Torino, Teatro Regio – I Concerti 2014-2015
“Aimez-vous Brahms?” (IV Concerto)
Orchestra del Teatro Regio di Torino
Direttore Gianandrea Noseda
Violino Ilya Gringolts
Violoncello Enrico Dindo
Johannes Brahms : Doppio concerto in la minore per violino, violoncello e orchestra op. 102
– Sinfonia n. 4 in mi minore op. 98
Torino, 25 ottobre 2014
Il titolo del romanzo di Françoise Sagan del 1959, divenuto film due anni più tardi, gode recentemente di discreta fortuna presso le stagioni concertistiche italiane: tra Milano e Torino intitolava un filone all’interno di MI.TO. 2014, e ora – sempre a Torino – scandisce i primi quattro appuntamenti dei Concerti 2014-2015 del Teatro Regio: un ciclo interamente affidato a Gianandrea Noseda (non più dimissionario dal ruolo di Direttore musicale del teatro, anzi più impegnato che mai nel fitto calendario di produzioni), costruito sull’esplorazione delle quattro sinfonie e dei quattro concerti per strumenti solisti e orchestra.
Il doppio concerto dell’op. 102 non è fra le pagine brahmsiane eseguite più spesso (almeno, in Italia); ed è una perdita, perché oltre a offrire una musica che non smette mai di essere elettrizzante, costituisce esempio eccezionale di un genere a mezza via tra il concerto solistico, la sinfonia concertante, la sinfonia vera e propria; e come la IV (del 1885), anch’esso rientra nella produzione conclusiva di Brahms, prendendo forma nel 1887 a beneficio di due amici del compositore, il violinista Joseph Joachim e il violoncellista Robert Hausmann.
I suoni dei strumenti principali sono molto differenziati: non si fondono mai, ma si intrecciano assai bene; e sono straordinarie le “personalità sonore” del violino (uno Stradivari risalente al 1718-1720 messo a disposizione da un collezionista privato) e del violoncello (un Rogeri, ex Piatti, del 1717 messo a disposizione dalla Fondazione Pro Canale di Milano). Al di sopra di tutti, Noseda è un ottimo concertatore: il tema orchestrale dell’Allegro di apertura è raggiunto a seguito di una presentazione drammatica, curata nel dettaglio espressivo. Ogni tanto l’abbrivio ritmico si trasforma in rapidità, ma questo non stupisce chi conosca Noseda e le sue predilezioni agogiche. I due interpreti principali, Ilya Gringolts al violino ed Enrico Dindo al violoncello, porgono il loro contributo come due voci emergenti dall’orchestra, in uno spirito autenticamente sinfonico. Caldo e sinuoso il suono di Dindo; nervoso e a scatti quello di Gringolts; ma tutti e due realizzano un vibrato molto efficace quale carattere stilistico unificante. Il violoncello presenta più tinte rispetto al violino, da quella brunita a quella più chiara. L’Andante centrale (il cui attacco non è del tutto terso) è il movimento in cui meglio si esprime il dialogo tra i due strumenti: emerge un Brahms privo di sofferenza, per quanto intensa e accurata sia l’esecuzione. Se risulta difficile ravvisare un intendimento interpretativo netto, il finale Vivace non troppo chiarisce tutto: grazie a Dindo e ai corni dell’Orchestra del Teatro Regio, è bellissimo l’attacco, seguito da un dialogo vivacissimo, brillante, persino ironico, tra violino e violoncello, utile a sfatare il mito opprimente di un Brahms eternamente languido e doloroso, decadente e larmoyant, morbosamente cupo. La coda è spettacolare, perché il dialogo a due si amplia alle voci del flauto, del corno, fino a coinvolgere tutte le famiglie in una stretta autenticamente sinfonica.
Alle prolungate acclamazioni del pubblico torinese i due solisti rispondono con un bis di gusto bachiano, un duetto in forma di canone, eseguito con assoluta compostezza: altro motivo di un successo calorosissimo, che scandisce anche la seconda parte della serata. A suggello dell’intero ciclo è infatti la IV sinfonia in mi minore, una delle pagine più rappresentative del sinfonismo tardo-ottocentesco in risposta al wagnerismo, caratterizzata da una «malinconia velata e padroneggiata virilmente, che acquista qui il carattere di un lungo congedo, sempre differito» (come scrive Elisabetta Fava nella bella presentazione del programma di sala). Dopo un attacco un po’ pesante, Noseda risolve il difficile Allegro non troppo iniziale con sonorità e ritmo perfetti: è bravissimo nel punteggiare i suoni degli ottoni, e dimostra un’arte davvero pregevole nella collocazione degli accenti giusti. Il suono orchestrale alterna momenti di grande omogeneità ad altri in cui si percepiscono tutte le componenti; e in entrambi i casi l’esito è molto positivo, perché l’ascoltatore apprende sempre qualcosa di nuovo (anche se, nell’enfasi del finale I, si registra qualche piccola défaillance degli ottoni). Nell’Andante moderato il direttore mantiene una sonorità molto equilibrata, anche se il suono dei corni resta per lo più in evidenza: insieme al rullo dei timpani sullo sfondo, esso sottolinea l’allure umbratile di tutta la sinfonia. Coloristico e scoppiettante (persino nei colpetti del triangolo!) l’Allegro giocoso dello scherzo; ma ancor più interessante è il finale, Allegro energico e passionato, in primo luogo perché Noseda conferma l’attenzione nei confronti di accenti e dinamiche, e poi perché risolve con grande intelligenza l’impostazione del complicato movimento. Il finale della IV sinfonia di Brahms è infatti una pagina inquietante, percorsa com’è dagli sforzi sovrumani di un gigante che tenta di liberarsi dalle sue catene; un tentativo di ribellione a qualunque vincolo della struttura sinfonica tradizionale. Ci si aspetterebbe che il titanismo brahmsiano si adattasse in modo perfetto all’energia e alla forza direttoriale tipiche di Noseda; alla prova di forza si sostituisce invece un’attenzione nei confronti delle forme più liriche, delle frasi più dolorose; il titanismo si sprigiona, ma soltanto nella coda, ed è quello di una creatura che non riesce a spezzare le sue catene. L’ascoltatore melomane, riflettendo sul duplice impegno direttoriale di Noseda in questi giorni, si chiede se non abbia influito la dolente potenza dell’Otello (e in particolare del finale dell’opera). Sarebbe infatti molto suggestivo se la lettura dell’eroico, eppur fragile eroe – a cui dà voce Gregory Kunde – avesse plasmato verdianamente anche il suono di Brahms: e così sembrerebbe appunto dalla coda nell’interpretazione di Noseda, certamente grandiosa (tipica indicazione espressiva di Verdi) ma niente affatto retorica o magniloquente; in una parola, ineluttabile, come ogni fine autentica e voluta.