La serie di interviste che GBopera dedica ai Maestri si inaugura con una figura “di confine”. La scelta di iniziare questo percorso in cui si dà voce ai Maestri (e non ai soliti Direttori delle Scuole più importanti d’Italia) non con un docente di una Fondazione lirico-sinfonica, ma con una personalità molto nota al mondo della danza internazionale che ha fondato e continua a dirigere una realtà di primo livello in Italia, la napoletana Mara Fusco, si collega al nostro discorso iniziato attraverso l’analisi della danza nei Licei coreutici. Una danza che formi l’individuo e che rivendichi la propria autonomia di branca della cultura italiana allo stesso modo delle arti visive e della musica, della letteratura teatrale e della poesia. “Tra il pubblico e il privato” (e si è scelto di proposito il nome della giornata di Studi organizzata nel 2009 da AIRDanza in memoria di Nadia Scafidi, studiosa che inaugurò un filone di ricerche sulla presenza della danza nelle istituzioni scolastiche italiane dal XIX secolo, ed edita da Aracne nel 2012) riguarda Mara Fusco, perché è esattamente sulla linea di confine per aver formato elementi attivi negli ambiti internazionali più importanti, sulla scena come nella direzione artistica. Perché, che sia bene o no, la maggior parte delle realtà che si occupano della danza, in Italia, sono di natura privata.
Dopo aver studiato presso la Rambert School di Londra ed essersi diplomata all’ Accademia “Agrippina Vaganova” di Leningrado, sotto la guida di illuminati Maestri quali Natalia M. Dudinskaia, Sciripina, Varvara Pavlovna Mei, Marina Promeranzeva, Mara Fusco ha sviluppato tutti gli importanti suggerimenti della sua formazione, sia sul fronte artistico che su quello didattico. Dotata, secondo la critica qualificata, di una tecnica eccezionale e di una perfetta cultura di stili, è stata per lunghi anni interprete delle più celebri pagine del grande repertorio ottocentesco, fedelmente appreso alla prestigiosa Accademia Vaganova, dove si è laureata a pieni voti in Pedagogia della Danza. Ha danzato al fianco di celebri danzatori quali M. Liepa, Viculov, Efremova, Kolpakova, Sisova, ottenendo in eslusiva da Natalia Dudinskaia, quale attestato di stima ed affetto, la coreografia di Le Corsaire che Agrippina Vaganova aveva creato per la celebre artista russa. Dopo aver fondato con Giovanna Caputo il Centro di Formazione Professionale Lyceum, si è dedicata sempre più all’insegnamento fino ad esserne largamente assorbita, inserendo i suoi migliori elementi (fino ad oggi 74) nelle principali Compagnie internazionali.
Nel 1974 ha fondato la Compagnia di Balletti Mara Fusco, divenuta poi, sempre sotto la sua guida, Balletto di Napoli – Compagnia Regionale di Danza, riconosciuta dalla Regione Campania come Ente di rilievo regionale, attiva in Italia e all’estero con programmi riconosciuti di alto valore culturale ed artistico. Unica italiana in un cast di fama mondiale, è stata per tre anni presente come docente al Festival di Nervi. Ha lavorato in qualità di Maitre du Ballet presso il Teatro Massimo di Palermo dove ha inaugurato la Stagione Lirica 1986 con una coreografia nell’opera “La Donna Silenziosa”, al Teatro Comunale di Firenze e l’AterBalletto di Reggio Emilia. Come coreografa, oltre alla fedele ricostruzione di pagine di repertorio talvolta inedite in occidente, ha partecipato alla realizzazione di due pellicole cinematografiche. I suoi interessi l’hanno portata a tradurre dal russo Il Metodo Vaganova, oggi alla quarta ristampa. Su richiesta dell’editore Gremese, ha inoltre pubblicato un libro sulla metodologia dal titolo La Scuola Napoletana di Mara Fusco.
Docente esaminatrice per il titolo di Docente di danza presso l’Accademia Nazionale di Danza di Roma e docente nel Master rivolto ai docenti della stessa Accademia, è stata inoltre docente invitata dalla Escola De Danca do Conservatorio Nacional de Lisboa a tenere corsi di pedagogia per docenti e di perfezionamento per allievi dei corsi superiori.
Per l’a.s. 2012-2013 è Docente Responsabile per la Danza Classica Accademica del Primo Liceo Coreutico e Musicale istituito dall’ Istituto Suor Orsola Benincasa di Napoli.
Partiamo necessariamente dalla metodologia impiegata e dal suo percorso: com’è cambiato il suo utilizzo nel corso del tempo?
Ho fondato questa scuola basandomi sui miei studi. Come didatta mi sono formata all’Istituto Agrippina Vaganova di Leningrado. Rendendomi perfettamente conto dell’impossibilità di applicare questa metodologia, o meglio questa “scienza della danza” – come preferisco chiamare la metodologia vaganoviana per come è ben coordinata e ben studiata a partire dal primo corso fino al perfezionamento – sono ritornata in Italia e ho approfondito il metodo Cecchetti alla Rambert School di Londra, cercando di avvicinarmi alle esigenze del fisico latino, che ha delle differenze notevoli con quello russo. Vaganova era una donna culturalmente molto preparata, avendo unificato i tre grandi stili di danza, ovvero quello della vecchia scuola russa, quello francese e quello italiano di Enrico Cecchetti, nella intelligente considerazione di quanto fosse importante partire dal passato per innovare davvero. Ho cercato di seguire queste orme e ho inserito all’interno dei miei corsi questa sorta di metodo “Vaganova-Fusco”, adeguando la tecnica russa al nostro fisico mediterraneo. Di certo abbiamo vantaggi diversi rispetto al fisico slavo, e cioè quelli della grande Scuola italiana forte nella batteria e nella pirouette, come nell’Allegro brillante. Nella tecnica Vaganova maggiore importanza è data al grande salto e alle grandi pirouettes. Nel repertorio bournonvilliano, ad esempio, dove brilla la tecnica del “piccolo salto” (che non significa saltare poco, ma saltare molto senza alzare troppo le gambe), gli italiani sono sempre stati molto forti. Affrontando questo tipo di balletto la metodologia si è modificata. Resto sempre dell’idea che lo studio degli épaulements e dei port de bras sono le grandi prerogative della Scuola russa e sono elementi imprescindibili per il nostro studio, che differenziano la metodologia Vaganova da quella delle altre grandi Scuole.
Il Suo Centro Regionale della Danza Lyceum è una Scuola riconosciuta e di formazione professionale, ma si inserisce in un ambito privato e non può pertanto vantare una selezione fisica inziale. Ci parli del percorso dell’allievo.
Quando un allievo si avvicina allo studio della danza classica noi effettuiamo innanzitutto un esami fisico, per assicurarci che non ci siano impedimenti a livello della colonna vertebrale o altri problemi analoghi che comprometterebbero uno studio serio. Davanti a una fisicità che tradisce un’errata alimentazione (o altri tipi di problemi) indirizziamo il candidato a professionisti del settore, ma una vera e propria selezione fisica non c’è. Questo di certo ci penalizza, ma migliora da un punto di vista umano, perché è importante anche un’apertura dal punto di vista psicologico, perché si parla pur sempre di bambini, che negli anni possono modificare il proprio corpo. Al terzo corso c’è invece un vero e proprio esame selettivo e definitivo in cui si consiglia di cambiare eventualmente genere, con una danza di carattere o un buon contemporaneo, dove le linee non sono così esageratamente importanti. Certo la tecnica moderna non diventa un refugium peccatorum per chi non può sostenere il classico, ma oggi di tecniche moderne ne abbiamo tante. Il metodo Graham viene ad esempio impartito ai nostri ragazzi che seguono l’indirizzo di classico, mentre il modern di Alvin Ailey – anche quello riveduto e corretto con altre influenze – è impartito seguendo l’evoluzione dei tempi e garantendo agli allievi la possibilità di poter fare audizioni di ogni genere. Il nostro vantaggio risiede invece nella possibilità di offrire borse di studio dietro rigida selezione fisica. Dal momento che non abbiamo sostegno ministeriale o comunale, come avviene in Francia ad esempio, l’arco di tempo della borsa di studio serve a misurare il carattere dell’allievo, perché viene immediatamente ritirata, se non si vede un impegno commisurato alla possibilità offerta. Tutti i migliori allievi, ormai professionisti affermati, hanno goduto di questo beneficio; fra i tanti: Susanna Sastro, Francesco Nappa, Luciano Cannito, nei quali abbiamo visto qualità non solo fisiche ma anche doti interpretative.
Dall’alto della Sua formazione come danzatrice e poi come Maestra, qual è l’aspetto più importante da curare, oltre al lato tecnico, in un giovane allievo, alla luce della differenza generazionale? Quali sono le difficoltà che maggiormente si rilevano nell’insegnamento?
Oggi purtroppo c’è stato un depauperamento dei valori etici e di educazione. Io sono considerata un’insegnante fuori moda, ma l’insegnamento delle arti non va con le mode. Portare per mano gli allievi è importante, senza umiliarli con rimproveri fuori luogo, ma con una severità necessaria per rendere l’allievo consapevole dell’importanza del nostro insegnamento e, nel caso dei borsisti, del dono del nostro sapere. Oggi è molto difficile, perché i ragazzi sono meno preparati culturalmente e anche a scuola sono abituati a essere maggiormente “accontentati”. I tempi cambiano e bisogna formare la preparazione dei ragazzi attraverso insegnamenti che guardano al futuro, ma l’aspetto tecnologico e informatico dovrebbero essere usato davvero per migliorare la cultura, non per il suo impoverimento con la ricerca di facili e superficiali risposte a ciò che non si conosce, senza nessuno sforzo di apprendimento attraverso i libri, le mostre, il teatro. I primi libri mio padre me li acquistava a Londra. Ho cominciato a leggere in inglese e a vedere le prime foto di Margot Fonteyn e altre grandi dive. Non ne avevamo davvero idea perché arrivava molto poco in Italia. Siamo espatriati per imparare. Oggi i ragazzi sono troppo protetti, troppo “amati” qualcuno vuole dire, ma non è quello l’amore vero. Dobbiamo combattere all’interno della sala la paura dei genitori: le difficoltà non vengono accettate, non viene accettato lo sforzo di studiare di più per imparare. Imporre la disciplina è un grande sforzo. Alla lunga però l’allievo intelligente (e occorre un’intelligenza particolare per la danza) col tempo capisce quanto è importante perseverare. C’è molto lassismo e si vorrebbe tutto subito. Fortunatamente non è così per tutti, ma lo è per la maggioranza. Oggi “il bambino ha sempre ragione”, mentre prima ad avere ragione era il Maestro. Non dico che fosse giusto, perché c’era troppa autorità. Non bisogna perdere di vista la disciplina, ma concedere il momento di gioco e di fantasia, soprattutto con i piccolissimi, sempre in borderline, perché il gioco non prenda il sopravvento a discapito della preparazione. Per questo gli stessi docenti hanno bisogno di un aggiornamento costante.
Perché un allievo si avvicina alla Sua Scuola?
La motivazione generale è la serietà del lavoro e i risultati conseguiti nel corso degli anni. Ma a questa cosa fa da contraltare la cattiva volontà – ripeto, della maggioranza ma non di tutti – di seguire le regole. L’incapacità di comprendere le motivazioni delle nostre scelte coreografiche alla fine dell’anno o i rimproveri sono una costante, purtroppo. Abbiamo avuto allievi che si sono distinti nel flamenco o nella danzaterapia, nella coreografia o nell’insegnamento, per cui la scuola non è frequentata solo da chi diventerà un danzatore, benché la finalità primaria sia quella. È importante dare una formazione solida anche per fotografi, costumisti, giornalisti, imprenditori, tecnici della luce, per poter offrire nel proprio lavoro un tocco specialistico. In questo ambito grande responsabilità ha la stampa. Nel corso degli anni sono stata molto contestata, ma poi il tempo mi ha dato ragione, perché ho avuto un grande rispetto e sono molto soddisfatta. Le persone che dicono la verità danno sempre fastidio, ma bisogna essere tenaci.
Danza e scuola: come riuscire a far comprendere che si tratta di un percorso integrato e non a esclusione? L’importanza della formazione culturale per diventare un buon Maestro e un buon coreografo, oltre che un danzatore completo: cosa pensa del Liceo coreutico?
La danza del Liceo coreutico dovrebbe essere affrontata in misura maggiore come un fatto culturale nella sua completezza. Importante è senza dubbio abbinare la conoscenza teorica alla pratica fisica della danza, classica e contemporanea, ma è ancora più importante che lo facciano tutti. Ecco perché questa non può essere una danza di livello. Nessuno potrà eseguire un determinato passo o salire sulle punte se la natura non ha concesso le doti giuste, ma si potrà capire la differenza fra i diversi stili, sia da un punto di vista metodologico sia storico. Tutto questo aspetto manca nell’ordinamento del Liceo coreutico. A mio giudizio è dato troppo tempo allo studio della tecnica: i genitori si spaventano perché immaginano che si tratti di una scuola fatta “all’acqua di rose”, quando invece gli studenti del coreutico sono per lo più ragazzi che studiano bene , ma è il concetto che va “limato”, perché è un tipo di percorso che dovrebbe partire prima, dato che a quattordici anni sono ormai al quinto anno di danza ed è tardi. Ma che ben venga, perché, come tutte le cose italiane, meglio che sia fatto male ma che ci sia! Le correzioni possono sempre essere apportate. La battaglia contro il Liceo coreutico, fin dal momento della sua istituzione ministeriale, non ha senso perché non è lì che si formano i ballerini, come al Liceo artistico non si formano pittori o gli allievi del Conservatorio non saranno tutti musicisti. Il ramo della cultura italiana ignorato, ossia quello coreico, dovrebbe essere il punto di arrivo del Liceo coreutico, dove le ore di tecnica a mio giudizio sono troppe e costringono l’allievo a una giornata scolastica molto lunga. Personalmente cambierei la finalità delle ore di tecnica e sostituirei il laboratorio coreutico con la Storia della danza (che invece inizia al triennio). I ragazzi iniziano a studiare, al primo anno, senza le minime nozioni storiche, mentre dovrebbero scoprire molto prima il retroterra culturale meraviglioso che ha fatto nascere la tecnica che li fa sudare alla sbarra. L’allontanamento dall’arte è colpa della società, della scuola, per non parlare della politica. Mi sembra che da quando sono nata non sia cambiato nulla. I giovani dicono le stesse cose che dicevamo noi. E noi ora possiamo dare solo l’esempio.