“Tickle the Minikin”. 17th-century lyra viol music. Robert Smith, viola da gamba. Pieces in Harpe Sette Sharpe: Thomas Mace (1612/13-c.1706), Prelude; Simon Ives (1600-1662), Allemande; Charles Coleman (1605-1664), Courante; Anon., Carillon; Thomas Mace, Air; John Taylor (dates unknown) & Anon., Allemande & Sarabande; Anon., Thumping Almaine. Pieces in ‘ededf’: John Jenkins (1592-1678), Allemande; William Young (+ 1662), Allemande, Sarabande. Pieces in Lancashire Pipes Tuning: Anon., Prelude and Lancashire Pipes; Kate of Hardie, Piggies of Rumsey & Lancashire Pipes. Pieces in French Sette: John Jenkins, Almaine, Courante, Allemande, Courante I, II. Pieces in High Harp Flat: Anon., Prelude; John Jenkins, Allemande, Courante; Dietrich Steffkins (c. 1600-1673), Courante, Sarabande; John Jenkins, Allemande; Dietrich Steffkins, Courante; Anon., Sarabande. Pieces in ‘fedef’: Anon., Two Airs; Alfonso Waye Tuning: Anon., Jemmye. Pieces in Harpe Sette Flat: Anon., Courante; John Esto (dates unknown), Allemande; Simon Ives, Sarabande; John Esto/William Young, Allemande; John Esto/John Jenkins, Courante; John Esto, Sarabande; Anon., Air.
Registrato presso Zuidervermaning, Westzaan (Paesi Bassi), 18-20 agosto 2013, T.Time:64.35 – 1 CD Resonus RES10132
Che cosa suonava un gentiluomo del XVII secolo, nella quiete domestica, per sé e per la sua cerchia famigliare? Quale repertorio era in auge, quali gusti, e soprattutto quale lo strumento musicale perfetto a realizzarne l’espressione? Tickle the Mikikin, ossia “stuzzica la viola” – un imperativo non privo di allusioni maliziose – è un godibilissimo disco grazie al quale si ritrovano ottime risposte alle varie domande. E a rispondere è il solo Robert Smith, solista di viola da gamba e violoncello barocco, allievo di Mieneke van der Velden (Amsterdam) e di Paolo Pandolfo (Basel), vincitore nel 2012 della Bach-Abel Viola da Gamba Competition di Köthen (dove ottenne primo premio assoluto, premio del pubblico, premio speciale: pare che una sua trascrizione ed esecuzione su viola da gamba di un brano heavy-metal dei Metallica sia stata epocale), a capo dell’ensemble barocco Fantasticus. Egli è il solo a rispondere, in quanto sostanziale scopritore di un codice manoscritto risalente al 1670 circa (British Library Mus. 249), che riporta sessantadue brani per lyra-viol composti da autori vari (per lo più anonimi), ventiquattro dei quali non hanno attestazioni in altre fonti, e di cui Smith diviene studioso ed esecutore. Lo strumento, che può essere considerato una viola da gamba (il lirone di origine italiana) modificata al fine di rendere più semplice la pratica esecutiva, fiorì in particolare tra Inghilterra e Paesi Bassi nel XVII secolo. Come suppone Smith nelle interessanti note introduttive al disco, il manoscritto ora conservato a Londra (ma dalla vita tortuosa e non del tutto nota) dovette costituire una sorta di playlist, all’epoca aggiornata secondo il gusto e la moda, del repertorio che un buon conoscitore di musica poteva eseguire personalmente, per diletto e per passione. La lyra-viol era uno strumento nuovo, relativamente semplice da suonare, ottimo per esecuzioni a solo; in più, la sua ricca letteratura (diciotto fonti a stampa, soltanto in Inghilterra, tra 1601 e 1682, e più di settantacinque manoscritti coevi in area europea) faceva ricorso a una notazione complessa ma molto chiara, esplicita nelle richieste espressive, capace di raggiungere tutte le tonalità: la tavolatura, vale a dire un fascio di sei linee, relative alle sei corde dello strumento, con lettere e numeri che simboleggiavano accorgimenti esecutivi, stilistici, espressivi (le giunture di tali lettere simboliche diventavano quindi la sigla-criterio con cui raggruppare e ordinare i brani, come lascia intendere anche il programma del cd). Smith non si limita a tratteggiare la fisionomia del musicista che può aver organizzato e vergato il manoscritto Mus. 249 della British Library, ma ne tenta anche l’attribuzione, optando per il cosmopolita Dietrich Steffkins (compositore) oppure per l’inglese Samuel Pepys, che viaggiò molto tra Inghilterra e Paesi Bassi nel corso del Seicento.
Smith ha dunque elaborato una scelta tra i tanti generi, per fornire un bouquet di stili e di ricerche espressive; lo confessa egli stesso, quando precisa quale strumento abbia utilizzato per lo studio delle musiche e per l’incisione su disco: la sua viola da gamba a sette corde, modello Colichon, copia costruita da Pierre Bohr a Milano nel 2010. Siccome la lyra-viol non ha mai avuto la settima corda, di basso, l’artista l’ha rimossa dal suo strumento, per garantire un suono più aperto e meglio risonante (dovuto all’alleggerimento della settima corda). In effetti, la gamma sonora percepibile dalla registrazione è molto ampia, e va dal calore e dalle bruniture di un violoncello romantico alla stridula nasalità di uno strumento decisamente più antico. Ma Smith non indulge mai ad alcun atteggiamento “integralista”, perché si sforza di mantenere l’intonazione pura, senza stridori e senza note fisse.
La pienezza del suono, un autentico prisma di colori e di stili, si apprezza nel repertorio internazionale, nei pezzi di bravura a ritmo di danza, riconoscibili ovviamente dalle agogiche titolature: l’Allemande et Sarabande di John Taylor, la mesta Allemande di John Jenkins, per esempio. Viceversa, lo stile delle ballate popolari (però elegantemente rivisitate dal glamour dell’intavolatura) e le sonorità delle cornamuse e dei più umili fiati emergono dai brani anonimi composti secondo le modalità armoniche del Lancashire e, appunto, delle sue pive. Nel cuore della composita raccolta è una sezione particolarmente coesa: cinque brani di Johns Jenkins, che costituiscono un’ideale suite in stile francese: ricercata, elegante, quasi melliflua in confronto al vigore popolaresco di quanto precede e di quanto segue. Ma, anche nella fisionomia più popolare della musica riportata nel cd, non va dimenticata la vocazione internazionale della letteratura per lyra-viol, come l’etimologia di Minikin fa pensare: se il termine indica l’estremità delle corde di uno strumento ad arco, viola o liuto, la derivazione è da Munich/München in Baviera, città molto nota sin dal Seicento per la produzione di ottime corde. Con la grande musica, il mondo germanico e le sue tradizioni c’entrano sempre.