National Center of Performing Arts (NCPA) – Stagione Lirica 2014
“NORMA”
Tragedia lirica in due atti di Felice Romani da “Norma ou l’infanticide” di Luois-Anthoine-Alexandre Soumet
Musica di Vincenzo Bellini
Norma RACHELE STANISCI/SUN XIUWEI
Pollione ANDEKA GORROTXATEGI/WARREN MOK
Oroveso ROBERTO SCANDIUZZI/TIAN HAOJIANG
Adalgisa SONAI GANASSI/YANG GUANG
Flavio WANG CHONG/YU YONGZHAO
Clotilde ZHANG XIN/ZHANG HAO
Orchestra e Coro del NCPA
Direttore Renato Palumbo
Regia e scene Pier’Alli
Costumi Simona Morresi
Luci Franco Marri
Videoproiezioni Sergio Metalli
Coreografie Alessandra Panzavolta
Assistente alla regia Nicola Zorzi
Assistente alle scenografie Michele Ricciarini
Pechino, 11-12-13-14 Settembre 2014
Che ai cinesi piacesse l’opera occidentale lo si era intuito dal recente frenetico moltiplicarsi di avveniristici templi a prova di melodramma in alcune delle maggiori città della Terra di Mezzo. Guangzhou Opera House, Tianjin Grand Theatre sono sole le ultime novità architettoniche a contendersi il primato di bellezza e grandiosità dopo Shanghai e Beijing. Se ai più scettici sarebbe potuto sembrare semplicemente uno sfoggio di opulenza o un rilancio culturale pilotato dal governo, le ovazioni di un pubblico estasiato dopo le performance di Norma al National Centre of Performing Arts di Pechino, dissipano ogni dubbio: la domanda esiste ed è fatta di persone innamorate dell’opera. Uno di quegli amori che iniziano con energia ed entusiasmo, il ricordo giovane e frizzante delle nostre poltrone ormai ingrigite dall’età e rassegnate alle produzioni a stecchetto. Come tutti i primi amori però, a volte incespica per alcune inesperienze: un pubblico bacchettato dal direttore d’orchestra per qualche brusio di troppo in un cambio scena frainteso con l’intervallo, qualche eccitato applauso al momento sbagliato che interrompe le ultime note dell’aria, dei look da prima che, senza voler risultare superficiali, non rientrano tra gli iponomi di eleganza imposti dal nostro bon ton. Ma è un’ingenuità che fa sorridere e costringe a mettere in discussione una tradizione e il sistema che l’ha coltivata, in favore di un’apertura spesso rallentata da inutili retaggi vanagloriosi.
Lo sa bene il consulente per l’opera Giuseppe Cuccia, anima della programmazione operistica al NCPA che, prima di proporre le opere che il teatro metterà in scena, deve mettersi sempre dalla parte di chi Bellini lo ascolta per la prima volta. Difficile quindi non cadere nella scorciatoia del propinare “l’opera di massa” senza sviluppare la tradizione e rallentare quello che ha tutta l’aria di essere soprattutto un progetto di formazione collettivo.
Così ad affiancare Turandot e Traviata ecco che la sfida di Norma diventa un tassello di un disegno più grande, un rischio da correre per capire se è il pubblico è pronto, se la via intrapresa è quella giusta. E la risposta è straordinariamente affermativa, sono gli applausi a confermarlo.
Certo, il team creativo e i cast prescelti per il debutto cinese del dramma belliniano lasciavano ben sperare. Un banco di prova per la perla di vetro la regia ricercata di Pier’Alli, in equilibrio tra un allestimento apparentemente tradizionale in linea con i canoni che si prediligono in oriente, ma, ad una lettura più avveduta, ricco di sottigliezze emblematiche.
Le scene raccontano le coscienze dei personaggi attraverso una simbologia onirica, tra inconscio e preveggenza. L’intreccio labirintico di rami introduce il torbido clima di guerra tra Galli e Romani, rievocando il fusto della sacra quercia, simbolo del rito celebrato da Norma al sorgere della luna. Quest’ultima anche dopo la sua maestosa apparizione in Casta Diva come simbolo di purezza, séguita a permeare i colori madreperlacei, bronzei e plumbei delle scene d’interno in una fusione di raffinatezza e mistero attraverso le luci di Franco Marri. I costumi di Simona Morresi si intersecano tra i dettagli scenografici scelti con precisione storica e completano un’atmosfera surreale ed estremamente elegante. Il filo narrativo è enfatizzato dalle videoproiezioni di Sergio Metalli che accompagnano lo spettatore tra schiere di guerrieri, volti di sacerdotesse, decorazioni che mutano seguendo il fluire della coscienza di Norma e moltiplicano due grossi scudi simboli di guerra, fino a infuocare la luna nel tragico finale.
Luna che diventa scudo ma anche specchio dell’anima della protagonista, un’unica rotondità che nasconde la molteplicità di passioni intricate, che il pubblico cinese potrebbe aver facilmente associato al Taijitu, rappresentazione dello ying e dello yang. E’ la guerra che si sovrappone al culto, la tragedia che inghiotte la purezza, sono le fiamme che depredano le onde di un mare in tempesta.
Le coreografie di Alessandra Panzavolta decorano le scene d’insieme tra eteree sacerdotesse che ondeggiano come rami di vischio sul fondale lunare e vigorosi guerrieri che con spade e scudi si preparano ad attaccare l’esercito romano.
Si sono alternati un cast internazionale (11 e 13 settembre) e un cast interamente cinese (12 e 14 settembre). Rachele Stanisci è una Norma che ammalia per bellezza ed eleganza. Capace di alternare la sacralità e l’umanità del personaggio mantenendo una solennità del gesti che sa essere estremamente intima, trova la perfetta sintonia nel rapporto con Adalgisa, una Sonia Ganassi d’esperienza, artista di estrema intelligenza che alla nota eccellenza vocale affianca una malleabilità interpretativa posseduta solo dai grandi attori. Pollione è il giovane Andeka Gorrotxategi, tenore basco dal buon fraseggio che commuove nell’incantevole duetto finale “In mia man alfin tu sei”. Oroveso è un ineccepibile Roberto Scandiuzzi, autorevole e solenne nella sua figura di capo dei druidi con accenni amorevoli e impietositi nel ruolo di padre di Norma. Buone le performance di Clotilde, Zhang Xin e Flavio, Wang Chong. Sempre energica la conduzione di Renato Palumbo che ha letteralmente trascinato la Shenzhen Symphony Orchestra nella sua prima performance operitstica. Molto applaudito anche il cast cinese, comunque di respiro internazionale, caratterizzato da toni drammatici che si fanno ancora più enfatici attraverso l’interpretazione di Sun Xiuwei, Warren Mok, Yang Guang, Tian Haojiang, Yu Yongzhao e Zhang Hao.
Senza dubbio una produzione di successo che pone il colosso cinese nella vetrina delle Opera House che si possono ancora permettere produzioni di qualità senza la costante minaccia dell’assenza di risorse, ormai privilegio riservato a pochi teatri e quasi esclusivamente a un mercato d’”importazione” che fa passi da gigante in quanto ad apprendimento di know how dall’occidente. Un campanello che dovrebbe risvegliare le abilità strategiche di direttori e sovrintendenti italiani che sembrano perseverare nel considerare queste nuove realtà come partner di coproduzioni una tantum, mete di tournèe organizzate senza un vero progetto di diffusione culturale, piazze a cui svendere vecchie produzioni “perchè tanto non se ne intendono”. Servirebbero invece delle conoscenze interculturali, la volontà di rischiare e di mettersi in gioco, la lungimiranza di guardare al futuro cercando di farne parte.