Quatour Ellipse: “Introspezione”

Palazzetto Bru Zane, Centre de musique romantique française, Festival “Romanticismo tra guerra e pace”
Quatuor Ellipse
Violini Lyodoh Kaneko, Young-Eun Koo
Viola Allan Swieton
Violoncello Florent Carrière
Guillaume Lekeu: Molto adagio pour quatuor à cordes (“Mon âme est triste jusqu’à la mort”)
Albéric Magnard:Quatuor à cordes en mi mineur op. 16
Venezia,  17 ottobre 2014

Sala ultragremita al Palazzetto Bru Zane in occasione del recente concerto del Quatuor Ellipse, un’altra tappa del Festival “Romanticismo tra guerra e pace” in corso di svolgimento a Venezia. I due titoli in programma erano pressoché sconosciuti al grande pubblico al pari dei rispettivi autori, il belga Guillaume Lekeu e il francese Albéric Magnard, due geniali personalità di musicisti, accomunate da un inesorabile destino di morte: Lekeu, stroncato a soli 24 anni, nel 1894, da una febbre tifoidea, dopo aver mangiato un gelato contaminato; Magnard bruciato insieme alla sua casa, a Baron nel dipartimento dell’Oise, ad opera di soldati tedeschi, nel 1914.
Entrambi affascinati da Wagner – sia il belga che il francese effettuarono il classico pellegrinaggio a Bayreuth –, le loro opere, in particolare quelle presentate nel corso della serata, denotano una chiara preponderanza delle istanze espressive su quelle formali. Si tratta, infatti, di musiche nate dall’urgenza, si potrebbe dire esistenzialistica, di riflettere sulla vita e sulla morte, di guardarsi dentro a cercare invano, tra rare accensioni di speranza, un senso, una luce nella propria cupa esistenza: così la classica forma – sia pur esplicitamente negata o ancora in qualche modo presente – cede comunque al prorompere incontenibile dei sentimenti. Esemplare l’esecuzione del giovane Quatuor Ellipse, che ha mantenuto sempre una grande concentrazione e un perfetto affiatamento, offrendo una lettura molto pregnante di queste pagine dai caratteri spesso così inusuali, grazie ad un’acuta sensibilità musicale, sorretta da una sicura padronanza tecnica.
Nel Molto adagio pour quatuor à cordes di Guillaume Lekeu, commento alle parole di Cristo “Mon âme est triste jusqu’à la mort”, composto tra il 886 e il 1887 da un ragazzo di appena sedici-diciassette anni sostanzialmente autodidatta, la scrittura tormentata è ben lontana dal misurato equilibrio dei classici (Haydn e Mozart in primis) ed è invece influenzata dalla libertà formale che percorre l’ultima produzione quartettistica di Beethoven. La tristezza di questa musica, composta senza soluzione di continuità, seguendo i meandri di una disperata meditazione sul dolore e sulla morte, si è colta – complici il bel suono, la perfetta intesa, il giusto accento, sfoggiati dagli interpreti – fin dall’inizio, quando sullo scarno ostinato del violoncello si stagliano le lunghe lamentose note dei violini, che a tratti non trattengono qualche grido di dolore. Si instaura poi un dialogo tra gli strumenti, fatto di un mutuo scambio di cellule tematiche, che a tratti assumono un carattere vagamente cantabile sopra una fitta trama di sottofondo intessuta dal violoncello. La composizione – che per il tono meditativo e raccolto non può non evocare le haydniane Sette ultime parole del nostro redentore sulla croce, per quartetto, si conclude in modo spoglio con la ripresa dell’ostinato iniziale del violoncello.
Più strutturato il Quatuor à cordes en mi mineur op. 16 di Albéric Magnard, un compositore ragguardevole, la cui unica “colpa”, per così dire, è quella di essere stato contemporaneo di Ravel. Magnard era un personaggio di carattere, su cui vale la pena spendere qualche parola per metterne in luce la mentalità aperta e senza pregiudizi. Ad esempio, il compositore affidò l’esecuzione della sua Terza sinfonia ad un’orchestra formata in maggioranza da donne, ponendosi fuori dagli schemi dell’epoca; inoltre prese posizione a favore di Alfred Dreyfus schierandosi dalla parte della Francia democratica, così come fece pubblicare le sue opere da una piccola tipografia gestita da comunisti. Venendo al suo quartetto, composto tra il 1902 e il 1903 ed eseguito presso la sede della Société nationale de musique il 19 marzo 1904 – dunque nello stesso periodo in cui circolava il quartetto di Ravel, da cui quello di Magnard fu ingiustamente eclissato – , anche in questo lavoro si coglie l’influenza di Beethoven per la libera concezione della forma ed il gusto dei contrasti. È un pezzo difficile, che richiede concentrazione nell’esecuzione quanto nell’ascolto. Forse questa difficoltà nasce dal fatto che Magnard era un musicista poliedrico con qualche aspetto, almeno apparentemente, contraddittorio: adorava Wagner, ma nella sua musica non si coglie praticamente nulla del cromatismo esasperato del Tristano; così come è assente ogni influenza impressionistica di matrice debussyana. È dunque un musicista fondamentalmente tonale e le dissonanze che compaiono nelle sue opere –anche nel quartetto di cui ci occupiamo –, derivano più che altro dal gioco contrappuntistico, in cui Magnard era un maestro, così come era, a suo modo, un eccellente melodista in un’epoca in cui la melodia appariva al tramonto.
La maggiore “regolarità” del quartetto di Magnard è testimoniata – oltre che dalla suddivisione in movimenti – dalla presenza nel movimento iniziale (denominato non a caso Sonate) di due gruppi tematici: il primo vigoroso e appassionato, sprizzante energia, ritmica e interiore nello stesso tempo, mentre il secondo è languidamente malinconico. Il movimento, inoltre, rivela una densità di scrittura, una continua interazione tra le voci, la presenza di una forma dilatata da una particolare ricchezza e ridondanza del discorso musicale, che non possono non far pensare all’ultimo Beethoven. Il secondo movimento, Serenade, è abbastanza eccentrico: nervoso e insieme etereo, risulta essere molto più Scherzo che Serenata, oltre a contenere – fatto alquanto singolare per una Serenata – pagine caratterizzate da un denso contrappunto. Il movimento lento, Chant funèbre, ha un’ampiezza bruckneriana: generalmente molto cupo, termina – ancora un contrasto – con una sorta di diafana rêverie intrisa di spiritualismo. Un finale brillante ed esuberante, dal titolo Danses, presenta una serie di danze popolari, e poi un valzer stranamente accompagnato da una scrittura fugata, a creare quasi un ossimoro tra la frivolezza della danza più tipica dei salotti mondani e lo stile severo del contrappunto. Inutile ribadire che anche nell’esecuzione del lavoro di Magnard i giovani solisti del Quatuor Ellypse hanno dato il meglio di sé, confermando la perfetta intesa, la rigorosa precisione nelle pagine contrappuntistiche, la particolare sensibilità per il timbro: aspro e brillante nelle acute accensioni del sentimento, morbido e pacato negli squarci lirici o meditativi (come si è potuto apprezzare, ad esempio, nell’esecuzione dei contrasti tematici del primo movimento). Successo caloroso, ma niente bis.