Palazzetto Bru Zane, Festival “Romanticismo tra guerra e pace”
Pianoforte Jean-Efflam Bavouzet
Flauto Philippe Bernold
Oboe Olivier Doise
Clarinetto Philippe Berrod
Fagotto Julien Hardy
Maurice Ravel: “Miroirs”
Gabriel Pierné : “Trois Pièces formant suite de concert” op. 40: n. 2, “Nocturne en forme de valse”; “Étude de concert” op. 13
Albéric Magnard: Quintette pour flûte, hautbois, clarinette, basson et piano op. 8
Venezia, sabato 25 ottobre
La Prima guerra mondiale è per la maggior parte degli storici il primo grande evento della contemporaneità, che segna la fine di un’epoca e l’inizio di qualcosa di nuovo: un “prima” e un “dopo”, dunque, con caratteri ben diversi tra loro. Certamente i prodromi del cambiamento sono riconoscibili ben prima dello scoppio della Grande Guerra, sia sul piano economico (la Grande depressione e la sempre più spietata concorrenza tra le potenze), che su quello sociale (La nascente società di massa, con nuovi strati sociali che reclamano i propri diritti). Anche sul piano artistico-letterario si avverte in molte opere un ossessivo senso della fine prima dell’immane tragedia: pensiamo – tanto per fare un nome – a Jopseph Roth per la letteratura o agli espressionisti per le arti figurative. Ma forse tra le arti, è la musica che più di altre presagisce la catastrofe imminente, e lo fa soprattutto con lo scardinare in modo sempre più radicale il linguaggio tradizionale: prima, alla fine dell’Ottocento, con l’emancipazione della dissonanza, poi ai primi del Novecento con l’atonalità del giovane Schoenberg (il Pierrot Lunaire è del 1911) o le telluriche sonorità de Le sacre di Stravinskij (1913), dando il via ad una successiva stagione di estremo sperimentalismo. Diversamente nel programma del concerto di cui ci occupiamo – sesto appuntamento della rassegna “Romanticismo tra guerra e pace” – sono presenti autori, per i quali il “prima “ e il “dopo” non sono poi così diversi: Ravel, che pure viene da molti associato al Primo conflitto mondiale – se non altro per il suo desiderio, seppur non realizzato, di partire per il fronte – compone tra il 1904 e il 1905 i Miroirs, per poi orchestrarli nell’immediato dopoguerra: un segno di continuità, dunque.. Gabriel Pierné – costretto a lasciare insieme alla sua famiglia la natìa Lorena in seguito alla sconfitta francese del 1870 – visse la Grande Guerra come una recrudescenza del suo dolore esistenziale di esule e musicalmente guarda al passato. Per Albéric Magnard non c’è addirittura un “dopo”, in quanto lo sventurato musicista morì nei primi giorni di guerra nel vano tentativo di difendere la sua proprietà dall’aggressione dei soldati tedeschi, e anche lui è ancora legato al “prima” (il romanticismo tedesco e Wagner).
Venendo al resoconto del concerto, ci piace osservare inizialmente che anche per questa occasione la graziosa sala del Palazzetto Bru Zane era al completo. In effetti il programma era di tutto interesse come il tema attorno a cui era costruito. Del resto il Centre de musique romantique française continua a mantenere vivo il rapporto con il pubblico proponendogli preziose riscoperte o rarità, oltre ad esecutori – spesso si tratta di giovami – di alto livello. È il caso anche di questo concerto sia per i titoli in programma sia per i solisti. Decisamente notevole la prestazione del pianista Jean-Efflam Bavouzet – considerato l’ultima scoperta di Georg Solti, nonché nominato artista dell’anno dall’International Cassic Music Awards nel 2012 – , che ha suonato instancabilmente per quasi due ore senza mai un momento di incertezza, sempre con stile e sensibilità. Vero mattatore della serata (tre pezzi su quattro erano per pianoforte solo), ha interpretato con scioltezza e nitore, adeguatezza del tocco, senso del ritmo Miroirs di Maurice Ravel, affrontando autorevolmente il cromatismo di “Noctuelles”, in cui sono presenti anche scale esatonali e passaggi moto veloci, come le tinte scure di “Oiseaux tristes”, affidate alla mano sinistra, i liquidi arpeggi de “Une barque sur l’océan”, le sonorità contrastanti della celebre “Alborada del gracioso”, che esordisce con un ritmo incalzante, infine le trine arabescate e l’atmosfera incantata de “La vallée des cloches”.
Un tocco perlaceo si è apprezzato nel Nocturne en forme de Valse di Gabriel Pierné, che si inserisce nella tradizione di analoghe pagine di Field e Chopin e il cui tema di valzer è alquanto singolare per un suo certo sapore modale. Superbo il virtuosismo che il pianista ha sfoggiato in Étude de concert, che inizia con una vertiginosa sequenza di doppie ottave e termina in modo travolgente.
Per l’ultima composizione in programma, il quintetto op. 8 di Albéric Magnard, al pianoforte di Jean-Efflam Bavouzet si sono uniti il flauto di Philippe Bernold, l’oboe di Olivier Doise, il clarinetto di Philippe Berrod e il fagotto di Julien Hardy: un ensemble che ha sfoggiato un affiatamento e un’intonazione ineccepibili com’era da aspettarsi da solisti che suonano o hanno suonato nelle più prestigiose orchestre di Francia e si esibiscono nelle sale da concerto di tutto il mondo. In questo pezzo che, stando alla formazione per cui fu concepito sembra una serenata ma in realtà è percorso da grande vigore e passione (come in genere la musica di Magnard), gli ottimi strumentisti hanno affrontato con sicurezza e sensibilità interpretativa questa composizione ricca di infinite sfumature e dalla struttura complessa: così in apertura del primo movimento, “Sombre”, l’attacco del primo tema da parte dei fiati – che aprono il discorso proiettando l’ascoltatore“in medias res” – è stato nitido e perentorio così com’è stato rigoroso, ad esempio, il fugato nello sviluppo. Di grande suggestione poi il canto delicato del clarinetto nel “Tendre” o l’assolo dell’oboe nel successivo “Léger” o, ancora, l’intervento del Fagotto nel finale dell’ultimo movimento “Joyeux”. Il tutto sostenuto e coordinato con autorevolezza e sensibilità dall’instancabile Bavouzet. Due bis, a placare gli scroscianti applausi: Feux d’artifice di Debussy, dopo il terzo brano, dove il pianista francese ha confermato sapienza di tocco e nitore nei passaggi veloci; e poi, alla fine, il terzo movimento del quintetto di Magnard.