Milano, Teatro alla Scala – Recital di canto 2013/2014
Basso-baritono Bryn Terfel
Pianoforte Malcolm Martineau
Robert Schumann: “Die beiden Grenadiere” op. 49 n. 1; “Widmung” op. 25 n. 1; “Du bist wie eine Blume” op. 25 n. 24; “Mein Wagen rollet langsam” op. 142 n. 4
Franz Schubert : “Liebesbotschaft” D 957 n. 1; “Am Tage aller Seelen” (Litanei auf das Fest aller Seelen) D 343; “Auf dem Wasser zu singen” D 774; “Gruppe aus dem Tartarus” D 583
John Ireland : “Sea Fever”; “Vagabond”; “The Bells of San Marie”
Frederick Keel : “Three Salt-Water Ballads” (1. Port of many Ships; 2. Trade Winds; 3. Mother Carey)
Roger Quilter : “Now Sleeps the Crimson Peta”l op. 3 n. 2; “Weep You No More”, “Sad Fountains” op. 12 n. 1; “Go, Lovely Rose” op. 24 n. 3; “Fair House of Joy” op. 12 n. 7
Jacques Ibert : “Quatre Chansons de Don Quichotte” (1. Chanson du départ; 2. Chanson à Dulcinée; 3. Chanson du Duc ; 4. Chanson de la mort)
Milano, 28 settembre 2014
Bryn Terfel è capace di trasformare un recital liederistico in uno show, con gags, aneddoti, cascata finale di brani fuori programma, crescente entusiasmo di pubblico, interminabile ovazione finale. A voler essere molto maligni si potrebbe dire che nell’ultimo concerto vocale della Scala c’era davvero di tutto, e tutto ha provocato un gran successo; proprio tutto era comunicativo, dirompente, simpatico, persuasivo; tutto, tranne la voce.
Non è affatto un giudizio negativo; anzi, la battuta probabilmente piacerebbe allo stesso Terfel, il quale ha presentato con tipico sense of humour la scelta di Lieder schubertiani, i suoi amati English Songs, i sei bis conclusivi. Di origini gallesi, da venticinque anni sulle scene operistiche, vincitore di premi internazionali e di riconoscimenti musicali d’ogni genere, Bryn Terfel è ovviamente un professionista abilissimo; ma sa far valere il proprio mestiere con mezzi anche non vocali, come la comunicatività corporea e l’indubbia simpatia di affabulatore e intrattenitore.
In Schumann la voce si presenta sin da subito compatta, omogenea, ben timbrata, anche se non sembra che l’interprete si impegni più di tanto. Forse a causa dell’iniziale – tipica – freddezza, gli acuti non sono sempre ben coperti. La successiva quaterna schubertiana è preceduta da una prima presentazione autobiografica (in inglese, come tutte le altre): Terfel si diffonde sulla sua frequentazione ventennale dei Lieder romantici, condotta insieme al pianista Malcolm Martineau. Il quale ha sicuramente in Schumann e in Schubert il suo repertorio d’elezione (magnifiche, per esempio, le modulazioni di Aus dem Wasser zu singen, Da cantarsi sull’acqua). Nelle messe di voce prolungate Terfel perde smalto, forse per una questione di respirazione. In Gruppe aus der Tartarus (Gruppo dal Tartaro, su versi di Schiller dall’immaginazione dantesca) il fraseggio non è elegantissimo: più che di un liederista, sembra quello di un sanguigno Alberich che risale dall’abisso. In effetti, di fronte a tanti bassi-baritoni imitatori di Fischer-Dieskau, è innegabile che Terfel imbocchi una strada interpretativa differente; forse un po’ troppo “colloquiale”, forse un poco superficiale, ma senza dubbio spontanea, genuina. Nella serie di English Songs (anche incisi in disco, con lo stesso Martineau al pianoforte) alla freschezza della presentazione si accompagnano purtroppo una certa sguaiataggine negli acuti, e in generale un’impostazione vocale che si avvicina molto al parlato. Del resto, le Tre ballate dell’acqua salata di Frederick Keel sono esempio di quel canto inglese corrispondente dello Sprechgesang tedesco (meno intellettualistico), che non abbandona mai un facile melodismo, ben lontano anche da Britten. Il sillabato virtuosistico di The Bells of San Marie (Le campane di Santa Maria) afferma Terfel come interprete ideale di tale repertorio; e il pubblico – una cui sostanziosa componente è anglosassone – accoglie con grandiosi apprezzamenti la triplice serie di Ireland, Keel, Quilter.
A concludere il programma ufficiale sono le Quatre Chansons de Don Quichotte, di Jacques Ibert: è lo stesso Terfel a raccontare la storia di queste quattro perle vocali, commissionate dal regista tedesco Georg Wilhelm Pabst per un film interpretato dal basso russo Fëdor Šaljapin (famoso per essere cantante-attore, a volte attore-cantante; per questo Terfel si compiace di citarlo più d’una volta, e di suggerire implicitamente un’assunzione a modello). Giocando sugli spagnolismi armonici, l’artista sottolinea l’ironia della composizione – addirittura la parodia delle vicende del Qujxote -, mentre il legato delle frasi e i difficili melismi di Ibert non sono sempre risolti in modo irreprensibile.
Si sa che nell’opera i tenori sono considerati “bravi ragazzi”; Terfel si compiace invece di assumere le parti dei bad boys, appunto i bassi-baritoni, di cui presenta un’intera galleria con i sei fuori programma dopo le acclamazioni del pubblico (Bad Boys è appunto il titolo di un album che il cantante ha pubblicato per Deutsche Grammophon nel 2010). Ed ecco la serie completa dei brani che hanno completato il programma di Milano: 1) Kurt Weill, Die Dreigroschenoper (Morotat von Mackie Messer: tocca l’apice quella sorta di risparmio dei mezzi vocali e avvicinamento dell’emissione in maschera al parlato; pianista favoloso nella crudezza espressionista dell’accompagnamento). 2) Arrigo Boito, Mefistofele («Son lo spirito che nega», ossia la famosa Ballata del fischio: apprezzabile lo sforzo di fraseggiare in italiano, ma lo stile veristico di questo Mefistofele è vecchio di almeno cinquant’anni. Eppure il pubblico va in visibilio per i fischi sonorissimi che Terfel modula …). 3) American Song degli Anni Trenta (un numero da perfetto caratterista). 4) Wesh Song: All Through the Night (anche inciso da Terfel: molto delicato e suggestivo). 5) Giuseppe Verdi, Otello («Credo in un dio crudel»: note basse un po’ troppo schiacciate; ma quel che preoccupa di più è l’intonazione discontinua). 6) Il gran finale avrebbe dovuto essere «Deh, vieni alla finestra» dal Don Giovanni; ma Terfel dice, piuttosto divertito, che nel fascio di spartiti del pianista non si trova più la musica di Mozart; e allora, come se la sostituzione fosse la più naturale e prevedibile del mondo, decide di chiudere con Wagner, con il trionfale ingresso di Wotan nel Walhall, dal finale del Rheingold («Abendlich strahlt der Sonne Auge», cantato in effetti molto bene, perché Wotan è uno dei ruoli preferiti e più congeniali a Terfel). Da Schumann a Wagner, attraverso canti popolari e tradizionali, in un percorso poliglotta di almeno quattro lingue nazionali; autori noti e meno noti, in una scelta di contenuti originale, brillante, ironica; il tutto condito di arguzie e battute, di ammiccamenti e recitazione enfatica; bisogna davvero ammettere che, se anche la tecnica vocale non è perfetta, il coinvolgimento della serata liederistica è notevole. E il pubblico della Scala fa capire molto bene di essersi assai divertito. Foto Rudy Amisano © Teatro alla Scala