Tragédie lyrique in tre atti su libretto di Marie-Denis Devisme da “Amadis” di Philippe Quinault (1684) e dall’originale “Amadís de Gaula” di Garci Rodríguez de Montalvo. Philippe Do (Amadis), Katia Velletaz (Oriane), Hjördis Thébault (Arcabonne), Pierre-Yves Pruvot (Arcalaüs), Liliana Paraon (Urgande, une coryphée), Martin Minkuš (La Haine, la voix d’Ardan Canil, quatriéme coryphée), Lucie Slepánková (La Discorde, deuxième coryphée), Andrea Brožáková (Première coryphée), Dušan Ružička (Troisième coryphée). Musica Florea Prague & Solamente naturali Bratislava, Ensemble vocal Musica Florea, Didier Talpain (direttore). T. Time: 2h:11 Registrazione 27-30 novembre 2010 Strani Opera de Prague. 2 cd Ediciones Singulares /Palazzetto Bru Zane
La scena musicale francese è caratterizzata nella seconda metà degli anni ’70 da una nuova fase di quell’interminabile confronto che l’ha accompagnata nel corso di tutto il XVIII secolo fra fautori di una scuola nazionale e i sostenitori dell’opera di derivazione italiana. In questa fase la contrapposizione è quella fra i gluckisti sostenitori del nuovo modello teatrale introdotto dal compositore tedesco a partire dall’”Iphigénie en Aulide” del 1774 e i piccinisti che si rifacevano al modello del compositore barese caratterizzato da un più evidente senso melodico di matrice italiana. Una contrapposizione per altro tutta fra modelli di derivazione straniera – a campione dello stile francese si era preso Gluck, tedesco e di formazione italiana – tanta da attirare l’ironia di Mozart che in alcune lettere non risparmia sarcasmo al mondo musicale francese incapace di creare una propria identità e costretto a ricercarla in modelli di importazione.
Giunto a Parigi sulla scia dei trionfali successi londinesi ottenuti dal 1759 Johann Christian Bach giungeva a Parigi con la commissione per una nuova opera seria. E’ in questo contesto che il 14 dicembre 1779 va in scena all’Opéra “Amadis de Gaule” collocata a metà fra i due nuovi lavori dei grandi rivali, l’”Echo et Narcisse” di Gluck nel settembre del 1779 e l’”Atys” di Piccini nel febbraio dell’anno successo. Una casualità cronologica che sembra però essere un segno per la stessa natura della composizione essendo quello di Bach il tentativo di trovare una terza via che possa mediare fra le posizioni dei due modelli contrapposti e che sarà la principale causa del fiasco clamoroso che accompagnerà la prima dell’opera con il pubblico francese troppo coinvolto nella contesa “ideologica” fra i due grandi modelli per accettare la linea di compromesso rappresentata dall’opera di Bach.
Già nella scelta del soggetto Bach sceglie di evitare il confronto su temi classici, optando per un’opera di soggetto magico e cavalleresco, genere che aveva goduto di grande fortuna all’inizio del secolo – si pensi ai lavori di tematica boiardiana e ariostesca di Vivaldi e Händel – e che stava ritornando di moda nelle forme della zauberoper e che negli anni seguenti sarebbe stato praticato anche da Gluck (“Armide”) e Piccinni (“Roland”). Per l’occasione a disposizione di Bach vi è la riduzione in tre atti fatta da de Vismes du Valgay di un originale lavoro in cinque preparato da Quinault nel 1664 per Lully privato dagli elementi encomiastici presenti nell’originale e concentrato sulle componenti magiche e cavalleresche.
Sul piano drammaturgico l’opera si ricollega al modello della tragedie francese di tipo tradizionale seppur concentrato in tre atti in sostituzione dei cinque canonici e con una maggior valorizzazione degli elementi centrali, restano però ampi spazi destinati ai ballabili in chiusura del I e del III atto. La musica di Bach si organizza per contrasti espressivi fra le singole scene – si veda nel primo atto la contrapposizione fra le tinte fosche e quasi pre-romantiche della scena di apertura e quelle luminose e chiarissime della seconda scena centrata sulle figure positive di Amadis e Oriane – sia all’interno dello stesso brano. La scrittura orchestrale è molto ricca e ricerca effetti ambientali e drammaturgici con efficacia, si apprezzano al riguardo i recitativi accompagnati caratterizzati da uno strumentale ricco e vario e da una tensione drammatica pienamente compiuta. Il canto si organizza sulla frase e sulle sue ragioni espressive, per quanto l’opera non manchi di abbandono melodico appare evidente un legame sempre molto diretto fra le esigenze prosodiche ed espressive dei versi e il fraseggio musicale secondo la miglior tradizione francese; le forme espressive tendono a trascorrere con facilità dall’una all’altra così come con estrema libertà si collegano fra loro i vari momenti, a titolo di esempio si può vedere la parte iniziale della scena VII del III atto con il duettino Amadis-Oriane che senza soluzione di continuità si trasforma in terzetto con l’entrata di Urgande.
E’ quindi quanto mai apprezzabile la registrazione di quest’opera realizzata a Praga nel 2010 con livelli musicali e di registrazione decisamente molto alti e con l’unico limite di una tiratura limitata e quindi di non larga diffusione.
Didier Talpain è direttore esperto e dotato di ottima predisposizione per questo repertorio fornendo di quest’opera una lettura non solo stilisticamente compiuta ma di autentica vita teatrale e di godibilissimo ascolto, dimostrando come ormai la contrapposizione fra filologia e piacevolezza di ascolto sia stata superata da parte dei migliori interpreti di questo repertorio. I complessi sinfonico corali provengono tutti dall’area ceco-slovacca fra Praga e Bratislava e mostrano una qualità complessiva molto buona. Gli strumentisti suonano con assoluta precisione – apprezzabilissima la pulizia dell’intonazione non sempre presente in questo tipo di complessi – e rendono al meglio la particolarità di un’opera che pur rivolta alla tradizione apre ampi squarci verso un futuro più o meno prossimo, dall’ouverture di sapore già tutto mozartiano a certi impasti timbrici soprattutto nelle scene magiche o legate alla coppia nera Arcabonne – Arcalaüs già intrisi della nascente cultura romantica. I complessi corali confermano la grande tradizione boema in questo genere di formazioni dando un fondamentale contributo a molte pagine dell’opera come la scena dell’evocazione delle personificazioni infere nel I atto o il dolente coro dei prigionieri che apre il II atto.
I cantanti principali vengono tutti dall’area culturale francese il che gli garantisce un’ottima proprietà linguistica – fondamentale in questo repertorio – ed una piena conoscenza stilistica. Nel ruolo del protagonista troviamo Philippe Do, tenore di origini vietnamite già apprezzato in altri titoli di questa natura che qui conferma al meglio le proprie qualità. Autentico tenore contraltino nella miglior tradizione francese unisce una voce decisamente attraente nel suo timbro luminoso e squillante ad un’ottima tecnica con acuti sicuri e timbrati e notevoli doti nel canto di coloratura. La natura espressiva di Amadis, tutta giocata su un eroismo aulico e smaltato e poi ideale per Do che trova proprio in questo registro espressivo il suo ambito più congeniale così che la scena di sortita con Oriane “Pourquoi me fuyez-vous” (atto I scena IV) e la successiva aria “Je ne verrai plus ce que j’aime” (atto I, scena V) hanno veramente l’incantata nobiltà di certa pittura neoclassica di soggetto cavalleresco. Si distingue la cosiddetta ariette “Tendres coers” posta all’interno del balletto con conclusivo, nonostante la definizione data in partitura è in realtà una grande aria di coloratura, unico momento autenticamente virtuosistico dell’opera è Do ne fornisce una lettura esemplare per la naturalezza con cui sono risolti anche i passaggi più impervi sempre all’interno di un totale controllo stilistico.
Al fianco di questo Amadis troviamo l’Oriane di Katia Velletaz. Voce ampia, robusta, dalle belle venature scure e dal temperamento prevalente drammatico che emerge in momenti di grande tensione come nella grande scena “Que vois-je? O! Spectacle effroyable!” (atto III, scena IV) impostata su un tesissimo recitativo accompagnato sconfinante nell’arioso vero e proprio sorretto da una scrittura orchestrale di particolare ricchezza ma questo temperamento drammatico si ritrova anche in momenti più lirici come la dolente “A qui pourrais-je avoir recours?” sempre nel III atto (scena II). Di contro va riscontrata una pronuncia non sempre nitidissima per cui il testo non è sempre intellegibile con la chiarezza richiesta.
Ancor migliore la prova dell’altro soprano Hjördis Thébault nei panni della maga Arcabonne. Il personaggio è di suo più ricco e interessante rispetto alle figure univoche di Amadis e Oriane; maga infernale ma al contempo donna innamorata senza speranza del mortale nemico di sua stirpe e figura ricca di possibilità espressive oltre che decisamente proiettata verso il futuro (si pensi alle riletture della figura di Armida che daranno Gluck e Rossini). La cantante è inoltre veramente molto brava nel rendere la complessità del personaggio, voce di autentico soprano drammatico, scura e brunita – quasi mezzosopranile in certi passaggi – ma con acuti sicuri e timbrati cui si uniscono un accento scolpito e drammatico e una piena identificazione con il personaggio. La prima parte del I atto, con i suoi colori scuri e misteriosi viene così al meglio esaltata nella sua componente proto-romantica con al centro la grande scena solistica di Arcabonne organizzata su due momenti cantabili connessi fra loro da un recitativo accompagnato in una scena di notevole originalità e musicalmente caratterizzata da molteplici passaggi di piano espressivo pienamente resi dalla cantante. Caratteristiche che si ritroveranno anche nell’altro grande momento solistico del personaggio “Bientôt, l’ennemi qui m’outrage” (atto II, scena II) in cui canto vero e proprio, declamato su ricco organico orchestrale e un intermezzo strumentale segnano il continuo variare degli stati d’animo della donna fino al tesissimo finale in cui le contrapposizioni precedenti si risolvono in un’esplosione di furore cantata a piena forza.
Nei panni del fratello Arcalaüs troviamo Pierre-Yves Pruvot, bella voce di autentico basso e accento autorevole e drammatico. A lui è affidata la grande scena dell’evocazione delle potenze infere (atto I, scena III) strutturata su un declamato arioso alternato agli interventi del coro che rappresenta uno dei punti più originali della composizione. In appendice alla registrazione è presente una versione alternativa dell’aria di Arcalaüs. Di timbro luminoso è seducente è il soprano Liliana Faraon nelle doppie vesti della maga Urgande e di una corifea. Completano il cast numerose parti di fianco cui sono affidate i ruoli dei corifei e le personificazioni delle entità infernali nella scena dell’evocazione. Sono tutti cantanti di area ceca e mostrano nel complesso un elevato livello di professionalità si rimanda alla locandina iniziale per l’enumerazione di questi interpreti e dei ruoli loro assegnati.