München, Bayerische Staatsoper, Münchner Opernfestspiele 2014
“LE NOZZE DI FIGARO”
Opera buffa in quattro atti, libretto di Lorenzo da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Il Conte di Almaviva GERALD FINLEY
La Contessa di Almaviva VÉRONIQUE GENS
Cherubino KATE LINDSEY
Figaro ERWIN SCHROTT
Susanna HANNA-ELISABETH MÜLLER
Bartolo UMBERTO CHIUMMO
Marcellina HEIKE GRÖTZINGER
Basilio ULRICH REß
Don Curzio KEVIN CONNERS
Antonio PETER LOBERT
Barbarina ELSA BENOIT
Bayerisches Staatsorchester
Chor der Bayerischen Staatsoper
Direttore Dan Ettinger
Maestro del coro Stellario Fagone
Clavicembalo Fabio Cerroni
Regia Dieter Dorn
Scene e costumi Jürgen Rose
Coreografia Hans-Joachim Ruckhäberle
Luci Max Keller
Monaco, 17 luglio 2014
Per assistere ad una rappresentazione de Le nozze di Figaro davvero efficace si devono verificare due condizioni necessarie e (quasi) sufficienti. La prima è la presenza di una regia lineare che non stravolga l’impianto narrativo, ma che al contrario sottolinei gli aspetti fondamentali di una trama assolutamente geniale per situazioni comiche, ma non sempre del tutto chiara nello svolgersi dei suoi eventi. La seconda è determinata dalla presenza di un cast vocalmente all’altezza e scenicamente adeguato alle esigenze della drammaturgia. Nel complesso l’allestimento della Bayerische Staatsoper ha soddisfatto le due premesse, nonostante si trattasse di uno spettacolo risalente al 1997 e per certi versi gravato da una componente di inattualità. Ma se la regia di Dieter Dorn risulta datata, non per questo la si deve accusare di scarsa efficacia. Al contrario, essa risponde agli obiettivi di linearità che la rendono funzionale alla buona riuscita dello spettacolo. Il processo di unione tra idea registica e realizzazione musicale è passato attraverso il filtro della Bayerisches Staatsorchester che come sempre si è distinta per l’eccellenza della sezione degli archi e l’energia dei fiati, in particolare degli ottoni. Dal canto suo la direzione di Dan Ettinger ha manifestato sin dall’inizio non poche ingenuità, soprattutto nella scelta dei tempi. Ecco dunque che l’Ouverture scorre via con troppa velocità, e questa fretta rimane in eredità alla scena di apertura, tanto da replicare la medesima situazione del film Amadeus dove il cantante entrava in ritardo, suscitando i paternalistici rimproveri di Mozart. In questo caso è anche il duetto “Se a caso madama” ad essere eseguito fuori tempo, determinando una lunga fase di rodaggio durante la quale si è assistito al faticoso allineamento delle voci all’orchestra. Nel secondo e terzo Atto si è ripresentato lo stesso problema, ma all’insegna del principio opposto: tempi lenti e dilatati che hanno rallentato un’opera già di per sé non proprio breve. Fortunatamente la musica di Mozart salva tutto e risplende con particolare forza nell’Atto conclusivo, quello che è sembrato meglio realizzato da un punto di vista musicale.
Il sospetto che i pasticci iniziali fossero più dovuti alla direzione d’orchestra che alla cattiva volontà degli interpreti viene confermato dall’analisi della prova di Erwin Schrott nel ruolo di Figaro. Infatti se in un primo momento il cantante ha evidenziato alcune difficoltà di messa a fuoco del personaggio, con risultati decisamente al di sotto della sua media, nel prosieguo recupera interamente il rapporto di confidenza con lo spregiudicato servo, regalandogli una nota passionale che lo ha reso ancor più interessante e decisamente poco ‘tipizzato’. Che Schrott sapesse dare il giusto risalto ai singoli dettagli è emerso sin dalla prima aria (“Se vuol ballare”), mantenendo questa stessa linea lungo tutta l’azione e offrendoci alcune finezze vocali – la storpiatura del piè che si è risolta non solo in storpiatura dei movimenti, ma anche in irresistibile storpiatura vocale – fino alla travolgente aria conclusiva (“Aprite un po’ quegli occhi”). Davvero una “madama brillante” è la Susanna di Hanna-Elisabeth Müller che mette in mostra un timbro gradevolissimo e coinvolgente, muovendosi con impertinente leggerezza attraverso le numerose situazioni che la coinvolgono. La bravura della Müllersi percepisce non tanto nel confronto con Figaro, ma in rapporto agli altri due protagonisti della vicenda, il Conte e la Contessa di Almaviva. Nonostante l’indisposizione annunciata, Véronique Gens affronta il ruolo con sicurezza, caricandolo della giusta dose di malinconia, e tentennando soltanto nella prima aria (“Porgi amor”, accolta da tiepidi applausi). Al contrario si rivela bravissima sia nel duetto del terzo Atto (“Canzonetta sull’aria”) che nel Finale del secondo, dove tiene testa in modo ironico al consorte Gerald Finley. Quest’ultimo ha ottima presenza scenica e voce corposa che meglio di tutti sa condurre i recitativi che gli sono affidati, salvaguardandoli da inopportuni difetti di pronuncia e rivelandosi una delle carte vincenti della serata.
Il valido quartetto dei protagonisti non risultava adeguatamente eguagliato dal terzetto di coloro che interpretavano i ‘cattivi’ della storia, o che per lo meno ricoprivano questa funzione nei primi due Atti dell’opera. Umberto Chiummo (Bartolo) è apparso desolatamente fisso sia nei recitativi che nei pezzi chiusi, con un volume dimesso e debolezze tecniche, così come la Marcellina di Heike Grötzinger, ‘piccante’ sul piano interpretativo, ma poco incisiva sul piano canoro. Una spanna sopra è Ulrich Reß nel ruolo di Basilio, sebbene i suoi recitativi giungessero all’orecchio in modo intermittente, come se il suono andasse e venisse. Di gusto autenticamente divertente e liberatorio i due personaggi esclusivamente comici, Antonio (Peter Lobert) e Don Curzio (Kevin Conners). Alla goffa imponenza del primo rispondeva la maestria del secondo nel caratterizzare con l’espediente della balbuzie i propri interventi, catturando nella rete il malcapitato Figaro. Al di fuori del complesso gioco di intrighi e di potenziali tradimenti si colloca l’aggraziato Cherubino che ha trovato in Kate Lindsey un’interprete di rara eleganza. Tralasciando le considerazioni sulla voce, costruita su tecnica solida e dal timbro limpido, ciò che più colpisce della sua prova è la capacità di dar corpo ad un personaggio mobilissimo e sfuggente, che alterna movenze virili a una carica struggente finora mai rappresentata con tanta forza. Nelle due arie il mezzosoprano riesce ad incantare con la purezza quasi priva di armonici della sua voce, in particolare nella canzonetta “Voi che sapete” che ha offerto ad una Contessa visibilmente turbata, mentre è nei dialoghi con Finley che la Lindsey ha raggiunto i migliori effetti sul livello attoriale. Contraltare al vivace Cherubino è l’ingenua Barbarina, il soprano Elsa Benoit, parimenti incantevole, ma assolutamente priva di malizia o minimamente consapevole di ciò che sta succedendo intorno a lei.
La consapevolezza è invece riservata allo spettatore, che non perde di vista il susseguirsi degli eventi grazie all’attenzione per il dettaglio di cui si parlava all’inizio. Pur essendo ancorata alla tradizione, la regia scorre via in modo fluido, accostando momenti discutibili (all’inizio del secondo Atto la Contessa è in déshabillé e inginocchiata di fronte a un Figaro che espone il suo piano per preservare la futura moglie) ad altri più persuasivi. Fra questi alcuni tocchi di pura comicità, come il momento in cui il Conte infierisce contro il soprabito adagiato sulla poltrona della stanza della Contessa, pensando che sotto vi sia nascosto il solito Cherubino. L’aspetto che invece lascia perplessi è l’ostentato minimalismo della scenografia di Jürgen Rose, che non solo non risulta aderente al resto della rappresentazione (ad esempio con i variopinti costumi settecenteschi dello stesso Rose), ma che soprattutto non sembra veicolare un messaggio preciso, per lo meno nei primi tre Atti. Soltanto alla fine il processo di sottrazione visiva sembra assumere un significato chiaro e condivisibile: infatti nel quarto Atto permangono le pareti nude coperte da teloni bianchi, illuminate dalle luci chiarissime di Max Keller, ma scompare ogni oggetto di arredamento e sul pavimento vengono stesi alcuni lenzuoli sotto i quali si occultano di volta in volta i personaggi. Ovviamente si tratta di un nascondiglio fittizio, il cui scopo non è soltanto di natura comica: nonostante il balletto dei travestimenti, i personaggi risultano esposti, nudi e fragili. Nemmeno un cespuglio né un arbusto gli viene concesso, e sono costretti a comportarsi come i bambini quando si nascondono grossolanamente, sperando che i compagni di gioco non li vedano. È in virtù di questa fragilità che la Contessa dispensa il suo perdono, ben sapendo che la fallibilità è insita nel cuore umano. Una fragilità condivisa con il pubblico, al quale ammiccano gli elementi metateatrali dello spettacolo, dal salto di Cherubino nel golfo mistico (che rompe letteralmente la quarta parete) all’aria conclusiva di Figaro, durante la quale il cantante accenna alle corna con tanto di gesto di accompagnamento, mentre i corni gli fanno eco dall’orchestra. Come a dire, è la musica di Mozart che alla fine, nonostante tutto, riesce sempre a stupirci.