Torino, Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, Stagione Concertistica 2014-2015
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Coro Maghini
Direttore Juraj Valčuha
Maestro del Coro Claudio Chiavazza
Soprano Veronica Cangemi
Mezzosoprano Eva Vogel
Tenore Jeremy Ovenden
Basso Andreas Scheibner
Violino solista Roberto Ranfaldi
Ludwig van Beethoven : Missa solemnis in re maggiore op. 123 per soli, coro, orchestra e organo
Torino, 25 settembre 2014 – Concerto celebrativo dei vent’anni dell’OSN RAI
La sera del 25 settembre 1994, in occasione del Prix Italia, George Prêtre dirigeva a Torino il concerto d’esordio di una nuova orchestra, creata dall’accorpamento di tre orchestre sinfoniche della RAI, le cui sedi erano Torino, Milano e Roma. La nuova Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, con sede a Torino, nasceva dunque dalla fusione di tre compagini, che in precedenza avevano avuto esistenza, storia e vita artistica del tutto autonome (come anche l’Orchestra RAI di Napoli). Per molti anni si deplorò quella scelta, dettata naturalmente da ragioni di gestione economica: amministratori e uomini politici dicevano che quattro orchestre erano decisamente troppe per la Radio Televisione Italiana, ma il pubblico replicava che una – per di più nella sede geograficamente periferica di Torino – era troppo poco. Eppure, se si guarda ai vent’anni da allora trascorsi, e al lavoro compiuto dall’OSN RAI, a Torino e altrove, in Italia e in tournées internazionali, occorre riconoscere che il nuovo complesso non ha mai smesso di crescere, migliorare, affermarsi come eccellenza artistica nell’ambito della musica sinfonica. Le cronache degli ultimi anni, in particolare, ci hanno sempre indotto a registrare una delle migliori peculiarità di questa orchestra: la sua duttilità – o, per dir meglio, la grande capacità, artistica e insieme professionale, di passare da un oratorio di Haendel a una sinfonia di Šostakovič nel tempo di una settimana, per poi tornare a Brahms e Beethoven la settimana seguente. L’OSN RAI caratterizza infatti la sua principale attività con una stagione di concerti, sempre snodata tra ottobre e maggio, nel corso della quale presenta un campione del repertorio internazionale, dall’età barocca alle produzioni contemporanee (spesso commissionate dall’Orchestra stessa), con un concerto a cadenza settimanale (il giovedì, con replica il venerdì, sempre presso l’Auditorium RAI “Arturo Toscanini”).
Se la storia di una grande orchestra si organizza in capitoli principali, intitolati ai direttori che la guidano, quella dell’OSN RAI ne annovera almeno tre: Eliahu Inbal, Direttore onorario tra 1996 e 2001 (furono di grande impatto i suoi cicli mahleriani e Der Ring des Nibelungen eseguito in forma di concerto presso l’Auditorium “Giovanni Agnelli” del Lingotto), Rafael Frühbeck de Burgos, Direttore principale tra 2001 e 2007 (scomparso a Pamplona l’11 giugno di quest’anno), il giovane Juraj Valčuha, di origini slovacche, Direttore principale dal 2009, espertissimo del repertorio slavo e russo (ma campione di quello sforzo di duttilità che sa trasmettere all’intero complesso, e che gli ha permesso di raggiungere buoni risultati in ambiti del repertorio molto diversi).
La Missa solemnis di Beethoven è diventata una scelta pressoché rituale nella scansione degli anniversari, perché già nel 2004, per festeggiare il primo decennale dell’OSN RAI, era stata diretta l’8 ottobre da Frübeck de Burgos. Ora Valčuha si accosta al complesso capolavoro beethoveniano con un’attenzione soprattutto rivolta a variare le sonorità interne a ogni numero, con dinamiche che ne rendano percepibile la continua vitalità: l’esplosione di gioia del Gloria, per esempio, è resa efficacemente dalle fanfare strumentali, di cui il direttore esalta ogni dettaglio. L’attacco del Credo è il meglio riuscito dell’intera partitura: un muro possente di suono che nasce dal nulla, di grande suggestione teatrale. In generale si può dire che, esaltando la grana corposa di ogni famiglia strumentale, Valčuha abbia voluto rintracciare il dettato delle sinfonie all’interno della Messa, anche per sottrarre l’opera a quel comune giudizio di “anti-popolarità” su cui la critica tende a ritornare; tale approccio è evidente nell’interludio orchestrale che precede il Benedictus, dominato dall’assolo del primo violino (l’accuratissimo Roberto Ranfaldi).
Di fronte a un capolavoro tanto impegnativo come la Missa solemnis ci si può domandare se il direttore riesca a rappresentare bene «idee ora brevi ed energiche, ora straordinariamente sottili, e ancora con procedimenti di sviluppo d’entusiasmante complessità», che caratterizzano la partitura (il cenno critico è di Massimo Mila, di cui il programma di sala riporta un saggio risalente al gennaio 1988). Forse Valčuha preferisce porgere un approccio più emozionale, giocato sulla monumentalità dei brani, più che sull’intellettualistica costruzione interna. E in questa prospettiva spicca la resa “eroica”, “furoreggiante”, di una pagina elaboratissima come il Credo (e anche della fanfara militare che suggella l’Agnus Dei, e dunque l’intera composizione).
Grazie all’ottimo affiatamento, l’orchestra asseconda il suo direttore in modo convincente (in gran spolvero la sezione degli ottoni). Forse per sostenere i volumi dell’orchestra, il Coro Maghini, sempre ben preparato da Claudio Chiavazza, tende invece a cantare un po’ forte, e nella prova di forza accusa qualche piccolo cedimento di intonazione complessiva (specialmente nel complicato grido «Et resurrexit» del Credo). I quattro solisti vocali sono purtroppo gli interpreti più problematici del concerto: il tenore Jeremy Ovenden, che di per sé avrebbe timbro e qualità vocali molto adatte al repertorio sacro, è in affanno nel registro acuto: ogni frase risente di uno sforzo davvero eccessivo. Del tutto opache le voci del mezzosoprano Eva Vogel e del soprano Veronica Cangemi (quest’ultima peggiora in maniera imbarazzante nel corso dell’esecuzione, fino alle stonazioni e alle emissioni incontrollate del Benedictus). Chiara e scialba la voce del basso, Andreas Scheibner.
Il pubblico di Torino alla fine festeggia calorosamente tutti: grande successo per i solisti, i coristi, il direttore (a sua volta acclamato dall’intera compagine strumentale); ma si percepisce chiaramente che, al di là del programma della serata e dell’ammirazione per l’esecuzione beethoveniana, è l’orchestra a ricevere l’omaggio più affettuoso, l’abbraccio di buon compleanno, il saluto augurale di una nuova e nutrita stagione di appuntamenti sinfonici. Foto Michele Rutigliano