«Come sarà la danza domani? Così come ieri invisibile e oggi dimezzata. Alla maniera dei baroni, delle città, e dei visconti di Italo Calvino» (Germana Erba). La storia insegna che i più grandi cambiamenti non accadono mai all’improvviso e per caso, ma sono frutto di un’evoluzione graduale che opera silenziosa per poi rendersi manifesta a distanza di anni. Tuttavia, certe sfumature non possono sfuggire a un osservatore attento.
La danza, la nostra danza, è la più sublime, la più emozionante, la migliore fra tutte le arti; non è una semplice astrazione della vita ma è la vita stessa, la capacità di connettere corpo-psiche-anima per offrirne il risultato a tutti, per arricchire nello scambio. Ebbene, questa stessa danza ogni giorno è più vuota, vuoti i saloni, vuoti i concorsi, vuoti i sogni. Mi spiego con un esempio. Un po’ di anni fa il prestigioso Grand Prix de Lausanne era invaso da ballerini italiani, in gran numero vincitori nel corso degli anni: 1977, Paola Cantalupo, che d opo il concorso è tornata in molte occasioni a Lausanne come membro della giuria, ha lavorato sia in qualità di artista freelance sia quale ballerina principale in Portogallo, Hamburg, Cannes, alla Scala, e adesso dirige la Rosella Hightower a Cannes. 1980, Alessandra Ferri, certamente il nome italiano più conosciuto, e che ora è parte della giuria a Lausanne; si può ben dire che persino Sting e la regina d’Inghilterra abbiano avuto l’onore di veder ballare per loro questa straordinaria artista. 1981, Carlo Merlo. 1982, Maurizio Giannetti. 1983, Marco Santi, direttore e coreografo al teatro di Sankt Gallen in Svizzera. 1984, Eugenio Buratti, insegnante del Balletto di Toscana. 1984, Roberta Mazzoni, solista all’Opéra de Nice. 1987, Giulia Menicucci, ballerina freelance. 1988, Antonio Calvetti. 1989, Danilo Mazzotta, altro artista freelance. 1993, Evelina Ricci. 1995, Valentina Scaglia, ora attiva presso il Dance Theatre Neederlands, che ha lavorato con nomi importantissimi della danza, come William Forsythe. 1996, Federico Bonelli, studente al Teatro Nuovo di Torino e adesso étoile del Royal Ballet a Londra. Poi, dopo quell’anno, il vuoto; il buio; come se tutto si fosse fermato; come se gli adolescenti non prendessero in considerazione la possibilità di tale carriera professionale; come se non esistessero che il calciatore, il commercialista, l’informatico, e ci si potesse dimenticare proprio dell’arte più bella, nata in Italia.
Al concorso di Lausanne gli italiani sono stati soppiantati da artisti di altre nazionalità. Al primo posto tra le nazioni con più grande affluenza è il Giappone; non molto lontane seguono Francia e Svizzera; Cina, USA, Gran Bretagna si trovano nella stessa posizione, e poi viene l’Italia. Altro dato curioso è che non esistano imprese artistiche (centrate sulla danza e sullo spettacolo coreutico) costituite da italiani. Il Cirque du Soleil – la compagnia internazionale nata nel 1984, con sedi in più paesi e un gruppo in continuo tour mondiale – ha circa cinquemila dipendenti tra ballerini, circensi, tecnici, musicisti; la sua peculiarità è che la musica sia sempre eseguita dal vivo nel corso degli spettacoli; e poi è sempre alla ricerca di nuovi talenti, di nuova linfa artistica. Eurodisney di Parigi ha fra i suoi dipendenti circa duemila tra ballerini, musicisti, attori; anch’essa è sempre alla ricerca di talenti nuovi. Che dire poi di quel mostro immenso che si trova negli Stati Uniti (dove l’arte e l’intrattenimento hanno una considerazione illimitata), Broadway? E poi Las Vegas, con tutte le compagnie di ballo classico e contemporaneo, e le troupes che girano film, sono impegnate in tour, alla tv, e così via? Possibile che in Italia non ci sia nulla di tutto questo?
Vorrei riportare un esempio di un’intelligenza assoluta, di impegno morale e di tante altre componenti positive: nel settore della moda il signor Enrico Bracalente, fondatore di Nero Giardini, ha proposto un corso di formazione professionale per operatori della calzatura, poiché si tratta di un altro degli antichi mestieri che sta scomparendo; al primo anno di corso sono stati ammessi dodici candidati; convinto della necessità di intervenire e deciso sul suo progetto, Bracalente ha già assunto tutti i dodici neolaureati, e a settembre farà avviare il secondo biennio del corso di formazione, che sicuramente avrà ancor più successo rispetto al primo. Ma l’Italia non è soltanto moda (o pasta, o pizza); anche perché l’assenza di un mondo imprenditoriale dedicato alla danza stride con un altro dato, a questo punto curioso: l’innata passione degli italiani per il ballo. Se si intende con la parola ‘ballo’ tutto ciò che fa muovere corpo e anima, va osservato come in Italia da molti anni si sia verificato un boom di associazioni sportive/culturali che valutano certe danze alla pari di sport; ed è interessante sapere che l’Italia delle venti regioni annovera ben diciassette federazioni di danza; e ancora, che il maggior numero di scuole di danza si trova tra Piemonte e Lombardia. Tutto questo per dire, insomma, che la danza piace moltissimo agli italiani, ma anche che la danza italiana non brilla più sui palcoscenici internazionali. Forse quegli stessi italiani che la amano scoprono la danza troppo tardi perché possa diventare l’esperienza della loro vita. Ecco perché da troppi anni resta il vuoto.
Vorrei che l’Italia fosse in grado di dimostrare che l’arte è la forma più pura di dialogo, è un magnifico ponte per l’integrazione e per il turismo culturale, è il metodo più intelligente per creare comunicazione costruttiva, multiculturale, creativa e trasversale, oltre che per combattere la violenza e l’ignoranza.
I propositi del futuro dovrebbero essere quelli di creare musica, danza e arte in generale, poiché questa è la miglior eredità che si possa lasciare alle nuove generazioni, oggi monopolizzate dalla tecnologia e dal mondo informatico. C’è bisogno dell’appoggio sia delle istituzioni sia dei privati, al fine di formare grandi imprese, che assumano i giovani ballerini e ne valorizzino la preparazione (non parlo di show televisivi o di produzioni musicali in cui i produttori spesso decidono di assumere personaggi inesperti soltanto per risparmiare, mentre i professionisti sono lasciati da parte; le grandi imprese servono anche perché il riconoscimento professionale ed economico dei danzatori sia paragonabile a quello di altre città europee).
C’è da sperare che il vuoto si colmi al più presto grazie a nuovi talenti, grazie a nuovi Federico, Alessandra, Marta, Marina, Gianni, e soprattutto grazie a un mare di giovani, di anime nuove disposte a essere libere, a volare, a farci sognare su qualsiasi palcoscenico dove li incontreremo per essere emozionati dalla loro arte! Coraggio!