Renato Bruson: Donizetti Arias

“Ecco il pegno ch’io le porsi!…Questa soave immagine” (Gemma di Vergy), “Era anch’io di quella schiera” (Marin Faliero), “Ieri taceva…Forse in quell cor…Qui ribelle ognun” (Roberto Devereux), “Ma de’ malvagi…Vien Leonora…De’ nemici tuoi” “Ei del suo cor la brama…A tanto amor”(La Favorita), “Nati siam in questa valle” (Linda di Chamonix), “Che? Maria…Bella e di sol..Ogni bene..Sì ma fra poco” (Maria di Rohan),”Giuoco di rea fortuna…Lisbona, alfin ti miro” (Don Sebastiano), “Da che sposa Caterina” (Caterina Cornaro),”Judex ergo”*, “Domine, Jesu Christie” (Requiem);  Giuseppe Verdi:”Pietà, rispetto, amore” (Macbeth) “Cortigiani, vil razza dannata” (Rigoletto), “Per me ginto” (Don Carlo). *Luciano Pavarotti (tenore).Orchestra del Teatro Regio di Torino, Bruno Martinotti (direttore – Arie di Donizetti); Orchestra e Coro dell’ Arena di Verona Gerhard Fackler ( direttore – Requeim), Bruno Martinotti (direttore –  Verdi). T.Time: 75.43 Registrazioni: 1977, Torino (arie Donizetti), 20-22 febbraio 1979, Verona (Requiem), 12-14 aprile 1977, Verona (arie Verdi) 1 CD Decca 0289 480 81400  
La Decca ripropone in CD questa interessante selezione di arie donizettiane incisa nel 1977 da Renato Bruson, registrata nel periodo di maggior fulgore vocale del baritono padovano. Bruson incarnava all’epoca la più compiuta incarnazione del baritono donizzettiano; la voce è magnifica per timbro e coloro, ad un tempo brunita e luminosa; la linea di canto è compatta ed omogenea su tutta la linea fino agli estremi acuti raggiunti con facilità apparentemente disarmante e di squillo quasi tenorile; il controllo sul fiato è esemplare così come la gestione dei filati e delle mezze voci. L’accento è sempre aulico, nobile e come velato di una leggera malinconia che rende alla perfezione il carattere di molti di questi brani. L’ascolto conferma ulteriormente uno dei più grandi misteri discografici degli ultimi decenni, ovvero il disinteresse quasi totale delle grandi case discografiche per Bruson intorno al quale sarebbe stato possibile allestire incisioni di riferimento per molte di queste opere – considerando che negli stessi anni la Decca aveva a disposizione Sutherland e Pavarotti – invece o nulla si è fatto o si è preferito optare per cantanti che neppure lontanamente potevano sfoggiare una qualità di canto ed una naturale identificazione stilistica con questo repertorio paragonabili a quella di Bruson come nel caso de “La favorita” incisa nel 1974 dove nel ruolo di Alfonso compare un Gabriele Bacquier improponibile sia sul piano vocale che su quello stilistico.
Posto in apertura della registrazione “Ecco il pegno ch’io le porsi!…Questa soave immagine” da “Gemma di Vergy offre già una chiarissima esemplificazione di quello che è il canto di Bruson in questo repertorio tutto basato su un controllo assoluto del fiato e dell’emissione apprezzabile non solo nell’andante ma anche nella cabaletta – di tempo moderato e meno vorticoso di altre – dove Bruson non si limita a cantare splendidamente ma ad offrire un notevole saggio di capacità espressive evidenziando la natura quasi verdiana che caratterizza il brano dominato dal senso di amore paterno.
Tra i massimi capolavori dell’opera del primo Ottocento “Marin Faliero” non si è ancora imposto come meriterebbe sui palcoscenici teatrali. “Era anch’io di quella schiera è brano di grande modernità formale capace di porsi al di fuori degli schemi più rigidi della “solita forma” e di svilupparsi secondo un andamento più libero e più capace di piegarsi alle necessità espressive in continuo divenire del brano. L’esecuzione di Bruson riesce a rendere perfettamente questo clima facendo convivere senza soluzione di continuità il nobile eroismo del vecchio guerriero e l’austero dolore del Doge prigioniero. La grande scena di Nottingam nel “Roberto Devereux” “Ieri taceva…Forse in quel core…Qui ribelle ognun evidenzia la perfetta dizione di Bruson non solo nella chiarezza con cui è scandito il recitativo ma anche nella piena intelligibilità del testo durante l’aria; sempre sul piano vocale colpiscono il controllo del fiato e dei filati e la facilità della salita in acuto su “santa voce d’amistà”. Difficile immaginare interprete migliore per l’Alfonso de “La Favorita”, perfetta fusione di un canto ideale e di una naturale nobiltà di accento tanto nella cavatina di sortita tanto nel grande cantabile “A tanto amor” da riuscire quasi a far dimenticare quel capolavoro di comico involontario che è la versione ritmica italiana e le incomprensibili ragioni per cui versi come “pour toujours, belle maîtresse/ pour toujours tu m’appartiens” possa diventare “Al mio fianco unita in soglio/ al mio fianco nell’avel”.
In “Nati siamo in questa valle” la cavatina di Antonio da “Linda di Chamonix Bruson fa valere le sue doti di cantante verdiano rendendo palesi i legami fra il montanaro savoiardo di Donizetti e alcune future paterne verdiane prima fra tutte quella del vecchio Miller. La grande scena di Camoens dal “Don Sebastiano” è fra le pagine più riuscite di Donizetti con il grande cantabile “O Lisbona, alfin ti miro” che per intensità espressiva e nobiltà di accento emerge come una delle pagine più ispirate dell’intera letteratura vocale per baritono. Le caratteristiche del brano sono ideali per i mezzi di Bruson che ne offre una lettura difficilmente superabile tanto sul piano vocale – da ascoltare la pulizia e il nitore delle colorature ascendenti su “vita nuova infonderà” tanto ovviamente su quella dell’accento e dell’interpretazione.  Chiudono il programma originario Da che sposa Caterina”, l’aria di Lusignano da “Caterina Cornaro che forse non è pagina di altissima ispirazione ma che così cantata appare comunque più che convincente e la bella scena di Enrico “Che Maria?…Bella e di sol vestita” da “Maria di Rohan”. 
Secondo una tendenza già attestata in altri prodotti della stessa serie la casa discografica ha optato per integrare il programma originario ritenuto troppo breve con una serie di brani di altra e spesso incoerente provenienza. In questo caso sono presenti due estratti dal “Requiem” dello stesso Donizetti inciso nel 1979 e alcune arie provenienti da un recital (usciti in LP con il titolo di “Grandi Voci dell’Arena di Verona” del 1977). Il Requiem composto nel 1832 in occasione della morte di Vincenzo Bellini si caratterizza – almeno per gli estratti proposti – per un tipo di vocalità prettamente operistica molto prossima alle grandi opere serie dello stesso Donizetti piuttosto che ai moduli più canonici della musica sacra. Il grande assolo per baritono “Domine, Jesu Christe” ha la stessa nobile intensità di molti dei brani operistici sopra ricordati cui si avvicina anche per le modalità di canto utilizzate mentre il “Judex ergo” si organizza come un vigoroso duetto fra tenore e baritono dove Bruson è affiancato da un luminoso Luciano Pavarotti. I brani proposti renderebbero interessante la ripubblicazione integrale di questa edizione in virtù sia del’interresse della composizione sia del prestigio vocale degli interpreti nonostante la direzione abbastanza di routine di Gerhard Fackler.
In conclusione sono presenti tre arie verdiane
registrate in occasione di una serie di concerti dal vivo al Teatro Filarmonico di Verona nell’aprile del 1977. Sono brani totalmente slegati dal resto dal programma e documentati in molte versioni dello stesso Bruson accompagnati da direttori di ben altro spessore rispetto all’onesto e anonimo Martinotti. Bruson era però in quel momento all’apice della carriera e i brani si ascoltano quindi con estremo piacere anche se poco aggiungono all’insieme. Ammirevole la fusione fra perfezione tecnica e intensità espressiva in una frase come “Eppur la vita sento nelle mia fibre inaridita” nell’aria del protagonista dal IV atto di “Macbeth” che lascia inevitabilmente il segno. Concludono il programma “Cortigiani, vil razza dannata” da “Rigoletto” e la grande scena della morte di Posa dal “Don Carlo” priva però degli interventi del tenore.