Bruxelles, Théâtre La Monnaie – Stagione 2014/2015
“DAPHNE”
Tragedia Bucolica in un atto su libretto di Joseph Gregor
Musica di Richard Strauss
Peneios IAIN PATERSON
Gaea BIRGIT REMMERT
Daphne SALLY MATTHEWS
Leukippos PETER LODHAL
Apollo ERIC CUTLER
Erste Magd TINEKE VAN INGELGEM
Zweite Magd MARIA FISELIER
Erster Schäfer MATT BOHELER
Zweiter Schäfer GIJS VAN DER LINDEN
Dritter Schäfer KRIS BELLIGH
Vierter Schäfer JUSTIN HOPKINS
Orchestra sinfonica e coro maschile del Théâre La Monnaie
Direttore Lothar Koenigs
Maestro del Coro Martino Faggiani
Regia Guy Joostens
Scene Alfons Flores
Costumi Moritz Junge
Luci Manfred Voss
Video Franc Aleu
Coreografia Aline David
Nuova produzione
Bruxelles, 27 settembre 2014
Per celebrare il 150.mo anniversario della nascita di Richard Strauss, il Th. La Monnaie ha scelto di mettere in scena “Daphne”, in un’ interpretazione “attualizzata” affidata alla regia di Guy Joostens, già noto al pubblico brussellese per i suoi allestimenti di Elektra e Salomè. Con “Daphne”, rappresentata per la prima volta a Bruxelles, si apre la stagione 2014/2015 del teatro La Monnaie, che ha come filo conduttore i sette vizi capitali. In questo contesto, l’opera di Strauss è assunta a simbolo dell’accidia, il ritirarsi dal mondo, l’incapacità di scegliere.
Guy Joostens sceglie di dare alla tragedia bucolica di Daphne un’ambientazione contemporanea, in cui la protagonista è un’adolescente un po’ ribelle dai capelli verdi e i pastori sono trasformati in giovani yuppies che lavorano nei mercati finanziari ed entrano in scena con il tablet in mano e il telefonino all’orecchio. Il palcoscenico è dominato da una grande scala centrale e due scale laterali, tutte in ferro grigio scuro (la scena è firmata da Alfons Flores). Queste forme squadrate, rigide, poco attraenti, che sembrano alludere al mondo arido della finanza, contrastano con il gigantesco albero dalle ramificazioni imponenti che domina il fondo della scena, e sul quale sono proiettate immagini floreali e verdeggianti con effetti suggestivi. É il mondo di Daphne, il grande albero dove la giovane cerca rifugio al finire del giorno. Il contrasto è ben riuscito, anche se visivamente non piacevolissimo. Questo tipo di scena tuttavia impone al regista alcune scelte che hanno conseguenze sulla riuscita complessiva dello spettacolo. Il coro è costretto a muoversi solo ai due lati della grande scala centrale, e l’azione risulta spezzata e poco fluida, vagamente caotica, e sostanzialmente slegata dal dramma che si svolge tra i personaggi principali. Ma soprattutto, il fatto di aver piazzato le scale nella parte avanzata della scena e dietro ad esse il grande albero amato da Daphne sposta l’azione verso il fondo del palcoscenico e la porta in alto. Daphne esordisce con il bellissimo monologo “O bleib, geliebter Tag” cantando quasi dalla cima dell’albero, in posizione arretrata rispetto alla platea, e questo non favorisce la resa vocale e drammatica. L’interpretazione “contemporanea” di Joostens si percepisce anche in altre scelte di regia, come Gaea ubriaca, Peneios che rotola giù dalle scale dopo un bicchiere di troppo, Leukippos un po’ troppo caricaturale che dà pacche sul sedere alle ancelle, e i satiri mascherati alla festa di Dioniso con attributi priapeschi. I costumi di Moritz Jungeo sono macchie di colori molto decisi contro il grigio della scalinata. Leukippos veste un completo in due tonalità di rosa, Gaea è fasciata in un abito giallo limone, le ancelle indossano abiti dai colori sgargianti. Lo stesso personaggio nella seconda parte dell’opera deve assolvere al compito ingrato di indossare l’abito destinato a Daphne, un vestito da sera lungo color blu elettrico che lascia spalle e braccia nude. L’impressione è che il regista abbia un po’ calcato la mano nel rendere il mondo che circonda Daphne particolarmente sgradevole e fatuo. La scena finale della metamorfosi, così difficile da rendere sul palcoscenico, merita una menzione a parte. Esce in scena il coro con delle fiaccole, Daphne scappa arrampicandosi sul tronco d’albero seguita da Apollo. Il coro da fuoco all’albero, Daphne sparisce dietro al tronco, in alto, e per quasi tutto il brano non è visibile, mentre l’albero brucia e la scena si svuota. Riappare in carne e ossa per i vocalizzi finali, capovolgendo la rappresentazione tradizionale della scena. Tutti questi elementi ulteriori rispetto al libretto, il coro, Apollo che insegue Daphne, l’albero che brucia, effettivamente distolgono l’attenzione da quello che dovrebbe essere il momento più poetico di tutta l’opera, la fusione di Daphne con la natura, il suo dissolversi come creatura di carne e la sua rinascita nell’albero di alloro.
Lothar Koenigs dirige l’orchestra con energica maestria, ma tende ad eccedere in magniloquenza a scapito non solo delle sfumature più emotive della partitura, ma anche delle voci di frequente sommerse dal magma orchestrale. Sappiamo che Strauss ha una visione fortemente sinfonica dell’opera, ma in questo caso non sempre si poteva valutare in modo compiuto l’emissione e il fraseggio. Peccato, perché alcune voci avrebbero meritato un risalto diverso e tutto lo spettacolo ne avrebbe giovato. Domina il cast, per sensibilità interpretativa ed esecuzione vocale, Eric Cutler (Apollo) un tenore dalla voce imponente ma allo stesso tempo morbida, il più adatto alla parte nel cast e il destinatario degli applausi più sentiti. La Daphne di Sally Matthews risalta soprattutto negli aspetti più prettamente lirici del personaggio (ad esempio il lamento per la morte di Leukippos), dove raggiunge sfumature commoventi, che fanno dimenticare un non perfetto controllo del registro acuto tendenzialmente teso e stridulo. La si apprezza nel duetto con Apollo, dove trova una bella intensità drammatica (anche se la gestualità dei due cantanti è poco convincente) mentre nella scena clou dell’opera, ossia la metamorfosi, la Matthews, di certo non aiutata dalla direzione e nemmeno dalla regia, appare in evidente “affanno”. Il tenore danese Peter Lodahl ha un bel timbro, apprezzabile linea di canto e convince nella recitazione di un Leukippos più frivolo di quel che ci si aspetterebbe. Anche nel suo caso, le parti più drammatiche dell’opera lo vedono non propriamente a suo agio. Autorevole il basso Iain Paterson (Paneios). Apprezzabile Birgit Remmert (Gaea) benchè non abbia la voce di contralto che la parte richiede. Buoni gli altri, in particolare le vivaci due ancelle interpretate da Tineke Van Ingelgem e Maria Fiselier. Ottime le prove dell’orchestra e del Coro del La Monnaie, quest’ultimo diretto da Martino Faggiani.
In conclusione, se da un lato vale sempre la pena seguire con interesse gli allestimenti del La Monnaie, coraggiosi per innovazione e sperimentazione, dall’altro questa trasposizione di “Daphne” in chiave contemporanea suscita qualche perplessità, che è sembrata condivisa anche dal pubblico. Foto Karl & Monika Foster