Wolfgang Amadeus Mozart: “Tutto è disposto…Aprite un po’ quegli occhi”, “Non più andrai” (“Le nozze di Figaro”); “In diesen heil’gen Hallen” ( “Die Zauberflöte”); “Donne mie, la fate a tanti” (“Così fan tutte”); “Madamina, il catalogo è questo”, “Ah! Pietà, signori miei!” ( “Don Giovanni” ); “Se vuol ballare, signor Contino”, “La vendetta, oh, la vendetta” (“Le nozze di Figaro”); Arie da concerto: “Per questa bella mano” K.612, “Rivolgete a lui lo sguardo”K.584, “Così dunque tradisci…Aspri rimorsi atroci K.432, “Alcandro, lo confesso…Non sò d’onde viene K.512, “Un bacio di mano” K.541, “Mentre ti lascio, o figlia” K.513; Domenico Cimarosa: “Il Maestro di cappella”. Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Alberto Erede (direttore); Orchestre de la Suisse Romande, Peter Maag (direttore), Orchestra of the Royal Opera House of Covent Garden, Argeo Quadri (direttore), Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, Bruno Amaducci (Cimarosa). Registrazioni Roma 1952, Ginevra 1952, Londra 1960, Milano 1954. T.Time:77.50 1 CD Decca 0289 480 8146 2
All’interno della collana di recital storici in corso di rimastrezzazione per la Decca è ora il turno di questo composito programma dedicato al basso svizzero Fernando Corena, considerato all’epoca di queste incisioni – fra gli anni ’50 e ’60 – interprete di riferimento per il repertorio buffo settecentesco e rossiniano, oggi queste incisioni restano un’importante testimonianza storica di un gusto ormai superato e degli enormi progressi che si sono compiuti nell’approccio stilistico e interpretativo in questo repertorio. La voce di Corena era per altro assolutamente rilevante, ampia, sonora e naturalmente dotata di un timbro sicuramente piacevole inoltre il cantante, se costretto dalla scrittura di determinati brani o da un direttore di particolare polso, sapeva cantare anche decisamente bene come si può apprezzare anche nel presente disco ad esempio in un’aria come “In diesen heil’gen Hallen”; la nobile perorazione di Sarastro non è certo pagina che si considera propria di un basso buffo ma proprio l’obbligo di cantare tutto senza scappatoie permette di apprezzarne in pieno le notevoli doti vocali. Perché il limite di Corena non era né vocale né tecnico ma sostanzialmente interpretativo e di gusto dove la faceva da padrone una tendenza a ridurre la scrittura buffa a ricorsi più o meno marcati di gigionate, scivolate nel parlato, eccessivi caricamenti espressivi che in casi estremi arrivavano fino a stravolgere totalmente le scrittura di determinati brani.
Nel presente recital certi estremi fortunatamente non sono raggiunti – la scrittura mozartiana impediva in parte certe degenerazioni che gli sono invece abituali in Rossini e Donizetti – ma rimane comunque una superficialità d’approccio che lascia un senso di insoddisfazione. Così le due arie di Figaro sono cantate con decisione ma tutte risolte in una generica vivacità e simpatia senza una punta del travaglio del personaggio in “Aprite un po’ quegli occhi” o della leggera e ironica malizia di “Non più andrai farfallone amoroso” e il “Donne mie la fate a tanti” di Guglielmo dal “Così fan tutte” è risolto come aria puramente buffa secondo un’idea del teatro mozartiano – e di quest’opera in particolare – decisamente superata.
Il resto del programma prosegue sostanzialmente sulla medesima linea. Il catalogo di Leporello – oltre a qualche errore sul testo difficile da comprendere in una registrazione in studio come il “che ho fatto” invece di “che ho fatt’io” quasi all’inizio del brano – colpisce soprattutto per la pesantezza, per la mancanza di ironia che non può essere compensata da qualche facile effetto e anche Peter Maag, solitamente direttore mozartiano di talento, si lascia contagiare proponendo una direzione lenta e pesante, senza ironia e senza mordente.
Dirette con solido mestiere da Argeo Quadri le arie da concerto di Mozart offrono la possibilità di ascoltare brani di non frequente esecuzione, alcuni dei quali decisamente interessanti sotto il profilo musicale inoltre la lettura di Corena, pur sempre generica e con un fondo di pesantezza è più corretta rispetto alle arie d’opera forse perché la dimensione concertistica dei pezzi non lo spingeva a cercare una connotazione del personaggio. Fra i brani si segnalano il K612 “Per questa bella mano” che partendo dal tema del duettino buffo del “Don Giovanni” “Per queste tue manine” aggiunto in occasione delle riprese viennesi dell’opera e ancor oggi di non frequente esecuzione e lo sviluppa in forma di aria solistica non priva di componenti virtuosistiche o il K584 “Rivolgete a lui lo sguardo” con il suo ironico gioco di citazioni e associazioni verbali – ed è facile immaginare cosa possa trarre da un brano come questo un fraseggiatore più sensibile o personale di Corena – mentre il K512 “Alcandro, lo confesso” è un’ulteriore variante di quell’inevitabile banco di prova che per tutti i compositori del XVIII fu “L’olimpiade” metastasiana.
Completa l’incisione l’esecuzione integrale de “IL maestro di cappella” composto da Cimarosa probabilmente in relazione all’”Impresario in angustie” del 1786 ed insolito esempio di intermezzo per cantante solista così che l’operina diventa una sorta di lunga aria stratificata al suo interno. Pur senza particolari lampi la direzione di Bruno Amaducci e l’Orchestra dei Pomeriggi musicali di Milano hanno un suono più chiaro e leggero di quello delle grandi orchestre dell’epoca e più adatto nel rendere le sonorità di questo repertorio. Corena gioca la carta del mattatore alternando momenti riusciti dove la linea di canto è corretta e si apprezza la sonorità e la pienezza della voce ad altri – come i giochi vocali ad imitazione degli strumenti – dove tende a lasciarsi andare decisamente troppo andare.
“In Orbit”. “Tonight” ( Leonard Bernstein:“West Side story”),”Brother Will, Brother John” (John Sacco), “A Paris (Francis Lemarque), “Besoin de vous” (Jack Trommer), “Valse Musette”, “Vieilles annés”, (Iller Pattacini), “Lioba” (Ruprecht), “Mon p’tit Suisse” (Bernard Lancelle), “Luxembourg Polka” (Line Renaud), “Wien, Wien, nur du allein” ( Rudolf Sieczynski), “Es muss was wunderbares sein” (Ralph Benatzky), “Frag’ nicht, warum ich gehe” (Robert Stolz), “Canta, se la vuoi cantar” (Cesare Andrea Bixio), “La biondina in gondoleta “(Giovanni Simone Mayr), “Nostalgia de Milan” (Alfredo Bracchi), “Mandolino italiano” (Iller Pattacini), “Marechiare” (Francesco Paolo Tosti), “Domino” (Louis Ferrari), “Napule ce se ne va ! (Ernesto Tagliaferri), “Autunno” (Ernesto De Curtis), “Pulecenella” (Ciro Parente), “Me so’mbriacato e’sole” (Salvo D’Esposito), “Dicitencello vuie” (Rodolfo Falvo);Gioachino Rossini: “A un dottor della mia sorte” (“Il barbiere di Siviglia”),”Il mio piano è preparato” (“La gazza ladra”), Gaetano Donizetti: “Udite, udite, o rustici” (“L’elisir d’amore”), “Ah, un foco insolito” (“Don Pasquale”). Orchestra, non indicata, direttore: Iller Pataccini e Ernest Nicelli (canzoni). Orchestre de la Suisse Romande, Alberto Erede (direttore, Rossini e Donizetti). Registrazioni: Londra 1962, 1954, Ginevra 1950 (Rossini & Donizetti). T.Time:75.24 1 CD Decca 0289 480 8147 9
Secondo Cd dedicato a Fernando Corena sempre dalla Decca questo “In orbit” è sostanzialmente dedicato ad un repertorio popolare prossimo alla musica leggera cui è aggiunta in coda una sezione lirica con arie di Rossini e Donizetti per completare la durata del CD. L’impressione che si ha, dopo l’ascolto di questo album è quella di un prodotto decisamente lontano dal gusto italiano oltre che caratterizzato da scelte musicale non sempre chiaramente comprensibili come nel caso di “Tonight” da “West Side Story” messo in apertura del disco in cui il dolcissimo duetto composto da Bernstein è trasformato in un’aria buffa per basso di certo molto meno suggestiva. Segue una serie di canzoni in qualche modo ascrivibili alla tradizione popolare dei vari paesi tutte affrontate con un gusto da varietà – cui rimandano anche gli arrangiamenti orchestrali – che a lungo risulta abbastanza stucchevole, alcune delle quali presentate in versione solamente strumentale.
Il repertorio francese avrebbe dovuto essere particolarmente congeniale a Corena, ginevrino di nascita anche se di origini italo-turche, e quindi perfettamente in grado di controllare l’emissione e le fraseggio di quella che era la sua lingua madre, ed infatti in “Besoin de vous” di Trommer si apprezzano queste componenti adattate ad un canto confidenziale tutto giocato sulla mezza voce mentre in altri brani la tendenza ad esagerare prende il sopravvento come in “A Paris” di Lemarque dove l’eccessiva rotacizzazione non risulta troppo piacevole. La parte dedicata al repertorio tedesco o più generalmente mitteleuropeo è aperta da “Wien, Wien, nur du allein” che del repertorio popolare viennese e forse la canzone universalmente più nota e amata presentata qui in una versione puramente orchestrale; scelta insolita ma forse non totalmente sbagliata vista la grevità con cui Corena affronta di seguito “Es mus was wunderbares sein” di Benatzky e “Frag nich, warum ich gehe” di Stolz in cui invano si cercheremmo il minimo segno di quella leggerezza melanconica che è l’essenza profonda della viennesità al crepuscolo.
La parte dedicata all’Italia è una sorta di quintessenza dell’immaginario turistico che del belpaese avevano i turisti anglo-americani negli anni cinquanta; un mondo fatto di sole, serenate col mandolino e bonaria ospitalità in una sorta di versione semi-civilizzata del mito del buon selvaggio che permetteva di vivere un’esperienza a suo modo esotica senza dover rinunciare troppo alle comodità di casa. Un’Italia vista come una collezione di cartoline illustrate dai colori sgargianti o peggio di quelle palle di vetro con i monumenti in miniatura e la neve finta che tanto piacevano al turista medio del dopoguerra. Ed ecco la galleria di souvenirs d’Italia da Milano “Nostalgia de Milan” di Bracchi a Roma “Canta, se la vuoi cantare” di Bixio passando per Venezia con la celeberrima “La biondina in gondoleta” di Mayr ridotta per altro ad un informe torsolo per orchestrina e coretto in sordina e accompagnate dall’immancabile mandolinata “Mandolino italiano” dello stesso Pattacini fino ad arrivare a Napoli.
La selezione di canzoni napoletane comprende una buona scelta di brani alcuni molto noti – “I’ te vurria vasa”, “Didicentello vuie” – ad altro di più raro ascolto ma in tutti si nota un approccio per così dire turistico, in cui tutto rimane superficiale ed epidermico senza un effettivo approfondimento stilistico o espressivo, inoltre si notano notevoli difficoltà nella pronuncia e nella prosodia napoletana evidenti anche a chi come lo scrivente non ha per ragioni di provenienza geografica una congenita naturalità con quella lingua.
La breve parte operistica inserita in coda al cd permette almeno qualche analisi più compiuta. L’aria di Don Bartolo “A un dottor della mia sorte” è cantata con il gusto dell’epoca che evidenziava del personaggio solo le componenti comiche ma conferma gli ottimi mezzi vocali di base a disposizione di Corena. Un certo interesse merita l’ascolto di “Il mio piano è preparato” da “La gazza ladra” perché è difficile trovare un esempio più chiaro di come questo repertorio fosse completamente frainteso al tempo e al contempo una sorta di lezione al negativo su tutto quanto il canto rossiniano non dovrebbe essere. Quella del Podestà è una delle figure drammaturgicamente più interessanti del teatro rossiniano, un personaggio complesso la cui profonda malvagità si vela di un untuoso velo di ipocrita amicizia, per certi versi una sorta di Scarpia rossiniano di cui quest’aria rappresenta il “Te Deum” personale. Di tutto questo cosa resta nella lettura di Corena? Semplicemente nulla, il tutto ridotto ad un’aria buffa generica e priva di carattere ma infarcita di effetti di dubbio gusto – si veda i falsettini usati nell’immaginario dialogo con Ninetta – che semplicemente distrugge tutta la modernità e la forza espressiva della musica di Rossini. Se il Podestà non era personaggio abitualmente affrontato da Corena altrettanto non si può dire di Dulcamara che dal cantante svizzero è stato affrontato su tutti i palcoscenici e di cui restano anche letture convincenti quando limitato da direttori di particolare polso; qui invece tende a lasciarsi andare caricando eccessivamente la pronuncia delle singole parole con un non voluto effetto finto russo decisamente poco piacevole. Conclude la registrazione “Ah! Un foco insolito” da “Don Pasquale” anch’esso troppo caricato per il nostro gusto odierno.