Richard Strauss (1864-1949): “Die Schweigsame Frau”

Opera comica in due atti su libretto di Stefan Zweig da Ben Jonson. Franz Hawlata (Sir Morosus), Monica Staube (Theodosia Zimmerlein), Andreas Kindschuh (Pankrazzius Schneidebart), Bernhard Berchtold (Henry Morosus), Julia Bauer (Aminta), Guibee Yang (Isotta), Tiina Penttinen (Carlotta), Matthias Winter (Carlo Morbio), Kouta Räsänen (Cesare Vanuzzi), Martin Gäbler (Giuseppe Farfallo). Robert-Schumann-Philarmonie, Chor der Oper Chemnitz Simon Zimmermann (Maestro del Coro), Frank Beermann (direttore). Registrazione: 7-12 maggio 2012. T.Time: 153′ 13 3CD CPO 777 757-2
Colpevolmente sconosciuta o quasi al pubblico italiano “Die schweigsame Frau” (La donna silenziosa) composta da Richard Strauss nel 1935 su libretto di Stephan Zweig è un autentico piccolo capolavoro, una delle commedie liriche più straordinarie del Novecento per ispirazione musicale e trascinante energia vitale. Ispirata ad una commedia secentesca di Ben Jonson la vicenda non può non ricordare al pubblico italiano quella del “Don Pasquale” donizettiano. Qui al centro di tutto vi è Sir Morosus, un vecchio capitano di marina che a seguito dell’esplosione di una polveriera ha sviluppato una sensibilità uditiva tale da rendergli insopportabile ogni rumore. Accudito da un’anziana governante – che vorrebbe sposarlo – e da un barbiere scaltro e intrigante (la cui funzione drammaturgica è analoga al Dottor Malatesta di Donizetti) riceve la visita del nipote Henry, scomparso da casa da molto tempo per essersi unito ad una compagnia di attori girovaghi arrivando addirittura a sposare l’attrice Aminta. L’idea di vedere la sua silenziosa casa trasformata in una sorta di teatro non può che mandare su tutte le furie il vecchio capitano che scaccia di casa il nipote. A quel punto viene convinto dal barbiere – già accordatosi con Henry – a sposare una giovane tranquilla e taciturna in modo da avere qualcuno in casa e di togliere ogni pretesa al nipote. A quel punto la trappola è ormai scattata, il giorno seguente vengono presentate a Morosus tre possibili candidate – le tre attrici della compagnia – e il vecchio si lascia affascinare dalla mansueta Timidia (che altri non è che la stessa Aminta) e decide di sposarla subito grazie alla complicità di altri due attori travestiti da prete e da notaio. Appena sposata Timidia/Aminta cambia di colpo e comincia a strepitare lasciando esterrefatto il povero Morosus. La giovane sposa comincia a rendere impossibile la vita al capitano dedicandosi ad ogni possibile attività rumorosa – dal canto al rifacimento completo della casa – infine viene a scoprirsi persino un presunto amante di Timidia (in realtà lo stesso Henry) ormai esasperato e impossibilitato pure a divorziare Morosus si trova sul punto di un totale esaurimento nervoso, a quel punto gli viene rivelata la beffa e ben lieto di aver scampato il pericolo perdona tutti e nomina suoi eredi universali Henry e Aminta.
Su questo canovaccio drammaturgico sicuramente funzionale ma non certo di particolare originalità Stefan Zweig costruisce un libretto di straordinaria raffinatezza in cui il gioco continuo della citazione, del termine tecnico, del teatro si mischiano in una costruzione ad un tempo coltissima e spontanea su cui la musica di Strauss si sviluppa nel segno di un’assoluta perfezione formale fatta di un’orchestrazione ricchissima e cangiante pur nella limitata dimensione dell’organico strumentale e di un canto spesso spinto fino alle estreme possibilità vocali – specie ma non solo per la parte di Aminta – senza però mai sacrificare cantabilità melodica e sincerità emozionale. Esemplare al riguardo nel III atto la scena della lezione di canto – altro ben noto topos teatrale – dove il tema del duettino “Sento un certo non so che” da “L’incoronazione di Poppea” offre l’occasione a Strauss per un esaltante gioco di variazioni che spingono la voce di Aminta ad altezze iperurnanie.
La presente incisione nasce dalla meritoria ripresa di questo capolavoro fatta nel 2012 dall’Opera di Chemnitz e fortunatamente documentata augurandosi che possa in futuro essere commercializzata anche la registrazione video potendo contare la produzione anche su una godibilissima regia di Gerd Heinz perfettamente in linea con l’atmosfera dell’opera e della volontà dei creatori.
L’opera di Chemnitz non sarà forse fra le compagini di vertice della scena musicale tedesca ma dimostra di possedere compagini di livello più che apprezzabile e di essere stata in grado per l’occasione di mettere insieme una compagnia di canto decisamente convincente specie considerando le difficoltà presentate dalle singole parti. Il merito della riuscita complessiva spetta in non piccola parte al direttore Frank Beermann, questi opta per una lettura personale della partitura, pur senza sacrificare la brillantezza e la ricchezza dell’orchestrazione straussiana – in questo ben sostenuto dalla Robert Schumann Philarmonie capace di produrre una qualità di suono degna di compagini ben più blasonate – tende ad un’agogica più distesa di quanto sia nella tradizione, prediligendo tempi più dilatati e atmosfere più melanconiche ed offrendo una lettura ad un tempo originale e suggestiva anche se va riscontrata la presenza di qualche taglio, forse conseguente all’origine teatrale dell’incisione.
L’impostazione data dal direttore contribuiva a porre ancor più in evidenza la parte di Sir Morosus, quella più connotata in quella chiave espressiva. Scelta appropriata disponendo per il ruolo di un artista del calibro di Franz Hawlata. Il basso tedesco sfoggia una cavata sontuosa e imponente con centri ampi e scultorei, sicura tanto negli acuti quanto nei gravi che gli permette di dominare con assoluta sicurezza un ruolo decisamente impegnativo anche sul piano vocale. Ma se grande è il cantante ancora di più lo è l’artista e l’identificazione con Morosus non potrebbe essere più totale; Hawlata è perfetto nel costruire un personaggio complesso e sfaccettato ma sempre profondamente umano e mai caricaturale. Pur in mancanza della componente scenica con cui un grande attore come Hawlata avrà ulteriormente arricchito il personaggio anche il solo ascolto rivela un fraseggio quanto mai vario e sfumato e sempre pertinente al personaggio sia esso il burbero capitano di marina in pensione, il corteggiatore vanesio e impacciato di fronte a Timidia, l’uomo distrutto del III atto. Una grandissima prova sotto ogni punto di vista.
Il resto della compagnia non si pone al medesimo livello ma in ogni caso viene capo più che positivamente dei propri ruoli. Julia Bauer è un’ottima Aminta, soprano leggero dalla vocalità agile ed elastica e dal timbro morbido e delicato, privo di quelle asprezze che a volte caratterizzano questo tipo di vocalità riesce a risolvere con buona proprietà un ruolo di rara difficoltà, spinto spesso a tessiture acutissime al limite delle possibilità. Sul piano espressivo si nota una certa freddezza, forse un’eccessiva concentrazione sulle note ma la cosa è giustificata dalla difficoltà del ruolo.
La parte di Henry Morosus è forse meno estrema ma è stata cavallo di battaglia dei maggiori tenori lirici tedeschi, impegnativo termine di paragone per ogni interprete del ruolo. Bernhard Berchtold non ha certo l’incanto vocale dell’immenso Wunderlich cui il ruolo è legato più che ad ogni altro cantante ma dispone di una voce di bel colore, luminosa e squillante con buona facilità nel registro acuto, emissione morbida e omogenea e buon controllo del fiato. Il risultato è una prestazione decisamente convincente che nei momenti di maggior poesia, come la splendida scena con Morosus del III atto “Teurer Ohm! Nicht langer kann..” realizza pienamente l’incanto richiesto.
Andreas Kindschuh con la sua voce ben timbrata  di baritono brillante e con un’interessante personalità espressiva tratteggia in modo più che convincente la parte del barbiere Pankratius Schneidebart così come Monika Staube non solo canta molto bene e mostra di avere un materiale vocale solido e ben impostato ma è perfetta nel tratteggiare il ruolo di Theodosia Zimmerlein, la vecchia governante inutilmente innamorata di Morosus. Nel gruppo dei commedianti spiccano le prestazioni della componente femminile con la spumeggiante Isotta del soprano Guibee Yang e l’ottimo materiale vocale della Carlotta di Tiina Penttinen. Nei panni del capocomico Cesare Vanuzzi il basso finlandese Kouta Räsänen dimostra di avere buon temperamento ma il settore acuto è spesso forzato e la voce tende ad indurirsi. Completano il cast Matthias Winter (Carlo Morbio) e Martin Gäbler (Giuseppe Farfallo). Il coro dell’opera di Chemnitz è diretto Simon Zimmermann.  Qui è possibile ascoltare questa edizione nell’approfondimento dedicato a quest’opera