Teatro Regio – Stagione Lirica 2014/2015
“OTELLO”
Dramma lirico in quattro atti di Arrigo Boito dall’omonima tragedia di William Shakespeare
Musica di Giuseppe Verdi
Otello GREGORY KUNDE
Jago AMBROGIO MAESTRI
Desdemona ERIKA GRIMALDI
Cassio SALVATORE CORDELLA
Roderigo LUCA CASALIN
Lodovico SEUNG PIL CHOI
Montano EMILIO MARCUCCI
Un araldo LORENZO BATTAGION
Emilia SAMANTHA KORBEY
Orchestra e coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Gianandrea Noseda
Regia Walter Sutcliffe
Scene Saverio Santoliquido
Costumi Elena Cicorella
Coreografia Hervé Chaussard
Luci Rainer Casper
Maestro del coro Claudio Fenoglio
Maestro del coro di voci bianche Paolo Grosa
Nuovo allestimento
Torino, 26 ottobre 2014
Il primo titolo operistico della nuova stagione del Teatro Regio dopo la pre-apertura affidata al Requiem e ancora nel segno della piena maturità verdiana questa volta con Otello che torna a Torino dopo una lunga assenza, dal 1997 se si considerano le poche seppur straordinarie recite diretta da Claudio Abbado con i Berliner Philarmoniker e addirittura dal 1981 per quanto riguarda le produzioni regolari. Un ritorno per altro per altro non totalmente convincente per la mancanza di omogeneità fra le varie componenti in cui si alternavano elementi di altissima qualità ad altri che hanno suscitato maggiori perplessità.
Elemento di punta della produzione è stata la direzione di un Gianandrea Noseda, in autentica giornata di grazia e ci si augura con tutto il cuore che questo possa servire come augurio per il superamento definitivo delle tensioni esistenti nell’organigramma del teatro e che il tutto possa giungere a felice conclusione. Noseda non sempre ha entusiasmata come direttore verdiano ma con Otello ha trovato un titolo ideale per le sue corde espressive. Splendidamente accompagnato dall’orchestra del Teatro Regio, Noseda ha offerto una lettura magistrale dell’estremo capolavoro verdiano. Poche altre volte si è sentita l’orchestra del Regio letteralmente cantare con tanta intensità e tanto splendore sonoro, la cura sulle singole sezioni è di assoluto rigore – splendido il trattamento degli archi – e l’intera opera scorre come un unico trascinante fiume sonoro in cui pur senza nessun sacrificio dei momenti più scopertamente drammatici – dalle lamine di suono della tempesta al magmatico ribollire che accompagna “Si pel ciel marmoreo giuro” – a dominare è il flusso complessivo che trova nei momenti di maggior abbandono lirico o di più profonda ma interiorizzata sofferenza – quanta poesia nell’accompagnamento orchestrale al “A terra!…Si!…Nel livido fango” di Desdemona – che culminano nello struggente finale con l’ultimo addio di Otello alla sposa di una dolcezza estenuata e affascinante, infinitamente più coinvolgente di ogni forza belluina.
Come ricordato l’orchestra ha risposto pienamente alle richieste del direttore testimoniando il profondo legame che unisce gli orchestrali torinesi a Noseda e che sarebbe ben triste andasse perduto. Altrettanto positiva la prova del coro che si conferma una delle migliori compagini italiane, per l’occasione rinforzato dal Coro di voci bianche diretto da Paolo Grosa.
La lettura di Noseda può andare pienamente in porto anche grazie alla disponibilità di un protagonista di non comune sensibilità come Gregory Kunde, non solo l’Otello di riferimento dei nostri giorni ma una cantante destinato a lasciare un segno non piccolo nella storia interpretativa del ruolo. La voce di Kunde è sicuramente particolare, non bella nel senso classico del termine ma dotata di una specifica personalità che la rende immediatamente riconoscibile e di grandi doti espressive, inoltre la proiezione è impeccabile e questo unito alla naturale ricchezza di armonici da alla sua voce una presenza teatrale in vero considerevole. L’ascendenza belcantista di Kunde lo porta ad un’attenzione puntuale e meticolosa di tutti gli aspetti della partitura riuscendo a far risaltare tutta una serie di dettagli scritti da Verdi ma che troppo spesso vengono sacrificati in nome di un’imponenza troppo spesso alquanto superficiale mentre Kunde risolve il ruolo nella musica e nel canto e mai contro o al di fuori di essi. L’”Esultate” è più squillante che potente, si sente più l’eroe del barbaro furioso, qui Otello è veramente il guerriero dai sublimi ardimenti che hanno presente i nobili veneziani. E se è quasi inutile dire come in una lettura di questo tipo i momenti più lirici è cantabili emergano in tutte le loro possibilità ma anche dove il dramma si fa più cupo e manifesto la sincerità espressiva dell’Otello di Kunde con il suo progressivo scivolare fra le braccia dell’idra fosca più per debolezza che per ferocia naturale fino al tracollo finale dove di fronte al delitto Otello riscopre la sua profonda e sofferta umanità che Kunde rende con l’infinita dolcezza con cui sono pronunciate le ultime frasi.
Il resto del cast non si pone purtroppo sullo stesso livello. Ambrogio Maestri avrebbe le possibilità per essere uno Jago interessante, l’aspetto e il fare bonario e naturalmente simpatico danno sicuramente più credibilità al ruolo rispetto una figura perennemente corrucciata e con la bava alla bocca. Inoltre la voce è dotata di notevole potenza solo che il controllo non è sempre perfetto e gli acuti tendono a sconfinare nell’urlo inoltre manca la leggerezza e la sensibilità che momenti come il sogno del secondo atto o il terzetto del terzo richiederebbero e per quanto l’orchestra di Noseda sia veramente più trasparente e leggera di una ragnatela la prova vocale del cantante resta più prosaica. Va comunque riconosciuto che nonostante i limiti – per altro ben noti – Maestri riesca a portare a casa un personaggio credibile.
Troppo fragile la Desdemona di Erika Grimaldi, voce di soprano lirico ma priva di particolari seduzioni timbriche, di quella luminosità e morbidezza che Desdemona dovrebbe esprime come proprio tratto peculiare; inoltre la voce manca di corpo e presenza e se i momenti più lirici del I e II atto in qualche modo sono portati a casa in “Dio ti giocondi o sposo” e nel finale del III atto manca di peso specifico risultando poco efficacie o trovandosi costretta a forzare scivolando nell’urlo e perdendo unità della linea di canto (“Esterrefatta fisso…”) mentre il IV atto pur correttamente cantato passa senza particolari emozioni. Scenicamente è piacevole e si muove con eleganza ma ciò non basta a risollevare le sorti complessive della prestazione.
Buona linea di canto anche se con poca personalità il Cassio di Salvatore Cordella, solidamente professionale il Lodovico di Seung Pil Choi, sempre efficace Luca Casalin come Roderigo mentre sostanzialmente anonimo il Montano di Emilio Marcucci. Fin troppo flebile, tanto da non riuscirsi spesso a sentire l’Emilia di Samantha Korbey, il che suscita qualche preoccupazione per i prossimi ruoli in cui sarà impiegata in stagione; completava il cast l’araldo di Lorenzo Battagion.
Totale delusione invece dalla parte visiva. Di rara povertà l’impianto scenico di Saverio Santoliquido, tra grandi muri di sacchi sovrapposti simili a pietre a metà fra la fortezza e la trincea macchiati di sangue e chiamati a muoversi per definire di diversi ambienti della vicenda sono tutto ciò a cui si riduce di fatto la scenografia se si esclude qualche limitato elemento d’arredo – una sedia, un letto, una pergola mobile. Non meglio i costumi di Elena Cicorella, l’idea di fondo era quella di insistere sulla natura atemporale della vicenda e in ciò non vi è nulla di male ma forse il modo migliore per evocarla non è mischiare elementi stilistici diversi in modo stridente come purtroppo qui si è fatto: ed ecco i soldati veneziani che portano i pantaloni in tessuto mimetico – su base azzurra anziché in quella più canonica verde – e gli anfibi insieme a corazze che per essere trattate in modo astratto vengono a sembrare quelle di certi “anime” giapponesi di fantascienza e neppure dei migliori; Otello che riceve gli ambasciatori a torso nudo – ma completamente tatuato – vestito solo con un pastrano bianco macchiato di sangue ma raggiunge la moglie in camera da letto con la corazza completa; Desdemona in vestito arancio con decorazioni a fiorellini rossi, Roderigo che sembrava l’Edmondo della Manon Lescaut senza che tutto questo trovasse particolari ragioni.
Ma se possibile ancora più deludente la regia di Walter Sutcliffe. Da un inglese ci sia aspetterebbe una naturale vicinanza con il mondo di Shakesperare e considerando la sua formazione con David McVicar si potevano nutrire attese di una regia interessante; purtroppo nulla di tutto questo, anzi manca praticamente una vera regia. Sutcliffe non interviene sui dettagli degli attori – siano all’antitesi di McVicar dove ogni minimo gesto e sapientemente studiato – mentre qui tutti sembrano lasciati a se stessi, inoltre appare evidente un’assoluta incapacità di muovere le masse così che durante la tempesta è solo un correre senza senso dei figuranti e nel finale terzo non si trova soluzione migliore che far voltare tutti verso il muro quando Otello getta a terra Desdemona.
Quando il regista prova a fare qualche cosa il tutto tende a ridursi a scene estemporanee spesso di cattivo gusto – i prigionieri turchi pugnalati da Jago subito dopo l’”Esultate”, gli espliciti richiami sessuali durante “Fuoco di gioia” – oppure drammaturgicamente stridenti come le uccisioni in scena di Emilia – presente in Shakespeare ma assente in Verdi – e soprattutto di Jago.
Deludenti anche le luci di Rainer Casper che dopo qualche buon effetto nella tempesta e nella seguente scena della taverna alla luce delle fiaccole si adagiano su un’alternanza di luce piena – mezza luce spesso senza alcuna modifica per decine di minuti. Un’occasione mancata su questo piano, la straordinaria direzione di Noseda e la prova musicale complessivamente molto buona avrebbero meritato di meglio. Foto Ramella & Giannese