Parma, Teatro Regio, Festival Verdi 2014
Omaggio a Raina Kabaivanska per il suo 80° compleanno
Orchestra Filarmonica Arturo Toscanini
Direttore Nayden Todorov
Soprani Maria Agresta, Virginia Tola
Mezzosoprano Cinzia Chiarini
Tenore Andrea Carè
Basso Simon Lim
Musiche di Giuseppe Verdi
Parma, 25 ottobre 2014
E a concerto finito, Raina Kabaivanska bacia tutti. Bacia la spalla dei violini, bacia il direttore, bacia allieve e allievi che sono venuti da tutto il mondo per festeggiare i suoi 80 anni. D’altronde è la sua festa. O meglio, la celebrazione della sua arte d’insegnante, prima che scenica. Due i cardini didattici di questa signora del melodramma: rispetto delle particolarità degli allievi (“ogni gola è diversa”, afferma lei nel programma di sala) e ricerca del fuoco sacro dell’arte in ogni studente. Principi che trovano riscontro nella rosa di cantanti che sabato 25 ottobre si sono alternati sul palcoscenico del Teatro Regio di Parma. Voci di diversa impostazione e, almeno in due casi, voci d’artista, laddove per artista si intende chi sa condensare in una sola nota tutto un personaggio. E questo, se si canta Verdi, è vitale.
Maria Agresta è sempre cantante e personaggio insieme. Acuti luminosi, registri omogenei, linea di canto solidissima: tutto al servizio della scena, anche nelle evoluzioni belcantistiche della cabaletta “Più non vive!… l’innocente” dai “Due Foscari”. Basta l’attacco in pianissimo del recitativo che precede l’aria “O fatidica foresta” ed ecco tratteggiata la giovane Giovanna d’Arco. Una giovinezza fragile che si proietta anche sulla sua Desdemona, nel duetto “Già nella notte densa” dall’“Otello”. Qui condivide la scena con il tenore Andrea Carè, che al contrario della collega non è troppo attento alle dinamiche e intona a piena voce il “Vien… Venere splende” finale, in barba alle indicazioni verdiane. Anche nei grandi cantabili “Ma se m’è forza perderti” da “Un ballo in maschera” e “Ah, la paterna mano” da “Macbeth” Carè sfoggia grande volume sonoro senza rifinire troppo e opta per tempi singolarmente spediti. Se è vero che qualche acuto qua e là rimane nella gola, bel timbro e generosità vocale sono innegabili. Ma più generosa ancora è la prova di Virgina Tola. Il soprano argentino convince molto più che nella recente “Forza del destino” parmigiana: un vibrato piuttosto ampio e qualche nota troppo aperta non intaccano il fascino di questa voce, che squaderna un “Morrò, ma prima in grazia” e soprattutto un “Tu che le vanità” da manuale: centrato alla perfezione il fa diesis iniziale, la grande scena di Elisabetta si trasforma in un crescendo emotivo intensissimo e alle ultime battute qualche lacrima scende anche lei. “Don Carlo” sta invece un po’ largo a Cinzia Chiarini, la più giovane fra i solisti. “O don fatale” è banco di prova per ogni mezzosoprano e lei (voce non grande, ma educata) cerca di scurire e ispessire laddove forse le converrebbe alleggerire: il do acuto scotta parecchio e il finale è affannoso. Molto più a suo agio nell’aria di Cuniza “Oh, chi torna l’ardente pensiero” dall’“Oberto”. Chiude il cerchio il basso coreano Simon Lim: se nell’ampio duetto “Guardami! Sul mio ciglio” (sempre dall’“Oberto”, in compagnia della Agresta) disegna un personaggio piuttosto sfocato (colpa anche di una dizione non certo scultorea), trova invece accenti convincenti nell’aria di Attila “Mentre gonfiarsi l’anima” e nella grande scena di Filippo II dal “Don Carlo”, con mezze voci di grande effetto. Peccato solo per qualche malinteso in fatto di tempi con il direttore bulgaro Nayden Todorov: energico nella sinfonia dall’“Oberto”, dirige la Filarmonica Toscanini con gesto fin troppo generoso e non sempre efficace. Lode particolare al primo violoncello Diana Cahanescu (tre soli in tre arie diverse, sciorinati con grande espressività) e a tutti gli archi dell’orchestra, che a fine concerto si raccolgono, morbidissimi, attorno a Raina Kabaivanska, protagonista di un’inattesa “Ave Maria” dall’“Otello”. Foto Roberto Ricci /Annalisa Andolina