Operatic Recital. Tenori: Giuseppe Campora. Giacomo Puccini: “E lucevan le stelle” (“Tosca”); Giuseppe Verdi: “Dal labbro estasiato il canto vola” (“Falstaff”); Umberto Giordano: “Come un bel dì di maggio” (“Andrea Chénier”); Arrigo Boito: “Dai campi, dai prati”, “Giunto sul passo estremo” (“Mefistofele”); Francesco Cilea: “E la solita storia del pastore” (“L’Arlesiana”); P. Mascagni:“Se Franz dicesse il vero… Ah!ritrovarla” (“Lodoletta”). Gianni Poggi, Giuseppe Verdi: “Oh! Fede negar potessi…Quando le sere al placido” (“Luisa Miller”), “Ah! Sì ben mio”, “Di quella pira” (Il Trovatore”; Giacomo Puccini: “Donna non vidi mai” (“Manon Lescaut”), “Firenze é come un albero fiorito” (“Gianni Schicchi”); Umberto Giordano: “Come un bel dì di maggio” (“Andrea Chénier”), “Amor ti vieta” (“Fedora”). Gino Penno, Vincenzo Bellini:“Svanir le voci…Meco all’altar di Venere” (Norma”); Giuseppe Verdi: “Oh inferno…Sento avvampar nell’anima” (“Simon Boccanegra”), “Di quella pira” (Il Trovatore”). Giacinto Prandelli, Gaetano Donizetti: “Una furtiva lacrima” (“L’elisir d’amore”), “Tombe degli avi miei” (“Lucia di Lammermoor”), “Povero Ernesto!” (“Don Pasquale”). Orchestra nazionale dell’Accademia di Santa Cecilia di Roma, Alberto Erede, Antonio Narducci (direttori). Registrazioni: Roma, giugno 1954 -1955, Milano gennaio 1954, Roma giugno 1951. T. Time: 1h18’30. 1 CD Decca 0289 480 8141 7
In questa produzione sempre all’interno della serie Most Wanted Recitals! la Decca propone una serie di ascolti di varia provenienza e non sempre coerente accomunati dal vedere protagoniste ad alcune figure tenorili di rincalzo sulla scena italiana degli anni 50 quando all’ombra di Di Stefano e Del Monaco erano attivi numerosi cantanti di ottima qualità che in alcuni casi avrebbero meritato maggior fortuna; il presente CD permette se non altro di farsi una sommaria idea di alcuni di essi.Il primo fra i cantanti presentati Giuseppe Campora (Tortona 1923 – ivi 2004) è sicuramente fra i più interessanti. Voce molto bella, di natura schiettamente lirica con naturale propensione alla salita in acuto unita ad una dizione di rara chiarezza ne fanno un’interprete di sicuro interesse. Proprio il lirismo della voce emerge in brani come “Dal labbro il canto estasiato vola” il sonetto di Fenton dal III atto di “Falstaff” che è fra i brani più interessanti proposti in quanto la voce non costretta a forzature inutili emerge in tutta la sua pienezza timbrica e morbidezza d’emissione rendendo alla perfezione la natura del brano. Molto belli anche i brani dal “Mefistofele” di Boito che danno di Faust una lettura più lirica e intensa di quando la tradizione del tempo prevedesse per il ruolo spesso oggetto di interpretazioni troppo forzatamente drammatiche. Ovviamente una voce con queste caratteristiche non può che risultare al meglio anche nel “Lamento di Federico” de “L’Arlesiana” di Cilea. Gli altri brani costringono invece a forzare maggiormente la voce lirica di Campora con una perdita di morbidezza e di naturalezza dell’emissione che appare particolarmente evidente negli estratti di “Tosca” e “Lodoletta”.
Gianni Poggi (Piacenza 1921 – ivi 1989) ha goduto di una maggior fortuna partecipando anche ad alcune prestigiose registrazioni discografiche – i più lo ricorderanno come Ezio in “La Gioconda” al fianco di Maria Callas. Voce naturalmente dotata dal timbro pieno e luminoso e dagli acuti squillanti avrebbe infatti potuto essere una figura di primo piano se non fosse per un approccio spesso troppo generico ai singoli ruoli, per la tendenza ad appoggiarsi in modo eccessivo sulla naturale bellezza della voce su una tecnica non sempre inappuntabile con tendenza ad aprire i suoni spesso non piacevolissima ed attacchi con effetto lacrima ormai datati per il gusto contemporaneo. Il primo bratto – tratto da “Luisa Miller” – evidenzia al meglio questi elementi con il recitativo tropo caricato e la tendenza e mettere in evidenza gli acuti per se stessi che mettono quasi in secondo piano la naturale bellezza della voce. Meglio i brani de “Il trovatore” dove se l’interprete resta sempre un po’ generico ma la linea di canto è più curata e lo squillo sugli acuti risalta innegabilmente nella “pira”. Nei brani pucciniani si ammiro lo slancio di popolana irruenza dello stornello di Rinuccio mentre Des Grieux manca un po’ di magia nonostante la bellezza della voce. Buona l’esecuzione dei brani della giovane scuola, più adatti ad un gusto interpretativo come quello di Poggi.
Gino Penno (Fellizzano 1920 – Milano 1998) e forse quello più stilisticamente datato e più deludente all’ascolto fra i cantanti proposti. Il materiale vocale di base era sicuramente importante ma purtroppo la ricerca di un tono iper-drammatico – una sostanziale imitazione di Del Monaco senza avere le capacità uniche del tenore fiorentino – lo porta ad un taglio interpretativo a senso unico tutto finalizzato a sparare acuti, sicuramente belli in se, ma che non compensano il senso di trascuratezza e se il Pollione di “Norma” sebbene stilisticamente rivisto in chiave verista una certa presenza la dimostra nel richiamare in scala minore il paradigma Del Monaco i brani verdiani – soprattutto quelli da “Simon Boccanegra” – risultano troppo lontani dal gusto odierno.
Dopo le rudezze di Poggi giungono come un balsamo l’eleganza e la musicalità di Giacinto Prandelli (Lumezzane 1914 – Milano 2010), impegnato in tre brani donizettiani – da “L’elisir d’amore”, “Lucia di Lammermoor” e “Don Pasquale – il tenore bresciano offre un’autentica lezione del canto sul fiato – sentire cosa sono le mezze voci di “Una furtiva lagrima” come quella su “si può morir” e dell’eleganza espressiva di quella che fu la miglior scuola storica italiana.
Gianni Poggi, “Italian songs”. E. Carabella: “Non ti odio più”, C. Innocenzi: “Addio, sogni di gloria”; R. Falvo: “Dicitincello vuie”; E. De Curtis: “Non ti scordar di me”; N. Mazziotti: “Mattinata siciliana”; D. Innocenzi: “Domani turnarrà”; C.Lardino/E.De Curtis: “Voce’ e notte”; E.Carabella: “Capelli bianchi; F. P. Tosti: “Marechiare”; G. Stellari: “Malia di Napoli”; E. Di Capua: “Maria, Marì”, E.Carabella: “Ricordati di quel dì di musica”; G. Cioffi: “’Na sere e maggio”; E.De Curtis:”Tu, ca nun chiagne!”; Tiberino:“Ricuordete e me” (due versioni napoletana e francese), E. Tagliaferri:“Passione”, “Nun mi sceta”. Orchestra diretta Ernesto Nicelli. Registrazione: Roma luglio 1953. T. Time. 1h07’56. 1 CD Decca 0289 480 8170 7
Sempre Gianni Poggi è protagonista di questo secondo CD ripubblicato dalla Decca nella medesima collana. Inciso nel 1953 con la direzione di Ernesto Nicelli – una sorta di specialista del genere per la Decca anni ’50 – il programma è interamente dedicato al repertorio leggero con una selezione di canzoni italiane e napoletane. Sul versante italiano si nota la mancanza di molti dei brani più celebri di questo repertorio, soprattutto quelli più vicini ad un taglio cameristico e a loro modo liederistico per dar maggior spazio a canzoni pienamente ascrivibili nel campo della musica leggera. Poggi con la sua voce calda e spontanea e gli acuti squillanti e sicuri emerge bene in brani come questi in cui la trascuratezza stilistica e la routine del fraseggio che lo limitano nel repertorio lirico si notano ovviamente molto bene ed anzi riesce a cogliere bene lo spirito di certi brani come l’ironia svagata e un po’ malinconica di “Addio sogni di gloria” di Innocenzi.
La parte dedicata al repertorio napoletano presenta invece tutti i classici del genere, le immancabili canzoni in cui si sono cimentati tutti i grandi tenori e questa ricchezza di confronti non gioca per altro a favore di Poggi la cui correttezza non può competere con le letture di altri e più grandi interpreti. Inoltre se la dizione resta anche qui chiara la pronuncia napoletana è spesso farraginosa anche per un orecchio di un ascoltatore non partenopeo e si nota una tendenza ad italianizzare troppo molti passaggi. In linea di massima risultano meglio i brani più lirici e melanconici, più vicini ad una certa vocalità operistica più famigliare a Poggi e in cui può far risultare meglio le qualità della voce come in “Torna a Surriento”, “O sole mio”, “’Na sera e maggio mentre in quelli più brillanti e di taglio più popolaresco come “Maria, Marì” appaiono meno naturali e compiuti anche sul versante espressivo. Resta il fatto che l’ascolto a lungo andare l’ascolto tenda a risultare ripetitivo, si nota un’eccessiva uniformità interpretativa e una scarsa differenziazione fra i singoli brani che crea un senso di assuefazione abbastanza rapido nell’ascoltatore e al riguardo non giova la direzione di Nicelli tutta calata in quell’idea fatta di mandolini e facili melodie che il pubblico anglosassone dell’epoca aveva della musica popolare italiano. Nonostante la prova vocale complessivamente buona di Poggi resta un prodotto destinato agli appassionati del genere.