressivi che nel nuovo secolo saranno la cifra dell’esotico specialmente in ambito francese.
Ma oltre a Mozart sono molte le influenze che agiscono su Catel e che testimoniano del clima ricco e stimolante che caratterizzava la vita musicale parigina di quegli anni. Si è già accennato alla presenza di richiami alla tradizione francese e a questa vanno collegati la libertà compositiva di molti passaggi che sfuggono alla tradizionale partizione per forme chiuse e il passaggio spesso senza soluzione di continuità da una all’altra, inoltre alcuni brani come l’aria di Olkar “Bannis a jamais de ton coer” richiamano ancora modi propri del settecento francese seppur rivisti alla luce di quel taglio eroico divenuto di gran moda con l’Impero napoleonico. Altrettanto presenti sono i riferimenti alle figure che dominavano la scena musicale parigina di quegli anni come Cherubini e Spontini, del primo si riconoscono certe soluzioni armoniche e stilistiche come nel terzetto “Pour toi je ne peux vivre” prossimo a certi passaggi della “Medée” mentre da Spontini deriva la capacità di gestione delle scene di massa, il taglio monumentalmente eroico dei finali d’atto e delle scene d’insieme. Va però riconosciuto a Catel di aver saputo fondere questo materiale eterogeneo in un linguaggio unitario e coerente il che da alla composizione un tratto di originalità e personalità che sono innegabili e che supera il gioco sincretistico delle influenze.
Registrata a Sofia nel 2012 questa produzione si affida ad un organico che si è già avuto modo di apprezzare in altre produzioni del Palazzetto Bru Zane con il direttore francese Didier Talpain alla guida di due formazioni orchestrali i cechi Musica Florea e gli slovacchi Solamente Naturali uniti in un’unica compagine a cui si affianca il coro Svetoslav Obretenov di Sofia, città in cui è stata realizzata la registrazione. Per prima cosa va notata la perfetta fusione delle due compagini orchestrali ormai abituate a lavorare in associazione e capaci di comportarsi come un unico complesso pienamente affiatato.
Il direttore francese propone una lettura brillante e raffinata, perfettamente in linea con le esigenze della partitura e fin dall’ouverture si apprezzano il suono nitido e pulito e la chiarezza del fraseggio orchestrale inoltre Talpain evidenzia al meglio la contrapposizione dei gruppi tematici – particolarmente evidente nei cori spesso organizzati per contrasti marcati come si può chiaramente vedere in “Aimable enchantresse” in cui compare una teatralissima contrapposizione fra il luminoso lirismo delle baiadere e la barbarica irruenza dei guerrieri maratti – e per rapide alternanze di numeri spesso di ridotte dimensioni e dallo sviluppo estremamente mobile e variato. Molto buona la prova offerta dal coro Svetoslav Obretenov di Sofia particolarmente impegnato in questa partitura cui nuoce l’eccessiva distanza percepibile nella registrazione rispetto ai solisti.
La parte della protagonista Laméa è decisamente impervia e rappresenta un significativo banco di prova per la cantante chiamata ad affrontare il ruolo. Chantal Santon ne esce in modo decisamente ammirevole; per primo luogo la voce è in se decisamente piacevole, sicura e squillante nel registro acuto ma capace di mantenere una carezzevole morbidezza anche nelle tessiture molto alte. I risultati migliori sono ottenuti nei brani di carattere lirico ed elegiaco come la già ricordata aria “La sort peut changer” o il duetto con Démaly “Courbé sous le poids du malheur” ma riesce ad ottenere convincente spessore drammatica nelle scene con Olkar del II atto; qualche difficoltà in più si riscontra nell’aria del primo atto “Dieux vous me l’ordennez” che per il suo carattere eroico e marziale e le impervie richieste vocali rappresenta un autentico scoglio per la cantante chiamata ad interpretare il ruolo e la Santon ne giunge comunque sufficientemente a capo nonostante qualche patteggiamento sul piano vocale.
La parte di Démaly appare decisamente più prosaico nel suo eroismo un po’ sterile e celebrativo che non sembra aver toccato fino in fondo le corde migliori di Catel. Philippe Do si conferma una delle voci più interessanti dell’attuale scena lirica francese mostrandosi capace di arricchire la sua natura di contraltino con sonorità più piene ed eroiche in linea con il personaggio e di saper sfruttare al meglio le aperture melodiche come la breve aria “Viens, Laméa” o il già citato duetto con la baiadera per far risultare al meglio la morbidezza e la nobiltà del suo canto. Ottima prova quella del baritono André Heyboer nei panni del capo maratto Olkar. Voce ampia, robusta, splendidamente timbrata con acuti di ragguardevole potenza mentre sul piano espressivo viene colta bene la natura violenta e selvaggia del capo barbaro in contrasto con l’aristocraticità degli altri interpreti. Si è già ricordata l’aria del II atto “Bannis a jamais de ton coer” per il sapore ancora alla Rameau della linea melodica rivisto però nel nuovo gusto eroico dell’Impero ma qui bisogna rimarcare l’ottima prova del cantante e l’efficacia dell’interprete che danno pieno rilievo al brano così come al successivo duetto con Laméa. Molto bravo anche il tenore Matthias Vidal un Rustan di elegante lirismo e di gradevole timbro; Thill Mantero presta a Narséa una bella voce di baritono lirico e un’ottima dizione; Frédéric Caton ha la giusta imponenza nella parte del bramino Hydérane unita ad una voce di autentico basso che da pieno rilievo alla spiritualità della preghiera “Pour approcher de la rive fatale”; nel duplice personaggio tricefalo delle favorite di Démaly e delle baiadere troviamo tre abituali conoscenze delle registrazioni del Palazzetto Bru come Katia Velletaz, Jennifer Borghi e Mélodie Ruvio perfettamente affiatate. Complessivamente molto buona la prova delle numerose parti di fianco – si rimanda alla locandina per i nomi dei singoli interpreti – fra cui si distingue la voce luminosa e squillante della corifea di Kareen Durand nell’attacco del coro delle baiadere del I atto “Pour plaire, enchaînons sur nos trace”.