Martina Franca, Chiostro di San Domenico
“LA LOTTA DI ERCOLE E ACHELOO”
Divertimento drammatico in un solo atto di Bartolomeo Ortensio Mauro
Musica di Agostino Steffani
Prima esecuzione in tempi moderni
Revisione a cura di Cinthia Pinheiro Alireti
Ercole (Alcide) DARA SAVINOVA
Deianira FEDERICA PAGLIUCA
Acheloo RICCARDO ANGELO STRANO
Eneo AURELIO SCHIAVONI
Baroque Ensemble dell’Orchestra Internazionale d’Italia
Direttore Antonio Greco
Regia Benedetto Sicca
Scene Maria Paola Di Francesco
Costumi Manuel Pedretti
Disegno luci Giuseppe Calabrò
Coreografia Benedetto Sicca e Fattoria Vittadini
Danzatori: Mattia Agatiello, Cesare Benedetti, Luciano Ariel Lanza, Riccardo Olivier
Martina Franca 25 luglio
Nato come progetto dell’accademia del belcanto “Rodolfo Celletti”, il recupero del divertimento drammatico La lotta d’Ercole con Acheloo di Agostino Steffani si è risolto in uno spettacolo raffinato e al tempo stesso estremamente piacevole. La maturità vocale e attoriale dei quattro giovani interpreti ha infatti assicurato il pieno coinvolgimento del pubblico che si trovava di fronte ad un oggetto compositivo di non facile fruizione. Quest’atto unico (1689 la data di rappresentazione), concepito come prestigioso intrattenimento della corte di Hannover, esibisce un’intrinseca staticità drammatica, aggirata tuttavia dall’intelligente regia di Benedetto Sicca tramite l’impiego di quattro danzatori che hanno dinamizzato l’azione scenica e al tempo stesso hanno tradotto in gesti le emozioni dei personaggi. La componente coreutica, ben presente nel testo primigenio (tre erano i ballets che frammezzavano le vicenda drammatica) e in linea col gusto francesizzante del principe Ernst August, è stata per così dire rifunzionalizzata: divinità acquatiche, cortigiani, emanazioni del potere di Cupido, i quattro ballerini hanno occupato l’intero spazio del chiostro di San Domenico di Martina Franca (comprese le balconate dei piani superiori), spostando di peso cantanti e orchestrali, interagendo ora con la platea, ora con il direttore seduto al cembalo. Un’autentica esondazione di fisicità permessa dalle scene di Maria Paola Di Francesco, ridotte a un ampio praticabile che circondava l’orchestra e che garantiva il dinamismo congeniale a un dramma improntato sul dualismo, sulla lotta, sullo scontro tra rivali o tra genitori e figli (non a caso il regista ha scelto di posizionare i due protagonisti, Ercole e Deianira, agli antipodi dello spazio scenico durante il loro principale duetto, una sorta di cuore espressivo dell’opera). Alle spalle del praticabile funzionava da fondale un velario trasparente incorniciato da nuvole e mare (di uguale color bistro e grigio) che con opportuni giochi di luce offriva l’impressione della pioggia o della spuma marina, lasciando interagire drammaturgia e illuminotecnica in modo molto suggestivo. Essenziali i costumi di Manuel Pedretti che con il bianco assoluto alludevano allo status divino di Ercole e Acheloo, con il nero alla superstizione cieca e il cupo timore degli dei esibito dal re Eneo, con il blu e il vago rimando a una foggia vittoriana alla costrizione di Deianira, stretta, come in un busto ottocentesco, dai progetti matrimoniali paterni insensibili alle sue vere aspirazioni amorose.
Antonio Greco, direttore e concertatore al cembalo, ha dato un’interpretazione convincente dell’ottima edizione critica della partitura, confezionata da Cinthia Pinheiro Alireti dell’Indiana University, curando con particolare attenzione i difficili equilibri timbrici e agogici. Perfettamente riuscita la resa di quella fluidità suadente che pare cifra distintiva dei recitativi di Steffani, ancora memori di quelli di Monteverdi e Cavalli. Squisita la scelta dei colori del basso continuo, arricchito dall’affascinante suono dell’arpa doppia affidata a Maximilian Ehrhardt. Coesa la compagine degli archi. Minime le imperfezioni dei due oboisti, di cui si è tuttavia apprezzata la versatilità che, in linea con una prassi esecutiva durata fino all’ultimo Settecento, faceva loro alternare il flauto all’oboe. Nel suo complesso l’ensemble barocco dell’Orchestra Internazionale d’Italia ha dato prova di una raggiunta maturità che fa davvero piacere constatare, perché nelle prossime edizioni del festival renderà possibile un recupero congruo del patrimonio operistico seicentesco.
Alla regia intensa e intelligente e alle scelte direttoriali sensibili e storicamente informate, si è aggiunta la bellezza estrema della voce di Deianira: Federica Pagliuca si è mostrata impeccabile sul piano dell’emissione, del timbro, della sicurezza gestuale e perfettamente adeguata a un tipo di vocalità di passaggio tra il mondo veneziano seicentesco e quello roman-napoletano di Alessandro Scarlatti. Nitida e cristallina, talvolta la sua voce dava l’impressione all’ascoltatore di materializzarsi dal nulla e nel nulla ripiombare. Un vero incantamento sonoro. Molto buona anche la prova di Dara Savinova – un Ercole adolescente, insolito per fragilità e delicatezza – non esente tuttavia da piccoli problemi d’intonazione. Convincente il giovane falsettista Riccardo Angelo Strano sia per qualità timbrica, sia, soprattutto, per verve attoriale e per dizione perfetta. Di contro Aurelio Schiavoni non ha levato al suo falsetto un colore stridulo e una disomogeneità di registro, pur lasciando intuire in più di un’occasione un innegabile talento che l’esercizio affinerà. Con simili allestimenti, preziosi ma accattivanti, chicche per storici della musica capaci di accattivarsi anche il pubblico dei non addetti ai lavori, il Festival della Valle d’Itria onora quella ‘musicologia applicata’ che da quaranta anni si staglia come il suo tratto saliente. Foto Laera / Marta Massafra