Op. 2 (Berlino, 1759; n. 1 in sol maggiore, n. 2 in la minore, n. 3 in si minore, n. 4 in do maggiore, n. 5 in re maggiore, n. 6 in mi minore). Elysium Ensemble: Greg Dikmans (flauto), Lucinda Moon (violino). Registrazione: Melbourne Recital Centre, Australia, 10-13 Ottobre 2011.T.Time:67.07 1 CD Resonus, London 2014.
“The Art of Elegant Conversation” è il nome della collana discografica in cui l’editrice Resonus pubblica la prima registrazione dei Sei duetti (per flauto e violino) di Johann Joachim Quantz. Ma più che titolo, la locuzione sembra un programma di vita artistica, un motto, un augurio; anzi, al lettore italiano sembra un ricordo della Civiltà della conversazione di Benedetta Craveri (Adelphi, Milano 2001), la celebre ricerca dedicata alla cultura letteraria francese tra Sei- e Settecento; forse al lettore francofono richiamerà più L’Âge de l’Éloquence di Marc Fumaroli, e a quello di classici i vari titoli della manualistica retorica tra Cicerone e Quintiliano. In ogni caso, più rimandi suonano pertinenti, poiché davvero i sei duetti promessi dal titolo si presentano come un raffinatissimo esercizio di conversazione musicale e di brillante dialogo strumentale. Eppure gli esecutori, Greg Dikmans e Lucinda Moon, a capo di un progetto di ricerca (che ha sede a Melbourne) sulla musica barocca e sulle sue modalità esecutive, non intendono tale comunicatività in modo banale e ordinario, ma anzi precisano che nella scelta di studiare la raccolta per flauto e violino hanno preso avvio dall’opera più conosciuta di Quantz, il trattato Versuch einer Anweisung die Flöte traversiere zu spielen (1752: il titolo si potrebbe tradurre come Alla ricerca di una modalità ben precisa di suonare il flauto traverso), dedicato appunto alla performance musicale, a sua volta concepita quale prova di abilità oratoria applicata alla musica. La varietà delle idee musicali deve infatti obbedire – come Quantz argomenta, e come esemplifica poi con la scrittura dei Sei Duetti – alla necessità di muovere le emozioni dell’ascoltatore, che è il destinatario attivo di una “conversazione galante”, quasi una dama che riceva le dichiarazioni di affetto e di amore dell’innamorato. Tutto questo è sintetizzato nel libretto introduttivo del disco, a forma di Greg Dikmans, il virtuoso del flauto che è poi protagonista dell’incisione; probabilmente alle orecchie di un frequentatore della musica barocca (e agli occhi di un lettore allenato) le asserzioni di Dikmans appaiono ben poco originali, ma occorre tener conto che si tratta di un progetto nato in Australia, e mirato a far nascere una sensibilità differente (o del tutto nuova) nei confronti della musica barocca europea.
Nei Duetti il flauto enuncia un’idea, il violino lo segue, risponde, aggiunge, insomma stabilisce e arricchisce il dialogo; ma senza alcun contrasto drammatico, senza alcuna dialettica forte, perché i due strumenti esprimono costante consonanza di affetti e di intenzioni (altrimenti la conversazione non potrebbe mantenersi garbata). Al di là del giudizio sulla bellezza armonica delle idee, quasi non sembrerebbe che, alla pubblicazione della raccolta, Bach fosse morto da nove anni, e che in quello stesso 1759 morisse anche Haendel, ossia i due esponenti più importanti del Barocco strumentale e teatrale. Quantz vive in un mondo che guarda già all’Accademia dell’Arcadia, animato da imperturbabile grazia, come gli esecutori dell’Elysium Ensemble riescono a suggerire molto bene nella loro esecuzione: tutto è sussurrato, ma con sonorità perfettamente trasparenti, proprio come nella sicura conversazione di due persone che non hanno mai bisogno di alzare il tono di voce per intendersi. La struttura stessa dei Duetti è, nella sua ripetitività, rassicurante: sempre tre tempi, un Allegro iniziale, un tempo di mezzo solitamente Andante o Larghetto, e un Presto finale. All’articolazione tripartita – mutuata ovviamente dalla sonata per strumento solista – fa eccezione soltanto il duetto n. 6, al cui avvio è premesso un tempo Grave; nel finale dello stesso duetto il compositore propone inoltre un Canone infinito, ritornante su se stesso, quale idea di una conversazione idealmente rinnovabile senza limiti. L’opera fu pubblicata a Berlino con titolo, frontespizio e indicazioni agogiche in italiano, anche se il germanofono Quantz aveva scritto il suo famoso trattato in tedesco. Era destino che una raccolta del genere fosse riscoperta e valorizzata in terra australiana?